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Quando si tenta di curare, invece di prevenire

17 luglio 2017 - 09:53

Nonostante i troppi segnali di declino delle politiche applicate dagli ultimi governi sui giochi, si continuano a rimandare le riforme: e i disagi esplodono.

Scritto da Alessio Crisantemi
Quando si tenta di curare, invece di prevenire

 

Altro che carro davanti ai buoi. Non è certo questo il rischio che si corre nel nostro paese, tragicamente incline ad attendere l'esplosione completa dei fenomeni, prima di intervenire. Ricercando soluzioni, rimedi o palliativi, quando la stalla è ormai svuotata - rimanendo nella metafora. Vittima di un insopportabile malcostume politico capace di rimandare alla successiva legislatura ogni tentativo di riforma, invece di provare a governare in anticipo i cambiamenti, magari cercando di anticipare, talvolta, il culminare degli eventi. Cosa che non accade mai. Neanche per sogno. In un Paese che continua a vivere del culto del proprio passato, mostrandosi sempre più incapace di studiare il futuro. E, peggio ancora, di fare prevenzione. Il tema del gioco rappresenta la cartina al tornasole in grado di rivelare, forse meglio di qualunque altra materia, questo insostenibile modus operandi del nostro Legislatore. Sotto tutti gli aspetti. Vale per la distribuzione del mercato, con gli ultimi governi del tutto incapaci di intervenire nella razionalizzazione dell'offerta nonostante ne avvertano (e ne lamentino, pure) la necessità; ma vale anche dal punto di vista dei rischi di dipendenza patologica, rispetto ai quali, dopo anni di noncuranza e ripetuto lassismo, si arriva alla recente istituzione di un fondo specifico, in grado di raccogliere svariati milioni, la cui destinazione è ancora oggi del tutto incerta, soprattutto in termini di efficacia. Lo stesso registro si applica però anche in termini normativi e regolamentari, con il procastinarsi - ormai da più di un lustro - dei problemi sul territorio, con il Legislatore che non si è mai opposto alle norme locali che violavano il principio della Riserva di Stato, per un "quieto vivere" (e neppure troppo) che è finito col far esplodere quell'ormai insormontabile "Questione territoriale" (ad oggi, sono 17 le Regioni che hanno già emanato leggi restrittive nei confronti del gioco e oltre 150 i Comuni di medie e grandi  dimensioni) che rischia non soltanto di far sparire il sistema legale del gioco, ma di generare anche qualche ammanco nelle casse statali, sempre più difficile da compensare. E se il denaro mancasse all'Erario perché rimasto nelle tasche dei cittadini o perché investito in prodotti o servizi meno "futili" rispetto a quelli del gioco, tanto meglio, si dirà. Ma il rischio che stiamo correndo - e si sta già concretizzando - è di far migrare soltanto la spesa in prodotti di gioco da un circuito lecito a quello illegale, spesso anche legato alla criminalità organizzata. Per un danno duplice e un'autentica beffa.

Tutto questo avviene però alla luce del sole: sotto gli occhi (e per mano) di tutti. In un sistema ormai immune a ogni logica di prevenzione e sempre più orientato alla soluzione d'urgenza dell'ultimo secondo. Salvo poi trovarsi ad impiegare una coperta fin troppo raffazzonata e in genere incapace di tappare anche il minimo buco. Lo abbiamo visto in Liguria con la corsa ai riparti della Regione, costretta a rimandare l'attuazione del divieto di gioco per evitare le ripercussioni in termini di occupazione e illegalità sul territorio. E lo stiamo rivivendo in queste ore in altri territori: dalla Lombardia, al Piemonte all'Emilia, dove sembra presentarsi una situazione simile. Mentre gli altri non sono certo da meno, proponendo pseudo-soluzioni a quella che tutti considerano un eccesso di offerta, salvo poi scontrarsi con la realtà di un mercato che non hanno opportunamente studiato, capito e approfondito, incagliandosi contro vari scogli di carattare attuativo, dovuti per lo più a questioni politiche, economiche o meramente normative. Ma lo vediamo pure spulciando i conti dell'Erario: dopo l'introduzione di una manovra fiscale (quella aggiuntiva, cioè chiamata a recuperare le carenze della precedente, per definizione) che nel dichiarato obiettivo di generale nuove e ulteriori risorse dai giochi (ovvero, dai soli apparecchi), sta finendo coll'affossare definitivamente un'intera filiera, senza neppure tirar fuori un soldo in più. Come rivelano le stime sulla raccolta pubblicate su questo quotidiano nei giorni scorsi. E come denunciato anche dagli addetti ai lavori, che per la prima volta nella storia di un'industria florida come quella del gioco, si vedono costretti a chiedere un tavolo di crisi al Ministero.
Eppure un Paese progredito come il nostro avrebbe il dovere di scrutare i segni di un futuro anche prossimo e provare a innestarli nel dibattito pubblico, almeno per verificarne la tenuta e sollecitare qualche esperimento. Anticipando le esigenze o, comunque, gestendole prima della loro completa detonazione. Evitando di "tappare un buco per tener fuori il vento", come l'Amleto di William Shakspeare, e provando strumenti concreti per invertire la rotta ed evitare il collasso. Sotto tutti i profili, solo parzialmente citati poc'anzi. Le soluzioni ci sarebbero, e pure a portata di mano. Basterebbe soltanto saperle cogliere. Con la volontà politica di risollevare le sorti di un paese, non solo di un'industria (visto che si parla di centinaia di migliaia di posti di lavoro ma anche di salute pubblica), e la giusta dose di coraggio di chi vuole davvero cambiare. Riuscendo a prevenire, una volta tanto, invece di (provare a) curare.
 

 

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