Imposizione di casinò online, Cassazione: 'Gravi indizi di colpevolezza'
La Cassazione ha rigettato il ricorso contro il provvedimento di custodia cautelare in carcere di due presunti impositori di casinò online.
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso contro l'ordinanza con cui il Riesame di Napoli confermava quella del Gip locale, applicativa della misura cautelare della custodia in carcere in relazione alle contestazioni provvisorie di concorso in estorsione ai danni di due imprenditori, “gestori di sale giochi ubicate a Portici”. Avvalendosi della forza di intimidazione della associazione camorristica denominata 'clan Vollaro', operante nel medesimo centro, veniva imposto il pagamento ingiustificato e protratto nel tempo, di elevate somme di denaro per l'uso slot machine e di piattaforme internet, queste ultime parimenti imposte.
LA DIFESA – Tra i motivi di contestazione, la difesa aveva fatto notare che si trattava di una iniziativa volta ad imporre la piattaforma Internet 'Morris Casinò' alla quale l' indagato risultava completamente estraneo: si trattava infatti di un supporto informatico che (...) era gestito da un soggetto completamente diverso”. Inoltre, “era stato trascurato il fatto che l'indagato è incensurato e che l'arresto dei componenti della organizzazione criminale su base nazionale ha di fatto impedito al medesimo di continuare a promuovere la piattaforma 'viva casinò' a lui riferibile”.
Inoltre, “Quanto alla motivazione sulle esigenze cautelari, la argomentazione del Tribunale, che ha posto in risalto la pericolosità del Ciappa derivante dalla protrazione delle condotte realizzate con i compartecipi e il modo professionale col quale il prevenuto svolge l'attività oggetto del presente procedimento mettendola al servizio di persone che, su tutto il territorio nazionale, promuovono l'uso non autorizzato di giochi online, non appare scalfita significativamente e comunque non sotto il profilo della illogicità manifesta, dalle censure del ricorrente , versate inammissibilmente in fatto: come è avvenuto deducendo la pretesa cessazione dei rapporti con coindagati, dovuta a presunti conflitti di interesse”.