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Mancia e vincite nei casinò, trattamento fiscale in attesa di legislatore

19 novembre 2022 - 10:09

Ancora d'attualità il tema della parificazione del trattamento fiscale delle mance e delle vincite nei casinò, all'alba della nuova legislatura.

Scritto da Mauro Natta
Photo by Jonathan Petersson on Unsplash

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Si può legittimamente credere che, unitamente al problema del gioco pubblico, si ponga mano alla questione case da gioco.
Visto che mi permetterò di esporre il mio convincimento in materia di controllo sulla regolarità del gioco e degli incassi, provo a cimentarmi in qualcosa in cui sono limitatamente esperto in quanto non ho fatto studi specifici ma che ho approfondito nel periodo lavorativo.
Entro in un campo che mi trova sufficientemente informato come dicevo, per aver seguito per il sindacato la vicenda da quando è nato il conflitto con il fisco terminato con il decreto n. 314 del 1997. Definitivamente?

Si parla attualmente di cuneo fiscale, ecco un esempio di come si potrebbe realizzare un incremento della retribuzione globale del dipendente tecnico addetto al gioco, un calo dei costi per il datore di lavoro e, insieme, un maggior beneficio per l’ente pubblico proprietario della locale casa da gioco.
Ma procediamo con ordine! “La mancia è una parte della vincita”. La sentenza n. 1776 del 18 maggio 1976 della Sezione Lavoro della Suprema Corte di Cassazione, a proposito della mancia al croupier, afferma quanto virgolettato.

La Legge europea 2015, all’art. 7 (Disposizioni in materia di tassazione delle vincite da gioco. Esecuzione della sentenza della Corte di giustizia dell’unione europea 22 ottobre 2014 …) prevede e stabilisce che le vincite al gioco corrisposte da case da gioco autorizzate in Italia o negli Stati membri dell’Unione europea o nello Spazio economico europeo non concorrono a formare il reddito per l’intero ammontare percepito nel periodo di imposta.
Non pare logico, ritengo, trattare in modo differente la parte maggiore della vincita ottenuta dal giocatore e quella minore della quale beneficia il croupier. Bene inteso a parere di professionisti esperti e mio personale.
Il disposto del Dlgs n. 314/97 ha stabilito che la mancia, per la parte tassata ai fini Irpef, è assoggettata a contribuzione pensionistica, contribuendo così ad incrementare il costo del lavoro.

D’altra parte non pare logico e tollerabile, nell’ambito di uno stesso ordinamento giuridico, che una attribuzione patrimoniale sia qualificata come compenso ad un effetto (quello fiscale) e non a un altro effetto (quello lavoristico-previdenziale), proprio in un combinato normativo in cui quella qualificazione presuppone necessariamente quest’altra. Ecco, a mi avviso, la motivazione di quanto precede. 
Non può nutrirsi dubbio alcuno, di contro, sul fatto che la contribuzione sulle mance ha causato un notevole incremento del costo del lavoro per gli addetti direttamente alla produzione.

In buona sostanza c’è da ritenere che, trattando fiscalmente la mancia come la vincita (della quale, appunto la mancia, è la parte più piccola), si avvia un percorso virtuoso che, evitando una partita di giro, concorre al mantenimento dell’occupazione diretta e dell’indotto, consente allo stesso tempo il raggiungimento dell’obiettivo dell’ente pubblico titolare di una casa da gioco di cui ai decreti istitutivi delle stesse.
Non c’è dubbio, costo del lavoro e occupazione non possono essere coniugati disgiuntamente. Ecco il senso della domanda che rispettosamente mi permetto di rivolgere a chi di dovere: perché non trattare fiscalmente la mancia allo stesso modo della vincita della quale ne è parte? 
È anche comprensibile il ragionamento che segue: il dipendente non pagherà l’imposta sul reddito delle persone fisiche e le ritenute sulle mance e il datore di lavoro non ha da versare i contributi previsti. 

Allo stesso tempo l’ente pubblico, tra l’altro azionista di riferimento della società che gestisce la casa da gioco, potrà garantire con un minor esborso (percentuale sui proventi) l’equilibrio finanziario della gestione e, per contro, godrà di un introito di natura tributaria più consistente derivante, appunto, dal minor esborso accennato. 
Riassumendo: l’approvazione della Legge europea del 2015 ha definitivamente statuito che le vincite corrisposte dalle case da gioco autorizzate in Italia o negli Stati membri dell’Unione europea o nello Spazio economico europeo non concorrono a formare reddito nel periodo di imposta. 
Si comprende benissimo come tale nuova norma trova conforto e supporto nella evidente conclusione che avrebbe potuto crearsi con la tassazione delle vincite al casinò: un drastico calo delle entrate tributarie e un duro colpo all’occupazione diretta e dell’indotto. 

La precedente normativa italiana prevedeva, al comma 1 dell’art. 69 del Tuir (Dpr 22 dicembre 1986, n.917) che le vincite in discorso costituivano reddito ed erano considerati quali redditi diversi (art.67, comma 1, lettera d).
Recentemente la problematica “costo del lavoro” (anche se nel caso specifico si parla del cosiddetto personale tecnico che, di norma, è percentualmente più numeroso) è stata alla ribalta della stampa. Gli articoli  hanno riempito le pagine di giornali e riviste adducendo, e giustamente, che il costo del personale – avendo raggiunto una percentuale enorme dei ricavi – non avrebbe permesso il pareggio di bilancio.
Al personale tecnico rimarrà il compito di cercare, con l’assistenza delle organizzazioni sindacali, la miglior scelta per una pensione integrativa.
Credo di aver esposto una problematica più che attuale, nella speranza che i proprietari delle case da gioco si attivino, non aggiungo altro per non creare confusione ma rimango disponibile per fornire eventuali integrazioni e altra documentazione.

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