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Il mistero buffo dei giochi e il paradosso del legislatore

25 maggio 2020 - 09:38

Ci sarebbe da ridere, osservando la situazione dell'industria dei giochi, se lo scenario non fosse drammatico per gli addetti ai lavori: in attesa di una presa di coscienza generale.

Scritto da Alessio Crisantemi
Il mistero buffo dei giochi e il paradosso del legislatore

La disgregazione nel momento dell'unità. L'aumento delle tasse nel periodo di estrema crisi economica. E, ancora, la prolungata serrata delle agenzie di scommesse sia pure di fronte alla ripartenza anticipata degli eventi sportivi, per un autentico regalo alla criminalità. Ecco una breve lista di accadimenti che si stanno susseguendo in queste ore, dentro e fuori alla filiera del gioco pubblico, che hanno dell'assurdo. Se non fossero, tuttavia, dannatamente reali. Per un'autentica tragedia (visto che non mancheranno le vittime, tra le imprese e i lavoratori del comparto), sia pure nutrita da diversi elementi quasi comici, che si va delineando sotto gli occhi di tutti e con fin troppi complici che stanno contribuendo alla sua realizzazione. La decisione del governo di prolungare la chiusura delle attività di gioco, senza nessuna discussione, proposta o valutazione rivolta a questo settore, non ho trovato alcuna opposizione. Né tanto meno ha sollevato alcuna osservazione. Non da parte degli enti locali, né tanto meno da parte di tecnici o consulenti vari. Nessuno sembra preoccuparsi del comparto giochi: né ora, né mai. Non che la riapertura delle sale da gioco debba essere la priorità di un paese e, quindi, di un governo: ci mancherebbe altro. Del resto, la stessa industria non ha mai detto di ripartire per prima o con chissà quale tipo di anticipazione rispetto ad altri settori. Tutto quello che hanno provato a chiedere le associazioni di categoria e le varie rappresentanze sindacali, è stato semplicemente di occuparsi della loro situazione, insieme a tutte le altre. Magari alla pari, una volta tanto. Considerando cioè questo settore così importante dell'economia nazionale – sia in termini economici che occupazionali – come un comparto “normale”. Una filiera come tutte le altre, insomma: niente di più e niente di meno. Ma il messaggio non sembra essere arrivato a destinazione. Anzi, al contrario, il governo insieme a tutti gli altri soggetti istituzionali che intervengono nella regolazione e gestione dell'emergenza Covid-19, si sta occupando davvero di tutto, fuorché dei giochi.

