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Il popolo vuole risposte: il gioco, pure

28 settembre 2020 - 08:54

All'indomani delle elezioni regionali (e del referendum) si delineano nuovi scenari per governo e parlamento, ma anche per il gioco pubblico.

Scritto da Alessio Crisantemi
Il popolo vuole risposte: il gioco, pure

Dopo il sostanziale pareggio con cui si è conclusa la partita elettorale giocata in occasione delle elezioni Regionali - di cui abbiamo già analizzato le possibili conseguenze per il mercato del gioco pubblico, ancora osteggiato dall'annosa “Questione territoriale” - ciò che appare con estrema chiarezza è il messaggio lanciato dagli italiani attraverso le urne. Anche in virtù del verdetto del referendum costituzionale che ha accompagnato le elezioni locali: dove la vittoria del “Sì” al taglio del parlamentari vede affermarsi il principio ideologico gridato a gran voce, fin dalle origini, dal Movimento 5 Stelle (consentendo all'auto-proclamato “nemico” numero uno del comparto, Luigi Di Maio, di riprendersi la scena), pur rendendo comunque evidente che il Movimento non può più vivere di sola antipolitica. Sì, perché, nonostante il palese risentimento manifestato dalla cittadinanza nei confronti della “casta” e di un certo modo di fare politica, emerge con altrettanta chiarezza che il populismo – pur continuando ad avere una certa presa sugli elettori – ha cambiato forma ed espressione. E, forse, anche gli obiettivi. Dopo i tanti strali e i troppi annunci, spesso anche non corrisposti da fatti, è arrivato il momento di dare risposte concrete al paese, magari anche attraverso (vere) riforme. Ora che anche i capisaldi del Movimento cominciano a scricchiolare, mettendo in evidente tutta la limitatezza delle proposte che avevano raccolto grande consenso nella precedente campagna elettorale, non c'è più spazio per tutte quelle battaglie puramente ideologiche che il consenso non lo hanno neppure mai avuto, pur essendo state comunque assimilate di default dagli elettori a 5 Stelle, anche senza crederci del tutto. Proprio come avvenuto con la battaglia “anti-gioco”: che non ha certo trovato oppositori, fin dalle sue origini, visto che non c'è niente di male nell'invocare la tutela dei consumatori o della salute, come viene sistematicamente annunciato quando si deve inveire contro il settore. Ma adesso, a distanza di anni, si è ormai palesata l'inconsistenza di certe battaglie, soprattutto nel gioco: dove i vari territori che hanno dato spazio alle rivendicazioni a 5 Stelle hanno dovuto fare marcia indietro per manifesta inapplicabilità ma anche per il disastro occupazionale che certe disposizioni avrebbero provocato e senza alcun beneficio per la comunità. Anzi. Anche a livello nazionale comincia a essere evidente l'inconsistenza e criticità di altre misure, come quella del divieto di pubblicità voluto dallo stesso Di Maio con il decreto Dignità, che passerà alla storia, forse, più che altro per le frasi a dir poco “buffe” con cui è stato accompagnato: tipo quella (celebre) dell'abolizione della povertà. Peggio ancora guardando alle conseguenze provocate dall'argomento cult del Movimento: ovvero, il Reddito di cittadinanza. Alla luce della recente inchiesta di Goffredo Buccini e Federico Fubini per il Corriere della Sera in cui viene messo in evidenza come tale misura di (presunta) assistenza nei confronti della fasce deboli della popolazione si sia dimostrata un autentico flop, andando addirittura ad alimentare il lavoro nero. 

Questo, del resto, è l'inevitabile destino di tutte le misure scaturite da iniziative di stampo puramente elettorale, adottate sui due piedi senza alcuna reale analisi di impatto sulla società e sull'economia reale del paese. Senza preoccuparsi delle distorsioni o alterazioni che possono essere causate in termini di mercato, di concorrenza e, quindi, di economia e benessere generale. Basta guardare, di nuovo, a cosa è accaduto al settore del gioco pubblico dopo l'adozione del decreto Dignità, che è finito col favorire il gioco illecito: oppure, ancora, all'introduzione delle restrizioni locali, quando il governo (precedente) è riuscito addirittura ad elevare a norma nazionale anche una misura palesemente incoerente con il diritto costituzionale come quella del bollino “no-slot” per i locali pubblici (quando le stesse slot rappresentano un prodotto dello Stato, offerto in concessione).

