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Slc a Zappalorto: “Non si riveda accordo del settembre 2013”

18 settembre 2014 - 07:44

Nell’annunciare lo stanziamento di due milioni di euro per ripianare le perdite di bilancio del Casinò di Venezia e la richiesta di un piano di contenimento dei costi, il commissario straordinario del Comune, Vittorio Zappalorto, aveva anche reso noto che, non essendo andata in porto l’auspicata privatizzazione della gestione della Casa da gioco, anche l’accordo siglato nel settembre 2013 fra le organizzazioni sindacali e il sindaco Giorgio Orsoni, a tutela dei livelli retributivi e occupazionali dei dipendenti, andava rivisto.

Scritto da Anna Maria Rengo

A tale proposito, è netta e dura la presa di posizione contraria del coordinatore di settore dell’Slc-Cgil provinciale di Venezia, Salvatore Affinito, che in una lettera a Zappalorto afferma: “Non abbiamo la più pallida intenzione di derogare a quell'accordo, ma diciamo anche che non crediamo rientri nei poteri del Commissario modificare un protocollo assunto dal Consiglio Comunale nel pieno esercizio democratico della maggioranza che lo ha approvato e allegato alla sua Delibera, peraltro acquisito e esplicitamente indicato dal Ministero degli Interni, massima autorità regolatoria per le Case da gioco, nell'ambito della sua autorizzazione al bando stesso”.

 

I PRECEDENTI – Nella lettera, Affinito ricorda come “nel 2010, l'affidamento al dottore Vittorio Ravà dell'incarico di amministratore delegato, aveva fatto ben sperare e ne nacque anche una positiva e utile stagione di confronto, che portò all'accordo del 23 agosto 2011. Fu un accordo, prima di tutto, di ristrutturazione e, naturalmente, la fase non fu priva delle normali dialettiche, come pure di qualche fibrillazione di troppo, che si sarebbe potuta evitare e che portò ad una lacerazione, poi ricomposta, del fronte sindacale. È innegabile che quell'accordo, poco compreso e non adeguatamente apprezzato in Consiglio Comunale, abbia portato, secondo stime della stessa Azienda, a un abbattimento del costo del lavoro pari a 2 milioni e mezzo all'anno, ai quali vanno aggiunti i benefici, che pure economici sono e non solo gestionali, per l'introduzione di flessibilità inedite e di riallocazione di risorse là dove la domanda dell'attività indicava le priorità di utilizzo.

Avremmo appreso poi che, mentre il tavolo di confronto era ancora aperto, già si progettava la privatizzazione e si mettevano in atto studi, contatti, azioni concrete, tradendo quindi il sofferto e fragile orizzonte concertativo realizzatosi.

Il resto è già storia dei giorni nostri: la durissima battaglia sindacale del 2012, con 15 giornate di sciopero, con manifestazioni massicce, con tensioni terribili; poi, il 12 settembre 2013, l'accordo sindacale sulla gestione della cessione in appalto; infine, in aprile di quest'anno, il clamoroso flop della gara andata deserta e immediatamente dopo, il dissolvimento del Consiglio Comunale - per fatti che non siamo interessati in questa sede a commentare – che non ha consentito la riproposizione del bando”.

Il responsabile dell’Slc-Cgil evidenzia come il sindacato e i lavoratori, dopo aver tentato di contrastare la privatizzazione, si sono attestati “a tutela dei diritti e dei posti di lavoro, interrompendo una battaglia di mero contrasto che, da un certo punto in poi, sarebbe risultata puramente velleitaria” e giungendo dunque all’accordo dell’anno scorso.

 

I MOTIVI DELL’ACCORDO - “Perché quell'accordo? Semplicemente perché non c'era da difendere privilegi, ma da tutelare una categoria da quelli che sono i normali guasti che una privatizzazione può produrre e che abbiamo ampiamente sperimentato in questo Paese. L'esperienza infatti ci ha insegnato che le privatizzazioni nostrane hanno rappresentato il volano per lucrare sulle condizioni e i diritti dei lavoratori, piuttosto che sulla managerialità attesa. Ed è così che quell'accordo tutela i lavoratori da quello che normalmente opera un privato al suo avvento: ridimensionamento degli organici spinto, attraverso licenziamenti massivi, esternalizzazioni di attività, negazione dei diritti acquisiti.

Cioè, insomma, quell'accordo, in qualche modo, opera una fondamentale selezione: attirare un privato capace di investire e sviluppare, piuttosto che fondare i suoi profitti sullo strame di posti di lavoro e diritti.

Ora la domanda da porsi è piuttosto elementare e attiene alla parte politica della questione, piuttosto che a quella legale, pur chiaramente sancita dalla raccomandazione all'osservanza di quelle tutele da parte del Ministero degli Interni: può la cosa pubblica esercitare in proprio la macelleria sociale che avrebbe dovuto impedire al privato subentrante?

Quell'accordo trae le premesse da un dato estremamente chiaro, là formalizzato e assolutamente ricorrente nell'ambito del confronto sindacale degli ultimi anni: se al Casinò c'è già un blocco del tourn over che dura da più di quattro anni, è anche altrettanto evidente che non c'è nessun esubero e che le consistenze organiche sono assolutamente risicate, perfino malgrado la flessione degli ingressi.

I lavoratori del Casinò di Venezia hanno pieno diritto alla più totale arrabbiatura! Prima l'Azienda è stata usata e abusata, poi l'avventura infelice della privatizzazione, che ha comportato comunque tre anni di immobilità, la mancata ricerca di reazione alla crisi, la negazione degli auspici di investimento e rilancio (vedi l'ampliamento di Ca' Noghera, progettato, concordato e non più realizzato).

Quei lavoratori hanno diritto a essere arrabbiati, perché hanno già dato, con ristrutturazioni condivise e con le ricadute degli andamenti negativi che hanno provocato una pesante flessione dei redditi. Non stiamo parlando solo di otto anni di sostanziale vacanza contrattuale, che pure è certificata, ma del fatto che mance e premi in essere, collegati agli incassi, hanno subito una poderosa flessione nel corso di questi anni.

Oggi il Commissario chiede altri sacrifici. Noi ci attenderemmo che si ricominciasse a ragionare di rilancio. Per farlo c'è bisogno prima di tutto di capire che cos’è un Casinò e con quali politiche industriali si possa risollevare questa strana fabbrica di effimero!

 

LA SUPPOSTA PERDITA DEL CASINO’ - Ma altrettanto deve essere chiaro che il Casinò non è in ‘perdita’: mente sapendo di mentire chi sostiene che il Casinò è in rosso, sol perché non trasferisce al Comune di Venezia le risorse di cui avrebbe bisogno. Ci sembra di aver spiegato con chiarezza da quale storia derivi tale condizione!

Sono questi i temi ai quali si può conquistare al confronto e all'impegno consapevole sindacato e lavoratori.

Ma il confronto non comincia neanche se una Parte poggia sul tavolo una pistola carica. Ed è tale la richiesta di rivedere l'accordo del 12 settembre 2013, che è del tutto fuori luogo in assenza della privatizzazione”.

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