skin

Iniziamo a dare i dati, invece dei numeri

10 luglio 2017 - 09:04

Sul gioco pubblico si continua a dare i numeri invece di studiare il fenomeno e proporre dati e soluzioni: ma per cambiare rotta, serve il contributo di tutti.

Scritto da Alessio Crisantemi
Iniziamo a dare i dati, invece dei numeri

Studiare, studiare, studiare. Studiare, per comprendere e analizzare i fenomeni che ci circondano. Studiare per aumentare la propria consapevolezza, per proporre e indivisuare soluzioni concrete ai problemi. Lo diceva Antonio Gramsci (che nel suo "Ordine nuovo", invitava i giovani a studiare, "perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza"), lo sosteneva De Gaulle (secondo il quale "La più grande dote di un rivoluzionario è studiare"), come pure Don Bosco. Sull'importanza e la necessità dello studio, per migliorare la propria esistenza e quella della comunità in cui si vive, sono sempre stati tutti d'accordo.

Ed è proprio quello che ci si trova oggi a ricordare (e a dover sollecitare) ai vari soggetti - pubblici e privati - che si occupano, a vario titolo, della materia gioco. Per capire come regolamentare al meglio il fenomeno del gioco pubblico, come contrastare in maniera seria ed efficace le dipendenze, per prevenirle e per governare tutti gli aspetti legati alla distribuzione di prodotti di gioco, è necessario prima di tutto capire a fondo di cosa si sta parlando. Altrimenti il risultato che si ottiene è quello di proporre e adottare soluzioni sterili, inefficaci o addirittura pericolose, che non risolvono i problemi che si propongono di affrontare o, peggio ancora, ne peggiorano la situazione. A evidenziare questa esigenza e la necessità di un approccio vieppiù specifico e qualificato al fenomeno del gioco, è il Direttore dei Monopoli di Stato, Alessandro Aronica, che sta caratterizzando sempre più il proprio mandato alla guida dell'ente regolatore puntando sullo studio e l'analisi di tutti i fenomeni. Con una serie di moniti pubblici, in cui ha sollecitato l'importanza di avere numeri reali. "Abbiamo tutti bisogno di numeri certi - ha dichiarato nei giorni scorsi, nel suo ultimo intervento pubblico - spiegando che anche per questo, i Monopoli di Stato hanno promosso e finanziato una ricerca dell’Istituto superiore di sanità che, "sulla base di un campione fortemente rappresentativo, fornirà un quadro aggiornato del gioco cosiddetto problematico nonché di tutta una serie di caratteristiche della domanda di gioco in Italia". Convinto che, "sulla situazione clinica, ovvero sui soggetti cui è stato diagnosticato effettivamente un disturbo da gioco d’azzardo, i soli dati attendibili sono quelli forniti dal Ministero della Salute, che parlano, nel corso del tempo, di cifre comprese tra le 10 mila e le 20 mila unità. Per quanto ne sappiamo, si tratta di un dato sottostimato, ma dà un’idea dell’ordine di grandezza". Ma ora è  necessario vederci più a fondo, perché le risposte politiche a un'esigenza collettiva, è evidente, non possono essere di pari livello se quell'esigenza interessa 100 persone oppure un milione. Ma quello che risulta sicuramente inaccettabile, è proprio il fatto non avere contezza del fenomeno e non sapere realmente quanti sono i soggetti interessati dalla patologia, a qualunque livello. Parole sante, verrebbe da dire. In un ragionamento che non può trovare pareri contrari. Visto che, lo dicevamo in premessa, sulla necessità di studiare siamo sempre tutti d'accordo (e ci mancherebbe altro). Ma il monito di Aronica non riguarda soltanto il fenomeno delle dipendenze (pur essenso senz'altro uno dei temi più delicati e rilevanti) e non si rivolge soltanto ai soggetti politici e istituzionali. Vale per tutti. E vale in particolare per l'industria, alla quale il numero uno dei Monopoli ha chiesto qualcosa in più. Non solo in termini di finanziamento diretto (si ricordi, in questo senso, il contributo annuale imposto dalla concessione ai gestori delle reti di gioco da investire in attività e campagne di gioco responsabile): non più. Ma anche attraverso un contributo indiretto, introducendo qualche tempo fa un ulteriore onere in capo ai soggetti concessionari, imponendo un investimento fisso da effettuare in studi, indagini e ricerche. Per ampliare la conoscenza, la consapevolezza e la letteratura disponibile sui grandi temi che riguardano il gioco. Non solo sugli aspetti medici e sanitari, dunque, ma anche sociali, economici, normativi e regolamentari. E tutto ciò che può contribuire a rendere davvero sostenibile un fenomeno così complesso e delicato, che va gestito ed affrontato con prudenza e consapevolezza. Perché non solo vietare tutto non serve ed è addirittura pericoloso (e su questo, ci sarebbero già studi a sufficienza): ma anche volendo percorrere la strada del proibizionismo, non si riuscirebbe a perseguire neppure quella senza conoscere a fondo il settore. Oltre a non capirne neppure i rischi concreti. Per questo, dice Aronica: "L’approfondimento e l’ampliamento delle conoscenze rappresenterà un patrimonio a disposizione di tutti, dagli operatori sino ai decisori istituzionali". Pensando ai lavori della Conferenza Unificata sui giochi, per esempio, ci si sta concentrando su due versanti: quello della qualità dei punti vendita e quello delle distanze e degli orari. Si tratterà quindi di valutare "quali sono gli strumenti operativi più efficaci, capaci effettivamente di tutelare i soggetti vulnerabili, evitando di ridimensionare il gioco occasionale o di puro divertimento, invece di quello problematico". Ma per farlo, in maniera seria, bisogna essere in grado di capire il fenomeno. Studiando, analizzando, approfondendo. E a ciascuno spetta il proprio compito: industria, politica e istituzioni. Favorendo, finanziando o incentivando studi, indagini e ricerche. Per innalzare una volta per tutte il dibattito attorno al tema del gioco e riuscire finalmente ad adottare provvedimenti utili e una regolamentazione adeguata.

Articoli correlati