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Non c'è peggior sordo di chi non vuol governare

19 novembre 2018 - 10:34

L'eccessiva semplificazione della politica e della comunicazione che la accompagna (e guida) oggi, nasconde i veri problemi e alimenta i disagi: nel gioco e non solo.

Scritto da Alessio Crisantemi
Non c'è peggior sordo di chi non vuol governare

 

C'è un principio chiaro e inequivocabile per tutti coloro i quali si cimentano nella politica, a qualunque livello: non esistono soluzioni semplici a problemi complessi. E' una specie di assioma che vale, peraltro, in termini del tutto generali ma che si applica alla perfezione proprio nella politica che, come noto, rappresenta l'arte della mediazione, perché demandata a gestire questioni complesse e articolate. Anche se in questo particolare momento storico il principio sembra essere messo in discussione dal dilagare dei populismi: a livello internazionale, e in particolare proprio nel nostro paese. Uno scenario dal quale ci aveva già messo in guardia, nel lontano 1944, Luigi Einaudi, attraverso le sue “Lezioni di economia sociale” nelle quali spiegava: “Nelle cose economiche e sociali, la via diritta, salvo eccezioni rarissime, è la via falsa. Solo la via storta, lungo la quale gli uomini cadono, ritornano sui propri passi, esperimentano, falliscono e ritentano e talvolta riescono, è la via sicura e, di fatto, più rapida”.

