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Ippica, Barbaro: 'Una questione anche locale'

24 agosto 2018 - 08:10

Claudio Barbaro, senatore della Lega, lancia la sua ricetta per il rilancio dell’ippica italiana, ripartendo dalla riforma Zaia.

Scritto da Redazione
Ippica, Barbaro: 'Una questione anche locale'

In che modo il nuovo Governo può rilanciare il settore ippico italiano? Una domanda che si sente risuonare spesso, vista la situazione non facile del settore e che, ora, con il nuovo Governo, torna a porsi.
“È una materia molto complessa oggetto di numerosi approfondimenti maturati su tavoli tecnici già dai precedenti esecutivi. Basti pensare alla Legge Delega Ffscale, che riformava tutto il settore dei giochi e conteneva anche una riforma dell’ippica”, afferma il senatore della Lega e  presidente nazionale di Asi - Associazioni Sportive e Sociali Italiane, Claudio Barbaro, intervenuto già sulla questione, annunciando un piano di promozione che dia sostegno ai professionisti e sviluppo agli impianti di proprietà delle amministrazioni locali.
“Quella riforma – prosegue - si ispirava alla precedente del ministro Luca Zaia, iniziata nel 2008/09 e mai conclusa in quanto l’allora Unire non terminò il lavoro di implementazione del progetto dopo il passaggio del ministro alla regione Veneto. Oggi auspichiamo che il lavoro iniziato da chi ci ha preceduto, e che non ha mai potuto essere portato a termine, trovi finalmente un suo coronamento legislativo”.
La riforma del settore su che basi dovrebbe puntare?
“Molte componenti del settore sono fermamente convinte che la riforma dovrebbe basarsi sul ritorno della gestione operativa ad un ente privatistico come previsto sia nella riforma di Zaia che nella successiva riforma della Lega Ippica Italiana.
Ma non è solo un problema di componenti produttive/imprenditoriali del settore – allevatori (trotto e galoppo), società di corse, proprietari (trotto e galoppo) – ma, come molti dimenticano, anche delle amministrazioni locali.
C’è una filiera ben precisa che parte dai cavalli e arriva agli ippodromi. La riforma deve seguire di pari passo tutto il sistema, a partire dall’allevamento che deve essere praticato seguendo canoni scientifici di genetica e non di casualità. Anche l’argomento del fine carriera deve poter trovare spazio nei ragionamenti ed, in questo, Asi Sport Equestri è da anni capofila di una politica di rieducazione e ricollocamento di tutti quei soggetti idonei a trovare spazio in altre attività, alcune delle quali assolutamente benemerite (come quelle dedicate alle famiglie ed ai diversamente abili nello sport e nella terapia)”.

In che modo intendete coinvolgere gli enti locali?
“Gli enti locali sono nella stragrande maggioranza dei casi i proprietari degli ippodromi. Si tratta di spazi grandi e attrezzati, che potrebbero garantire un gettito importante alle amministrazioni. Ma ciò non accade, in primis per una generale disattenzione verso gli ippodromi che mette anche in difficoltà quel complesso sistema di gestori privati in concessione che investono quotidianamente negli impianti.
La tradizione europea degli ippodromi come luoghi di incontro, di festa, da vivere con le famiglie e con i bambini – basti pensare a Paris Longchamp – può trasformarsi in un know-how anche italiano su un tavolo comunitario in cui lo scambio di competenze, attraversando tutta la filiera, può mettere in gioco i anche i grandi allevatori italiani.
C’è anche tutto un discorso sul benessere che ruota intorno alla figura del cavallo e che ha sempre più respiro sociale. Gli ippodromi potrebbero, in questo senso, diventare anche luoghi attrezzati per tutte quelle attività a sfondo salutistico che passano per la natura del cavallo come strumento terapeutico. Presso l’ippodromo romano delle Capannelle è attivo, già da qualche anno, un progetto che vede una parte dell’impianto affidata ad Asi Sport Equestri proprio per attività sportive, educative e terapeutiche che coinvolgono anche soggetti diversamente abili”.
È possibile pensare, in questo senso, a un vero e proprio piano di promozione dell’ippica?
“Io non solo credo che sia possibile pensarlo ma che debba trovare tra i primi attori proprio le amministrazioni locali che gestiscono gli impianti. L’ippica non è come il calcio, non si può vivere anche in poltrona, qualunque siano i pollici che abbiamo davanti. Per promuovere l’ippica, dunque, è necessario dare valore agli spazi dove l’ippica italiana è nata e cresciuta prima che muoia definitivamente. Se non diamo valore alla grande tradizione degli ippodromi – che, in moltissimi casi, sono delle vere e proprie opere di grande valore architettonico – non potremo mai dare valore all’intera filiera dell’ippica”.
Quanto conta ripartire dal concetto di ippica come sport? In che modo si può fare?
“L’ippica ha degli aspetti che possono essere considerati sportivi a tutti gli effetti. Anche se ad oggi non fa riferimento al mondo Coni, esistono enti che tentano con impegno di tenerla in vita e rinnovarla nell’immagine e nell’impiego, primo tra tutti l’Asi le cui attività giovanili di minitrotto e minigaloppo con pony vengono svolte con regolarità e con enorme soddisfazione, come avvenuto per la vittoria del campionato del mondo dei minitrotter giunta nel settembre scorso ad opera di una società Asi del napoletano.
Ciò che occorre, nel piano di riforma, è sicuramente è una dichiarazione ufficiale che permetta all’intero mondo dell’ippica di esser riconosciuto come sport, anche alla luce dei grandi risultati dei cavalli italiani che non sono mai mancati, arrivano costantemente e continueranno ad arrivare”.

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