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La demagogia ha le gambe corte

12 novembre 2018 - 10:21

Dopo anni di contenziosi dovuti al proliferare di legge regionali, i territori si scontrano con le difficoltà causate dalle loro stesse leggi, e ricorrono alle proroghe.

Scritto da Alessio Crisantemi
La demagogia ha le gambe corte

 

Diciamo la verità: quando un amministratore di un ente locale, che sia una Regione, un singolo Comune o una Provincia, argomenta una proposta di legge adducendo motivazioni riferite alla tutela della salute pubblica e alla sicurezza dei cittadini e dei minori, è impossibile andargli contro. O anche soltanto non dargli ragione. Ed è proprio ciò che avviene, sistematicamente, quando uno di questi soggetti istituzionali propone un'iniziativa legislativa mirata a limitare la diffusione dell'offerta di gioco sul proprio territorio. Anche se si tratta di un'offerta di Stato - quindi gestita e proposta da aziende che lo fanno in nome e per conto dello Stato stesso - e nonostante la Riserva di legge, che prevede(rebbe) la centralità del governo rispetto alla potestà normativa su questa materia, di fronte a motivazioni di questo genere, diventa impossibile sollevare obiezioni. A meno che non si faccia parte di questa specifica industria, avendo quindi un punto di vista più ampio e completo rispetto alla materia e alla sua regolamentazione: ma in questo caso, l'opinione risulta sempre poco gradita, spesso ritenuta anche poco attendibile o peggio ancora “di parte”. Come se volesse mettere gli interessi industriali davanti a quelli pubblici, medici o sanitari.

Per cui, meglio perseguire gli slanci populisti o filo-demagogici (in ogni caso, sicuramente superficiali), mirati a una non ben definita salvaguardia della salute pubblica, che prevedono la pressoché totale scomparsa del gioco (legale) dal territorio. Attraverso gli strumenti assai ricorrenti della limitazione degli orari di esercizio delle slot machine e del cosiddetto “distanziometro”, che risultano tra i più gettonati dalle varie amministrazioni locali. Senza preoccuparsi troppo degli effetti che le loro applicazioni possono avere non solo sull'industria, ma anche e soprattutto sulla stessa comunità che si intende tutelare. Ignorandone la sterilità in termini di disincentivo al gioco e, peggio ancora, la pericolosità dal punto di vista della tutela dell'ordine pubblico. Fino a quando non si arriva a toccarne con mano gli effetti, trovandosi a dover gestire i disagi causati da quella miopia legislativa, in un'evidente eterogenesi dei fini.
Ed è proprio quello che è accaduto – e sta accadendo – nelle varie regioni italiane in cui sono state adottate leggi restrittive che intervengono (in barba alla Riserva di Stato, ribadiamolo) sull'offerta di gioco, a suon di distanziometri e limiti orari. Lo abbiamo visto in Liguria, a Bolzano, ma anche in Puglia, in Abruzzo e (a suo modo) in Emilia Romagna. Con scenari analoghi che si dovrebbero avere anche in Piemonte, in Calabria e in altri territori a seguire. Eppure è dal 2011 (data in cui esplodeva, partendo proprio da Bolzano, la cosiddetta “Questione Territoriale”) che gli operatori del settore e svariate orde di esperti, si affannano a dimostrare l'inutilità e la criticità di un tale approccio marcatamente proibizionista, anche se presentato in maniera meno diretta e più suggestiva. Ma tant'è. Con centinaia di studi, indagini e ricorsi proposti da rappresentanze di vario genere del settore, quasi sempre ignorate dai legislatori regionali: fino a quando non sono arrivati a scontrarsi con la realtà dei fatti e con l'insostenibilità delle loro stesse leggi. Rendendo indispensabile ricorrere a una proroga o comunque a un cambio di marcia rispetto al tabellino inizialmente delineato dalle leggi locali. Certo non potranno venirci a raccontare oggi che non ci poteva rendere conto già da prima dei disagi o delle difficoltà a cui si sarebbe dovuti andare incontro con l'adozione di determinate misure restrittive e imposizioni, vista l'ampia documentazione che si era resa disponibile nel tempo. Al punto che l'Editore di questa testata aveva pensato bene di pubblicare anche un libro dedicato a questa complessa materia (La Questione Territoriale”, Gn Media, 2016), in cui si evidenzia(va) non solo l'insostenibilità di un tale approccio proibizionista, ma anche l'errore tecnico che scaturiva dall'adozione del distanziometro, generando quell'Effetto Espulsivo del gioco legale, che viene oggi ormai riconosciuto da gran parte dei tribunali, mettendo in discussione le norme locali portandole all'esame della Consulta. Dove potrebbe concludersi, una volta per tutte, l'annosa Questione che sta facendo vacillare l'intero impianto normativo che, seppure con mille difetti e troppe difficoltà, aveva visto lo Stato italiano – una volta tanto – eccellere a livello internazionale per l'adozione di un sistema di regole in grado di gestire un fenomeno complesso come il gioco. Riuscendo a far convivere interessi pubblici e privati, certo non in modo perfetto - altrimenti non staremo qui a parlare di questi problemi - ma comunque idoneo a realizzare quegli importanti profitti per lo Stato su cui ha fatto perno per oltre un decennio la nostra economia. E continua a farlo pure oggi, nonostante tutto. Finendo col cedere qualcosa anche alle Regioni, proprio come volevano i legislatori locali, e alla fine hanno ottenuto, attraverso la ripartizione del fondo istituito dal precedente governo. Segno evidente che a qualcosa (o a qualcuno) è servita davvero la Questione territoriale: pur essendo costata cara, non solo all'industria, ma anche alle stesse amministrazioni e ai cittadini. Ora però arriva il momento del redde rationem, con la pronuncia della Corte Costituzionale che dovrebbe arrivare nelle prossime settimane: proprio nel momento in cui il vice premier Luigi Di Maio aveva già annunciato di voler introdurre una sorta di “distanziometro nazionale” all'interno dell'annunciata Riforma del gioco, di cui si attendono ancora oggi ulteriori dettagli. Quello che è certo, in ogni caso, è che non è mai troppo tardi per riformare il settore. Purché la riforma sia davvero degna di questo nome. Chissà che non sia questa la volta buona per dare un senso e una sostenibilità al gioco pubblico, malgrado tutto. E al di là della demagogia.
 

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