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Intesa o no, lo Stato decida il futuro del gioco

31 agosto 2020 - 08:29

Nel periodo più caldo per il governo, tra ripartenza della scuola e rilancio dell'economia da definire in questi giorni, preoccupa lo scivolone del Consiglio di Stato sui giochi.

Scritto da Alessio Crisantemi
Intesa o no, lo Stato decida il futuro del gioco

 

Ci risiamo. Nonostante i (presunti) buoni propositi del governo rispetto al possibile riordino del gioco pubblico, che trovano i primi bagliori di concretezza già dell'approvando decreto “Agosto”, e di fronte agli ancor più promettenti slanci di ottimismo scaturiti dalla recente pronuncia del Consiglio di Stato rispetto alle restrizione adottate dal Comune di Monza, sono bastati soltanto pochi giorni per far tornare gli addetti ai lavori del comparto con i piedi per terra: prendendo atto della situazione reale, che a differenza dei più rosei auspici, continua a rivelarsi non dissimile rispetto a quella del passato.

Vale a dire quella “solita”, tipica ambivalenza dello Stato, in perenne lotta contro sé stesso, attraverso i propri apparati, ma anche all'interno degli stessi organismi. Come è evidente proprio guardando al Consiglio di Stato il quale, nel giro di dieci giorni, è riuscito a emettere un parere favorevole al settore del gioco, per poi produrre una sentenza diametralmente opposta (emessa in sede giurisdizionale dalla Sezione Quinta) esprimendosi rispetto al ricorso di Appello intrapreso dal Comune di Guidonia Montecelio, contro la sentenza del Tar Lazio dello scorso anno con la quale veniva annullata l'ordinanza sugli orari di gioco del comune della provincia di Roma, poiché non seguiva i criteri stabiliti dall'intesa in Conferenza unificata nel 2017, dando ragione al comune laziale.
 
Un verdetto che fa dunque vacillare quella piccola ma grande certezza che si era andata consolidando nella giurisprudenza e - ancor più – nella prassi amministrativa, relativa alla validità sostanziale dell'Intesa siglata nel 2017 tra il governo e gli enti locali all'interno della Conferenza unificata sulla regolamentazione del gioco.ùUna legittimità che lo stesso Consiglio di Stato sembrava aver certificato appena qualche giorno fa, salvo poi “smentirla” di fatto con la pronuncia di Guidonia, con la quale stabilisce che “all’intesa non può riconoscersi ex se, e senza che i suoi contenuti siano recepiti nel decreto ministeriale (non adottato, Ndr), alcuna efficacia cogente”.
Pur avendo comunque riconosciuto il “potere di indirizzo e coordinamento dello Stato in relazione ad un settore che investe in maniera trasversale materie di competenza anche delle regioni”. 
 
Un caso, dunque, decisamente anomalo, ma non per questo nuovo. Non per il gioco, almeno, rispetto al quale si tratta anzi di una sorta di dejà-vu. Basti pensare al caso analogo andato in scena appena un anno fa, quando gli stessi giudici di Palazzo Spada, in una sentenza relativa alla regolamentazione del settore a Bolzano, assumevano una posizione opposta rispetto a quella avallata in precedenza.
 
Nulla di nuovo sotto il sole del gioco, dunque. Anche se tutto appare oggi da rifare. Venendo a mancare, probabilmente, quell'unico appiglio che si presentava come una base per la ricostruzione del comparto – quale punto di partenza per l'atteso riordino - dopo che le stesse istituzioni, già prima del Consiglio di Stato, avevano ritenuto sostanzialmente validi i principi contenuti nell'accordo del 2017, anche se quest'ultimo non era stato successivamente e formalmente attuato.
 
Adesso, dunque, il verdetto di Guidonia sembra rimettere tutto in discussione anche se – va detto – la materia rimane sostanzialmente allo stesso identico punto di partenza: quello cioè in cui, al di là di qualunque indirizzo giurisprudenziale, ciò che conta per la definizione di una riforma come quella attesa dal comparto, è la reale volontà politica di realizzarla. Se il governo e/o il Parlamento avessero un'idea chiara sulla gestione del gioco pubblico e sulla sua presente e futura regolamentazione, poco altro servirebbe per scrivere un sistema di regole certe definitive da applicare al comparto e sul territorio. Proprio questo, dunque, continua a essere il vero punto della questione: e, forse, anche l'autentica nota dolente, vista la totale continuità che sembra ravvisarsi tra questo esecutivo e i precedenti rispetto a determinate materie. Tra le quali, naturalmente, il gioco sembra essere la più delicata, o comunque quella ancora sottoposta a trattamenti ideologici e mai strettamente “politici”, nel senso più aulico del termine.
 
Al di là di qualunque tecnicismo proveniente da Palazzo Spada o da qualsivoglia tribunale sull'applicabilità o meno di un provvedimento o sulla sua attuazione concreta, è piuttosto evidente che se ci sarà la volontà di affermare determinati principi sulla gestione di un comparto pubblico, il governo ha tutti gli strumenti per farlo, come pure il parlamento. Com'è altrettanto evidente che, Consiglio di Stato o meno, il vecchio accordo siglato in Conferenza unificata nel 2017, per poter essere effettivamente adottato, avrebbe comunque necessitato di un nuovo passaggio nella stessa sede, o comunque, di una formale approvazione da parte degli enti locali, per evitare apparenti imposizioni (e inevitabili strumentalizzazioni) a cui si andrebbe sempre incontro senza un'opportuna mediazione. E chissà se in questo senso, il recente "dietro-front" dell'organo consultivo dello Stato sui giochi, non possa servire ad accelerare i tempi di una discussione della materia tra governo e Regioni. Visto il tavolo già aperto e su più fronti, a causa della pandemia, che ha costretto i due pezzi dello Stato a un dialogo costante e un'inevitabile convergenza (sia pure forzata) su tanti punti, spesso anche scomodi.
 
Proprio come continua a rivelarsi il comparto giochi: scomodo e pure ingombrante. Ma così tremendamente importante, soprattutto in tempi di crisi e in periodo di ristrutturazione dei conti pubblici, come quelli che stiamo vivendo oggi, con l'esecutivo che nei prossimi 50 giorni dovrà dirimere alcune tra le più delicate questioni nella storia delle Repubblica.
 
Oltre a dover chiudere la partita sul decreto semplificazioni e sulla “manovrina” estiva (Dl Agosto), ci sarà da predisporre la Nota di aggiornamento al Def (NaDef), definire i criteri relativi il Recovery fund (recependo anche le indicazioni del Parlamento, degli enti territoriali e delle associazioni di categoria), e mettere nero su bianco la prossima legge di bilancio. Tutte questioni sulle quali non si può affatto giocare.

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