Con qualche piccola eccezione: ma tutt'altro che positiva. Sì, perché le uniche citazioni relative ai giochi si sono avute nel decreto rilancio, di recente approvazione dall'esecutivo, con il quale vengono forniti aiuti a tutti i tipi di imprese e di lavoratori, con l'unico aumento delle tasse disposto durante la più grande crisi economica della storia recente che riguarda proprio i giochi. Facendo riferimento a quell'aumento del prelievo sulle scommesse sportive da destinare al mondo dello sport. Una decisione politica che non solo rischia di dare il colpo di grazia definitivo al settore, già vessato da ripetuti rincari nel corso degli ultimi cinque anni e a rischio scomparsa dopo oltre due mesi di lockdown, ma che contiene al suo interno anche ulteriori elementi critici e delle assurdità anche dal punto di vista tecnico e fiscale. Come l'applicazione al segmento del betting exchange, per il quale la nuova tassazione, legge alla mano, passerebbe addirittura al 110 percento. A testimoniare con quanta attenzione venga affrontata la materia giochi dalla politica. Anche se, in realtà, si tratta di conti pubblici, più che di giochi: e questo dovrebbe farci preoccupare un po' tutti, e non solo gli addetti ai lavori. 
Ma non è questa l'unica scelta che deve suscitare preoccupazione (e indignazione, pure). Ben più grave, infatti, è la decisione di prolungare la serrata dei giochi, fino a data da destinarsi e comunque non prima del 15 giugno, mentre nel frattempo si fanno ripartire altri settori, tra cui gli eventi sportivi. Si tratta di una scelta pericolosissima, che non può continuare a sfuggire all'opinione pubblica e ai media e per tale ragione continueremo a evidenziarla fino alla noia. Per evitare che uno scempio di questo tipo venga davvero commesso. Come evidenziato già prima dell'ultimo Dpcm che prorogava l'interruzione dei giochi, la ripartenza dei principali avvenimenti sportivi – per di più a porte chiuse, quindi come se si facessero quasi unicamente per scommettere – senza l'apertura delle agenzie di scommesse “terrestri” rischia di riconsegnare definitivamente il mercato alla criminalità. Invece, non solo il governo sta pensando di far ripartire il campionato di calcio prima dei giochi, ma ha pure consentito la ripartenza delle corse ippiche già da questa settimana. In un settore dove le scommesse clandestine hanno sempre proliferato, almeno prima della legalizzazione e della creazione della rete di raccolta di Stato. Non è un caso, probabilmente, che l'Agenzia delle dogane e dei monopoli, insieme alla Guardia di Finanza, abbia condotto un'operazione di grande portata, nelle scorse ore, contro le agenzie di scommesse abusive, dopo che nei giorni scorsi si erano moltiplicate le segnalazioni (di cui avevamo dato notizia su questo quotidiano) di centri di raccolta (Ctd) aperti anche durante il lockdown. Come del resto, va detto, stanno arrivando anche segnalazioni di locali aperti con al loro interno delle “slot machines”, che certo avranno poco a che vedere con quelle regolari, per le quali la raccolta è inibita. Tenendo quindi conto dell'impossibilità oggettiva e fin troppo evidente di riuscire a controllare l'intera Penisola per tentare di arginare l'illegalità, il modo migliore per celebrare il ritorno del Far West nel gioco sarebbe ancora una volta quello di puntare sulla rete legale, come strumento principale per arginare l'illegalità. Visto che i protocolli per operare in sicurezza esistono, anche nei locali di gioco, e sono già stati realizzati per ogni tipo di attività (nonostante l'attuale disgregazione tra componenti della stessa filiera, di cui accennavamo in premessa, che rappresenta un altro grave errore e paradosso di questo momento). E, forse, alcuni locali di intrattenimento possono apparire assai più sicuri di tante altre attività che sono state già autorizzare alla riapertura, anche nelle precedenti settimane. 
Per questo, la scelta del legislatore di non scegliere sui giochi, è pericolosa. E insopportabile – diciamolo pure – visto che tutto questo va in scena proprio nei giorni in cui si celebra l'anniversario dell'uccisione del giudice Falcone, che ha visto spendere fiumi di parole sulla necessità di combattere la criminalità e sui rischi di vedere le mafie riprendere nuovo e ulteriore slancio in questo periodo, proprio a causa dell'emergenza provocata dalla pandemia. Ma senza che nessuno abbia citato né valutato il rischio di infiltrazione più facile e evidente che potrebbe essere compiuto in questi giorni: con la criminalità organizzata che non avrà neppure bisogno di cannibalizzare le imprese legali a secco di liquidità, come accade in tanti altri settori, visto che in questo caso sarebbe lo Stato a consegnargli direttamente in mano il mercato. Tutto questo, non può e non deve accadere e il governo dovrà rendersene conto, prima che sia troppo tardi. Per una presa di coscienza urgente e necessaria, che qualcuno dovrà pure scatenare. Magari anche favorendo una riflessione ulteriore e più generale - e se vogliamo anche più semplice, ma non per questo banale - dell'esistenza di una cultura popolare, e di una tradizione, che è stata sempre posta in piano subalterno rispetto alla cultura ufficiale, che vede gli italiani come un popolo di inguaribili giocatori. E tutti sanno quanto è difficile – se non impossibile – sradicare una tradizione secolare, o pesare di cambiare la realtà. Forse sarebbe più utile e saggio, come fece Dario Fo nella sua più celebre opera teatrale del Mistero Buffo, provare a rovesciare il punto di vista generale, ponendo l'accento sulla mistificazione degli avvenimenti storici nel corso dei secoli, prendendo atto della realtà, una volta per tutte. Nel nostro caso, come detto, la realtà è una e semplice: agli italiani piace giocare, e non c'è niente di male. Si tratta soltanto di farglielo fare in sicurezza, sotto tutti gli aspetti. Economici, sociali, medici e sanitari. Sappiamo già che è possibile farlo, e lo è anche in tempi di coronavirus. E se, come è vero, in alcuni aspetti esistono ancora delle lacune – come nella cultura del gioco responsabile o nelle attività di prevenzione e riduzione degli eccessi – si tratta di affrontarle e risolverne. In maniera decisamente opposta rispetto a quella a cui si sta assistendo in questi giorni.

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