“Si evince chiaramente dagli esami della documentazione versata in atti che nella fattispecie risulta rispettato il requisito della distanza minima tra la sala bingo gestita dalla ricorrente e i locali presso i quali sarà ubicata la sala bingo delocalizzata. I funzionari di Adm che hanno svolto il sopralluogo e le misurazioni hanno, pertanto, correttamente verificato che tra l’ingresso della sala gestita dalla ricorrente e l’unico ingresso pedonale della nuova sala bingo intercorre una distanza di 1066 metri, superiore, pertanto, alla distanza minima di 1000 metri prevista dal decreto direttoriale Aams 17 giugno 2003”.
Ad evidenziarlo è il Tar Lazio nella sentenza con cui rigetta il ricorso presentato da una società, titolare di una concessione per l’esercizio del gioco del bingo nel Comune di Modena, per impugnare il provvedimento con il quale l’Agenzia delle dogane e dei monopoli (Adm) ha autorizzato il trasferimento di un’altra sala bingo destinataria di un provvedimento comunale di delocalizzazione.
“Secondo la prospettazione di parte ricorrente, Adm non avrebbe dovuto autorizzare il trasferimento in quanto, da un lato, non risulta rispettata la distanza minima prevista dalla disciplina di settore tra la propria sala bingo e i nuovi locali in cui dovrebbe essere trasferita la sala bingo delocalizzata; sotto altro profilo, non sarebbe rispettato nemmeno il requisito di fatturato previsto dalla disciplina medesima in quanto la sala bingo gestita dalla ricorrente avrebbe un fatturato medio inferiore ai 150.000 euro”, si legge nella sentenza.
Per il Collegio però anche le censure concernenti l’insussistenza del fatturato minimo richiesto dalla disciplina di settore sono infondate.
“L’art. 4, comma 2, del decreto Aams 17.6.2002 prevede che il trasferimento nel medesimo comune non può essere autorizzato se la sala bingo più prossima 'ha un fatturato mensile inferiore a 150.000 euro, determinato dall’Amministrazione sulla base degli acquisti delle cartelle negli ultimi sei mesi'.
Il Collegio osserva che il significato di fatturato equivale alla somma dei ricavi ottenuti da un’azienda o ditta individuale attraverso la vendita di beni e/o la prestazione di servizi. La definizione di fatturato, non è, quindi, assimilabile, come sostenuto dalla ricorrente, al concetto di 'reddito netto', di 'utile' o di 'profitto'; riferendosi questi ultimi concetti agli importi guadagnati dall’attività commerciale nel suo complesso detratte le spese.
Il fatturato si distingue anche dal concetto di 'ricavi', riferendosi alla somma totale di fatture emesse, comprensive anche di tutte le spese sostenute e che non necessariamente è stata incassata; diversamente dai 'ricavi' che fanno riferimento alle somme effettivamente guadagnate da una società vendendo beni e servizi ad un determinato prezzo. Pertanto, il concetto di fatturato non può essere confuso coi i ricavi aziendali, intesi come 'valore della produzione'.
Applicando i suddetti principi alla fattispecie, non può che ritenersi corretta l’interpretazione che del termine 'fatturato' ha dato Adm nel senso di prendere a riferimento il valore complessivo delle cartelle che il concessionario acquista presso gli uffici di Adm e successivamente vende per il gioco in sala.
Non può, infatti, essere condivisa la tesi sostenuta da parte ricorrente che identifica il fatturato con l’aggio del concessionario pari al 18 percento del valore della cartella. Tali somme costituiscono, invero, non il fatturato ma il guadagno del concessionario, al netto del pagamento delle vincite e degli oneri erariali.
Ebbene, in altri termini, la ratio sottesa alla norma di riferimento non è quella di operare una valutazione – in termini economici – sul volume d’affari delle società che gestiscono le sale bingo, ma sull’adeguata diffusione del servizio di raccolta del gioco sul territorio nazionale, individuando i requisiti minimi della distanza tra le sale e del volume di gioco da esse garantito che, nel caso del gioco del bingo su rete fisica, non può che corrispondere al numero delle cartelle vendute nel dato periodo”.