Parole sante, che varrebbe la pena rileggere e ricordare e per tale ragione le abbiamo volute riproporre. E rievocare. Allo stesso modo, tuttavia, appaiono sacrosante le parole pronunciate dal procuratore Antimafia Federico Cafiero de Raho – tornando ai giorni nostri - commentando l'operazione condotta dalla Direzione Nazionale Antimafia sulle scommesse illegali gestite da clan mafiosi, con le quali raccomandava a quella stessa politica una tutela nei confronti delle imprese sane, le quali sono le prime ad essere danneggiate dal dilagare della criminalità e dall'infiltrazione di quest'ultima nelle attività economiche, di qualunque tipo. In particolare, nel mondo del gioco, dove la quantità di denaro movimentata rende questo settore allettante per le associazioni criminali. Motivo per il quale, verrebbe da dire, le imprese di questo comparto andrebbero senz'altro controllate con particolare attenzione, proprio per scongiurare ed eventualmente rilevare un eventuale infiltrazione malavitosa: ma andrebbero al tempo stesso anche supportate e agevolate dallo Stato, perché rappresentano un baluardo della legalità sul territorio. E uno straordinario strumento di emersione dell'economia sommersa. Che ancora esiste ed è pure assai cospicua, anche nel gioco (ma non solo, purtroppo): altra lezione che ci viene offerta dall'operazione della Dna. Tutelare le imprese, sia chiaro, non significa certo incentivare il gioco d'azzardo o invitare gli italiani a investire di più in prodotti di gioco, come a volte si vorrebbe far credere. Significa, invece, considerare queste imprese alla pari delle altre che costituiscono l'economia nazionale, invece di relegare gli imprenditori e i lavoratori del comparto al ruolo di cittadini di “serie B”, visto che ogni provvedimento che viene preso contro il settore del gioco viene accompagnato sistematicamente da annunci e motivazioni mirate alla (non meglio precisata) “tutela della cittadinanza”. Tutelare le imprese, inoltre, significa anche (e soprattutto) evitare di comprometterne l'attività (legale), introducendo limiti e restrizioni ingiustificate, spesso anche al limite della libertà di impresa sancita dalla Costituzione, con effetti devastanti sul loro andamento. Senza neppure ottenere dei benefici in termini di finalità pubbliche, ma solo nel tentativo di ricercare o assecondare un consenso elettorale, come avviene da qualche anno e da qualche governo, quindi non solo attraverso l'Esecutivo attuale: anche se quello gialloverde si propone dichiaratamente come il più agguerrito nei confronti del gioco, ma senza distinguere tra quello legale o illegale.
E' evidente, oggi (ma è soltanto l'ultimo esempio e non certo il primo), dalle recenti parole del vice premier, Luigi Di Maio, che dimostrano di aver frainteso, oppure non ascoltato, quelle del procuratore de Raho: secondo il leader a 5 Stelle, che si è affrettato a ringraziare le forze dell’ordine “perché come al solito si occupano in prima persona della tutela della vita dei cittadini”, era opportuno evidenziare come “Il Movimento 5 Stelle va avanti in questa guerra contro degrado e disperazione al loro fianco, dandogli tutto il supporto di cui avranno bisogno”. Spiegando come “Quella del divieto alla pubblicità del gioco d’azzardo insieme ad altre importanti norme contenute nel Dl Dignità come l'obbligo di tessera sanitaria per slot-Vlt, è stata solo la prima battaglia vinta realizzando punti del Contratto di Governo. Indagini come questa ci fanno capire che c’è ancora tanto da fare e noi non ci tireremo indietro. Il Contratto di Governo parla di altre misure fondamentali che ci riportano a questa inchiesta e la piaga dell’azzardo online”. Nulla di più distante, quindi, di quanto si sarebbe dovuto ricavare dalle parole del procuratore antimafia visto che il divieto di pubblicità del gioco, come evidenziato più volte dall'industria e da vari esperti, e come sottolineato tra l'altro anche dalla Raccomandazione della Commissione Europea (altro organo che si è dimostrato molto sensibile alla tutela dei consumatori, ma in maniera concreta), comporta il pericoloso effetto collaterale di rendere indistinguibile agli occhi dei cittadini l'offerta di gioco legale da quella illecita. Come è pure risaputo che ogni barriera di accesso imposta al gioco legale, comporta un rischio di ricaduta verso il gioco illecito. E l'indagine della Dna ha evidenziato quanto sia ancora presente e diffuso sul territorio, leggendo i numeri disarmanti che hanno caratterizzato l'operazione.
Diceva ancora Einaudi: “Ricordatevi sempre, quando ascolterete qualcuno il quale vi prometterà, con sicurezza spedita, la certa soluzione di un problema sociale, il quale vi offrirà lo specifico per le malattie sociali, il quale vi farà vedere, al di là di un periodo temporaneo di costrizioni necessarie per vincere il nemico, l’avvento del benessere e dell’abbondanza, vi denuncerà un mostro da combattere (ad es. il capitalismo o il comunismo od il fascismo od il reazionarismo, ecc. ecc.) allo scopo di far trionfare l’angelo e il paradiso terrestre, ricordatevi che colui il quale così vi parla è, nella ipotesi migliore, un illuso e più probabilmente un ciarlatano e diffidatene. Solo la via lunga, seminata di triboli è la buona; perché solo percorrendola, l’uomo impara a migliorare se stesso e a rendersi degno della meta a cui vuole giungere”.
Sono passati settant’anni, ma le sue parole appaiono ancora più valide in un dibattito politico come quello attuale, sempre più basato su slogan e giudizi sommari, utili per attirare il pubblico televisivo e dei social, ma molto meno utili per risolvere i problemi e gestirli in maniera opportuna. Se la via breve, nel caso del gioco pubblico, è rappresentata dall'instaurazione di divieti, di distanze da luoghi sensibili e da inasprimenti della tassazione (ammesso poi che quest'ultimo intervento possa avere un senso in termini di “scoraggiamento” al gioco patologico), la “via lunga”, cioè quella maestra indicata da Einaudi, è quella delle riforme, della gestione oculata e attenta di ogni dinamica che riguarda l'industria e i consumatori, della regolamentazione ferrea e concreta, in grado di stare a passo con le evoluzioni e dinamiche del mercato. Una strada complessa, non c'è dubbio, ma l'unica che renderebbe “degni della meta che si vuole raggiungere”, che in questo caso è rappresentata dalla tutela dei cittadini. Ma non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire. E, peggio ancora, di chi vuole governare un paese senza volerne governare i fenomeni più complessi.

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