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Il sogno tramontato del gioco pubblico, ma non ancora svanito

24 settembre 2018 - 11:02

Il comparto del gioco pubblico italiano è da sempre considerato un'eccellenza dagli altri paesi del mondo: ora non più, ma nulla è (ancora) perduto.

Scritto da Alessio Crisantemi
Il sogno tramontato del gioco pubblico, ma non ancora svanito

 

In principio era il caos. E alla fine, siamo riusciti a farlo tornare. E' la parabola del gioco pubblico: iniziata con la regolamentazione di un mondo relegato al sommerso e all'illegalità, che in seguito alla legalizzazione avviata agli arbori del Duemila, ha conosciuto un percorso di progressiva emersione e di continua professionalizzazione, che ha portato alla costituzione di una vera e propria industria e di una florida economia, a beneficio dell'intero paese. Il tutto, accompagnato da un sistema di regole e norme, che ha portato ad una serie di soddisfazioni e e riconoscimenti internazionali al nostro Legislatore, essendo riconosciuti da più parti come la nazione con la più efficace gestione del comparto dei giochi, in termini di contrasto all'illegalità e recupero del sommerso, pur riuscendo a garantire quella libertà di impresa che invece manca ancora oggi in altri mercati, bloccati da regimi monopolistici o da oligopoli. Un risultato che, è bene ricordarlo, non è stato facile da raggiungere, ma che scaturisce, al contrario, da un lungo percorso: fatto di molteplici sacrifici (e altrettanti contenziosi, diciamolo pure) e ricco di ostacolo, ma che è finito col dare i suoi frutti. Nonostante le molte storture che ci si è portati dietro nel tempo o che si sono generate durante il cammino, e che l'industria contava di risolvere, guardando avanti, per arrivare a quell'agognato mercato stabile e – finalmente – sostenibile. Un obiettivo che, a un certo punto della storia, sembrava davvero raggiungibile. Dopo aver regolamentato praticamente tutte le forme di gioco (o quasi, in attesa – per esempio - del poker live) disponibili sul mercato e comprese le varie dinamiche di ogni segmento, potendosi basare anche sullo storico degli anni precedenti, per il Legislatore non rimaneva che prendere atto delle anomalie residue e puntare al consolidamento definitivo e generale, attraverso una serie di ritocchi e di provvedimenti orientati alla sostenibilità.

Proprio come sembrava essere stato previsto, nell'ormai lontano 2014, con l'approvazione della legge di Delega Fiscale con cui il Parlamento affidava al governo di allora la competenza (e l'obbligo, ma purtroppo soltanto teorico, com'è evidente) di mettere le mani al settore intervenendo su una serie di aspetti critici: dalla tassazione dei vari settori (da allineare ed armonizzare) alla distribuzione, alla prevenzione. Tutto questo allo scopo di creare, appunto, un settore sostenibile. E un paese migliore. Rimettendo al centro lo Stato, nel presidio del comparto e della legalità, e la tutela dei cittadini tra gli interessi principali dell'agenda politica. Salvo poi accantonare gran parte di quelle riforme indicate dalla Delega, fino ad abbandonarle del tutto. E, addirittura, rinnegandole, come avviene oggi con la nuova linea politica dettata dal governo di e 5Stelle e Lega, che su molti temi sembra andare in direzione addirittura opposta rispetto a quanto indicato in precedenza. Facendo così tramontare quel sogno di un futuro migliore auspicato dagli operatori dell'industria, dopo tanti sforzi, mai premiati fino in fondo. Con il rischio, ogni giorno sempre più concreto, di riportare il settore (e il paese) indietro di quindici anni e cioè prima della legalizzazione, quando il mercato era dominato dall'illegalità e per lo più in mano alla criminalità.
Oggi, va detto, non siamo ancora a quel punto e il sistema, per il momento, continua a tenere dal punto di vista del contrasto all'evasione e alla criminalità: ma è pur vero che il peggio deve ancora venire, e arriverà una volta che verranno al pettine tutti i nodi introdotti dalle ultime disposizioni governative: dal divieto totale di pubblicità del gioco (una manna per il gioco illecito), all'inasprimento ulteriore della tassazione sugli apparecchi da intrattenimento. Fino all'istituzionalizzazione del marchio 'no-slot', che fino a ieri rappresentava una misura paradossale introdotta da alcuni legislatori regionali (e tecnicamente incompatibile con le norme statali), per poi diventare improvvisamente una legge dello Stato.
Nel frattempo, però, il settore deve fare i conti con un percorso tornato ad essere più che tortuoso, in questi ultimi anni e, forse, come mai accaduto prima. Al punto che, già prima di scorgere il vero baratro e arrivare al capolinea, l'industria (e il regolatore, pure) deve fare i conti con difficoltà viepiù crescenti e una complessità talmente elevata, da rendere sempre più difficile operare. Si pensi al settore degli apparecchi da intrattenimento, nel quale, dopo la riduzione del numero di macchine attive sul territorio accompagnata da un forte inasprimento della tassazione, esplode il caos nella gestione dei nulla osta e della titolarità degli apparecchi (o, meglio, dei diritti per la loro istallazione) dovuta al sovrapporsi di norme e leggi che hanno minato sempre più la libertà di impresa nel settore e la libera concorrenza. Rendendo la matassa sempre più ingarbugliata e, forse, ormai impossibile da districare. Ma si guardi anche al settore dell'online: spesso ritenuto “immune” dai cambiamenti di scenario di cui sopra (avendo conosciuto, nel tempo, anche dei “benefici” fiscali, attraverso il passaggio della tassazione al margine, come si chiede da tempo anche per gli altri giochi, ma invano), contro il quale, invece, si scagliano le ultime disposizioni. A partire dal divieto totale di pubblicità, che impatta prevalentemente proprio su questo segmento, rendendo addirittura quasi inutile acquistare una concessione per operare in questo segmento: dopo che il nostro paese aveva appena raggiunto risultati incredibili in termini di emersione e tutela dei consumatori proprio in questo settore, dopo anni di duro lavoro e di politiche internazionali.
Ma se il sole del gioco pubblico sembra ormai prossimo al tramonto, vogliamo qui ribadirlo, non siamo ancora arrivati alla totale oscurità. Con le ultime speranze che, ad oggi, possono essere affidate a quel percorso di riforma del comparto annunciato dall'Esecutivo attraverso lo stesso Decreto Dignità: posto che, come ribadito più volte, lo Stato non può rinunciare al presidio della legalità sul settore (oltre alle ingenti risorse che derivano da questo industria), il governo dovrà comunque trovare una strada per tenere in piedi il comparto. E anche se non sarà di certo vicino alle esigenze delle imprese che lo compongono – come ha dimostrato in questi primi mesi di attività – dovrà comunque garantire il mantenimento di queste attività. Quindi, un futuro. Magari pure sostenibile, seppur diverso da quello attuale. Ma di certo dovrà fare presto, iniziando a delineare il nuovo cammino: tenendo conto che i sei mesi di tempo individuati dal decreto dignità scadranno presto (gennaio 2019), e che la prima occasione utile e ormai alle porte, e rappresentata dalla prossima legge di bilancio. Nel frattempo gli addetti ai lavori dovranno tenere duro, e resistere. In attesa di veder risorgere quel sole, che comunque non è ancora tramontato.

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