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Mazziati e discriminati: la misura ormai colma del gioco pubblico

26 ottobre 2020 - 09:52

Dopo il “trattamento di sfavore” del precedente Dpcm, con l'ultimo decreto del premier il comparto del gioco pubblico viene ulteriormente compromesso e ancora discriminato.

Scritto da Alessio Crisantemi
Mazziati e discriminati: la misura ormai colma del gioco pubblico

Ci risiamo. Anche stavolta, con l'ennesimo Dpcm emanato dal premier Giuseppe Conte, a farne le spese sono gli addetti ai lavori del gioco pubblico. Non gli unici, in questa occasione - com'è evidente dai movimenti di protesta esplosi ormai in tutta la Penisola - ma ancora una volta, tra i più penalizzata. Soprattutto perché, ancora una volta, non si capiscono le ragioni che abbiano potuto portare il governo ad optare per la serrata semi-totale delle attività del gioco. Dal punto di vista tecnico-scientifico, come ci risulta dovrebbero essere valutate certe decisioni, non si riesce a intravedere alcuna spiegazione plausibile per interrompere la raccolta di giochi, lasciando spazio all'unica interpretazione possibile (e pure ricorrente) che è quella legata a una battaglia ideologica condotta dall'esecutivo nei confronti del comparto. Dopo aver già dimostrato l'insussistenza (e inconsistenza) del criterio della “primaria necessità” per disporre la chiusura dei giochi, a rendere ancora più assurda la decisione appena presa dal premier con l'ultimo Dpcm è il fatto che, nelle sale da gioco, di qualunque tipologia, non si sono mai registrati dei focolai, non è mai stato ravvisato alcun tipo di assembramento mentre, al contrario, è già stata dimostrata più volte la rigorosa applicazione delle regole e misure di contenimento con i protocolli di sicurezza pedissequamente adottati da gestori ed esercenti che hanno sempre garantito il regolare svolgimento delle attività in totale sicurezza, per i dipendenti come per i giocatori. Tanto basta a rendere incomprensibile la decisione adottata dall'esecutivo nei confronti del comparto, visto che oggi, a differenza dello scorso marzo, la chiusura totale non riguarda tutte le attività, con gli altri settori che possono continuare a operare, sia pure ad intermittenza e ad orari fortemente restrittivi. E non si comprende perché lo stesso tipo di soluzione non potrebbe essere adottata anche per i giochi. Ancora più incomprensibile, poi, pensando alla necessità di entrate erariali di cui ha bisogno il governo e quindi il Paese e alle quali si sta invece rinunciando con queste disposizioni, andando oltretutto a mettere in difficoltà migliaia di imprese e a compromettere il futuro di altrettanti lavoratori. Per questo, tra le persone che sono scese in piazza in varie zone d'Italia, ci sono anche gli addetti ai lavori del comparto giochi e quella dell'intero indotto, che risentono inevitabilmente di queste restrizioni. Proteste che non hanno nulla a che fare con quelle dei “negazionisti” né tanto meno con quelle dei facironosi armanti di Napoli o di altri territori. In questo caso si tratta di giustizia e di sopravvivenza, che è tutto ciò che chiedono quei lavoratori. Ovvero, di poter essere trattati alla pari di altri lavoratori, senza subire discriminazioni (alle quali, purtroppo, sono  invece ormai abituati i lavoratori del gioco pubblico), e di vedersi garantito un futuro, che oggi è difficile anche soltanto immaginare, per tanti di loro.

Proteste, peraltro, che non sono affatto destinate ad affievolirsi. Anzi, al contrario, ne sono previste molte altre, spontanee o meno, per i prossimi giorni: a partire da quella degli operatori dei pubblici esercizi con Fipe-Confcommercio che sarà in piazza il 28 ottobre. 

Non a caso, il premier si è affrettato a spiegare, annunciando le ultime misure, che non mancheranno intervento di “ristoro” per le categorie più colpite e che gli interventi, stavolta, saranno immediati e diretti. Con tanto di rilancio, pressoché immediato, anche da parte del Ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, che ha già promesso indennizzi entro metà novembre, superiori ai precedenti. Il premier ha promesso che nessuno verrà lasciato solo: anche se il gioco, visti i precedenti, preferirebbe quasi essere ignorato e continuare a lavorare, per provare a salvare il salvabile e a recuperare i mesi perduti in precedenza.

Le realtà interessate dai ristori, infatti, stavolta “sono molte, più di 300mila, forse 350mila”, cioè “tutte le aziende ed esercizi pubblici che sono oggetto delle restrizioni introdotte dal Dpcm”. Troppe, probabilmente, per immaginare una reale e concreta copertura per tutti. Da qui la preoccupazione degli addetti ai lavori, non solo dei giochi. Del resto, basta guardare i dati per farsi un'idea. Nel mese di settembre oltre 400mila dipendenti di bar e ristoranti sono rimasti a casa senza lavorare, secondo le stime provenienti dall’Ufficio Studi della Fipe – Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi, sulla base dei dati relativi alle ore di cassa integrazione in deroga diffusi oggi dall’Inps ed ai contratti di lavoro a tempo determinato.

Secondo l’Istituto nazionale di previdenza, infatti, nel corso del mese di settembre sono stati autorizzate oltre 8,7 milioni di ore di Cassa integrazione in deroga per i lavoratori di alloggio e ristorazione: partendo da questo dato, Fipe ha calcolato che tra lavoratori in cassa integrazione, circa 50mila persone, e contratti a tempo determinato non attivati, circa 350, la metà degli 850mila dipendenti di bar e ristoranti non è stato impiegato nel corso dell’ultimo mese. Un dato ritenuto “drammatico” dalla Federazione, che dimostra non solo che il settore dei Pubblici esercizi è tra i più colpiti a causa della pandemia e delle misure di contrasto alla diffusione del virus, ma anche che, subito dopo l’estate, moltissime attività di ristorazione hanno chiuso i battenti o lavorano al minimo lasciando a casa i dipendenti. Con le previsioni per i prossimi mesi che “sono ancor più negative se si pensa alle misure restrittive adottate da governo e Regioni nell’ultima settimana”. Per questo, secondo gli operatori, è il momento di agire, facendo sentire la propria voce. Nella speranza che sia il governo, poi, ad agire e non solo a far sentire la sua voce, attraverso i ripetuti annunci. Visto che le disfunzioni, carenze e anomalie di vario genere che hanno caratterizzato la gestione dell'emergenza e l'erogazione dei contributi o incentivi alle imprese e ai lavoratori.

 

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