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Che tregua sia: anche per il gioco pubblico

07 maggio 2018 - 09:33

Dopo settimane di stallo, il Quirinale potrebbe incaricare un governo di tregua per sbrigare le pratiche più urgenti. E, magari, per trattare anche il gioco.

Scritto da Alessio Crisantemi
Che tregua sia: anche per il gioco pubblico

 

Solo un “governo di tregua” può salvare il paese dalla situazione di stallo politico e istituzionale in cui è precipitato dopo le elezioni dello scorso 4 marzo. Almeno, questa sembra essere la convinzione più diffusa nelle ultime ore e l'ipotesi più gettonata, al momento, come possibile sbocco della crisi per la formazione del governo. Un’iniziativa che potrebbe prendere il presidente della Repubblica, incaricando un premier terzo da lui scelto. Con il principale obiettivo affidato a tale insolito Esecutivo di stilare la prossima Manovra finanziaria. Oltre a rappresentare l’Italia al vertice europeo del 28 giugno che tratterà materie cruciali per l’Eurozona e i suoi stati. E magari, provare a favorire un accordo fra i partiti per la riforma della legge elettorale. Per quanto realistica possa apparire oggi anche la sola idea di un qualunque punto di incontro tra le diverse parti politiche, tenendo conto dalla sterilità delle consultazioni di questi giorni, decisamente all'insegna del disaccordo.

Per il settore del gioco pubblico, intanto, il protrarsi della situazione di stallo rappresenta inevitabilmente un'estensione del periodo di crisi e di totale incertezza in cui verte la filiera da ormai troppi mesi: senza alcuna possibilità di confronto istituzionale – per mancanza di interlocutori – e senza alcuna prospettiva di cambiamento. Mentre il mercato legale continua a sfaldarsi, sottoposto a limiti e restrizioni sul territorio solo raramente sostenibili, che nel tentativo di tutelare i cittadini e arginare le derive patologiche finiscono con lo smantellare l'offerta legale e decretare la fine di imprese oneste e magari pure responsabili, nel silenzio più generale. O magari addirittura al grido di “ladri” o “biscazzieri” rivolto agli addetti ai lavori, senza rendersi conto che la scomparsa del gioco lecito non può far altro che portare alla sostituzione dell'offerta si Stato con quella della criminalità. Ma tant'è. E l'assenza di un governo (per quanto non si possa certo ricordare un Esecutivo che abbia mai preso le reali difese non tanto dell'industria, bensì dei principi che hanno portato alla legalizzazione del comparto, solo in parte di natura economica) non aiuta certo a riequilibrare il dibattito né tanto meno a salvaguardare le imprese e l'occupazione. Anzi.
Eppure lo spiraglio di apparente stabilità che trapela dall'ipotesi di una possibile tregua istituzionale, lascia intravedere scenari diversi anche per il gioco pubblico. Magari, anche qui, all'insegna di una tregua. Intanto perché l'instaurazione concreta della nuova legislatura, che sarebbe di fatto sancita dall'insediamento di un nuovo premier, consentirebbe se non altro la ripresa a tutti gli effetti delle attività parlamentari, visto che lo stallo politico di queste settimane è finito con l'estendersi anche sui lavori delle camere. Nonostante l'Esecutivo uscente possa comunque garantire l'ordinaria amministrazione, infatti, il notevole cambio di scenario e di equilibri non rendono certo possibile l'esame di provvedimenti e riforme da parte del nuovo parlamento. Così anche l'esame del Def che doveva essere avviato già da tempo, prenderà il via questa settimana con le commissioni speciali che partiranno con l’intervento del ministro dell’Economia Padoan; anche se deputati e senatori puntano a un ricco calendario di audizioni, che terrà il documento in commissione almeno fino a giovedì 17 maggio, con il mandato al relatore per l’Aula dove poi andranno votate le risoluzioni.
Oltre a questo, però, bisogna anche osservare come l'impasse politica stia aumentando le incertezze sulla finanza pubblica, e sul rischio di un risveglio brusco dopo la fase di calma apparente che circonda il nostro debito. Ed è proprio questo timore che potrebbe spingere il Quirinale ad accelerare sulla formazione di un governo di scopo per avviare in fretta i lavori sulla manovra: mossa necessaria soprattutto a evitare un esercizio provvisorio che farebbe aumentare l’Iva e aprirebbe al rischio di fiammate sui mercati.
In ogni caso, qualunque sia la formula di governo che i partiti saranno disposti ad avallare, il mancato accordo sui contenuti che ha pesato finora è destinato a ridurre anche il raggio d’azione della manovra. Che sarebbe concentrata su i provvedimenti giudicati più o meno inevitabili e sui quali si dovranno al più presto trovare le opportune coperture. Nota solitamente dolente per il comparto dei giochi, da sempre utilizzato come “tappa-buchi” dell'economia nazionale. Si pensi che il solo blocco dell’Iva necessita di 12,4 miliardi per il 2019 e 19,1 nel 2020. Senza contare che l’elenco degli obblighi comprende anche altre voci, a partire dal nuovo contratto del pubblico impiego che vale 5,4 miliardi di euro a regime. Senza contare che l’Italia ha appena confermato per l’anno prossimo una correzione di bilancio da oltre 13 miliardi, che peraltro, per essere modificata, ha bisogno di un voto a maggioranza assoluta in Parlamento e di un via libera in Europa che bisognerà sapersi guadagnare. Come e da chi, è tutto da vedere.
Nonostante lo spauracchio di un ulteriore ricorso ai fondi del gioco per far quadrare i conti, comunque, l'ipotesi di un governo di scopo non sembra poi una brutta faccenda per il comparto. Almeno basandosi sui nomi che stanno circolando nelle ultime ore, all'insegna della concretezza e della sostanza. Nell'identikit del possibile premier di un governo di tregua voluto dal Colle, il totonomi che impazza sui media avrebbe individuato alcuni profili istituzionali come quello di Sabino Cassese, ex giudice della Corte costituzionale ed autore - negli anni '90 - di una semplificazione della pubblica amministrazione; oppure quello di Carlo Cottarelli, già commissiario alla spending review. O, ancora, quello di Lucrezia Reichlin, economista e docente di Economia alla London Business School, direttrice generale alla Ricerca alla Bce; Marta Cartabia, dal 2011 giudice costituzionale e dal 2014 vicepresidente della Consulta; Giorgio Alleva, presidente dell'Istat, economista e statistico, ordinario di Statistica alla Sapienza. Una serie di nomi che, in un modo o nell'altro, hanno avuto a che fare col mondo del gioco se non altro da un punto di vista amministrativo. E che potranno, con tutta probabilità, valutare la materia da un punto di vista meramente “tecnico”, e quindi anche politico, ma scevro da condizionamenti ideologici o logiche di partito. Almeno, così si spera. Anche se il mandato affidato a un Esecutivo di tale genere sarebbe, come detto, dichiaratamente orientato ad altri scopi tra i quali non rientra di certo il gioco pubblico. Ma è pur vero che prima o poi la situazione del settore andrà affrontata, specie se si intende tirar fuori non solo ulteriori fondi dal comparto, ma anche soltanto per raccogliere quote analoghe a quelle ottenute negli anni precedenti, visto che anche le ultime stime circolate in Via Venti Settembre sulle entrate erariali e i conti pubblici più in generale, rivelano un calo dei proventi dai giochi. E c'è da scommettere che tanto basta, a qualunque governo, per capire che è arrivato il momento di intervenire.

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