Oggi, peraltro, il 5 Stelle deve fare i conti con altri problemi e con un risentimento generale della base, vieppiù crescente e ormai innegabile, dovuto anche al fatto che, giunti alla seconda esperienza di governo, non è più possibile gridare contro i privilegi quando si gode di stipendi elevati, scorte, auto blu, e via dicendo, esattamente come i politici che un tempo si combattevano. Con il “caso Tridico” esploso in queste ore, che vede il presidente dell’Inps voluto dai Cinquestelle con lo stipendio più che raddoppiato da quando si è insediato: in un periodo di forte recessione reso ancora più grave ed evidente dal momento che gli italiani devono fare i conti con il collasso dell'economia dovuto alla pandemia, che sta alimentando il già elevatissimo tasso di disoccupazione. In questo scenario di così evidenti e gravi contraddizioni, figuriamoci se si può ancora continuare a parlare di azzardo, come se fosse l'unico problema del paese. O come se fosse una priorità, per gli italiani. 
Anche il governo, dunque, è di fronte al redde rationem: nonostante il “pareggio” delle elezioni regionale abbia (forse) scongiurato la crisi ed evitato il rimpasto, la maggioranza dovrà comunque dare risposte concrete alla cittadinanza, che le chiede sempre più a gran voce. Risposte che possono scaturire unicamente dall'adozione di riforme: rese urgenti e impellenti, peraltro, anche dal piano di Recovery Fund che dovrà essere condiviso con Bruxelles, se vorremo poter attingere a quei famosi miliardi promessi dalla Commissione europea, di cui abbiamo tremendamente (e urgentemente) bisogno.
Ad attendere un serio piano di riforme, dunque, non solo solo i cittadini, ma anche l'Europa: e pure il gioco pubblico, visto che lo Stato non potrà certamente fare a meno dei proventi portati da questo settore. Ma per poter ricevere le stesse entrate (e, magari, anche di più) dal settore, si dovrà inevitabilmente adottare una riforma generale del comparto, partendo dalla riorganizzazione del territorio. Come l'industria continua a chiedere a gran voce. Ora che i tempi sembrano essere maturi (anche se il governo, forse, un po' meno).
Intanto, mentre si attendono risposte dalla politica, la settimana del settore sarà segnata ancora dalla pandemia, in vista della scadenza del 15 ottobre dello stato di emergenza, con l'ipotesi di una proroga fino a fine mese o a fine anno che appare sempre più probabille. Come probabile, del resto, è anche il rischio, se i contagi continueranno a salire e i focolai aumenteranno, che sindaci e presidenti di regione predispongano altre ordinanze restrittive come quella che in Campania prescrive la mascherina all’aperto. Tutto questo per scongiurare un altro lockdown che risulterebbe devastante per l'intero paese e per qualunque settore, giochi compresi. Ed è in questo scenario che il settore, nonostante tutto, si ritrova in questi giorni alla tradizionale fiera: sia pure decimata e non solo posticipata di oltre sei mesi. Con quello che, secondo alcuni, poteva essere un segnale di forza e di ripartenza che è stato visto da altri come un segno negativo e controproducente, oltre che inutile. Come del resto sta avvenendo anche in altri settori: dopo la settimana della moda di Milano e l’ingeneroso trattamento di certa stampa francese, che viene seguito dal nuovo inizio delle sfilate di moda a Parigi. Per un segno evidente, dunque, che tutto il mondo è paese: oltre al fatto che, in ogni ambito, si applicano mille pesi e mille misure. Ma anche sotto questi aspetti, è giunto il momento della concretezza.

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