"Non era configurabile alcuna situazione di forza maggiore che potesse far ritenere dovuta una sospensione degli adempimenti richiesti dal bando a carico degli assegnatari delle sale bingo. Come ha osservato la Sezione in una decisione resa su analoga controversia (n. 5623/2005), bene richiamata dal primo giudice e del tutto trascurata dall’appello: 'Né potrebbe configurarsi in questo caso un profilo di 'forza maggiore', poiché è evidente che non trattasi di situazione di impossibilità materiale della interessata ma soltanto del timore di un possibile danno futuro - che potrebbe avverarsi nell'eventualità dell'accoglimento dell'avverso gravame - da ricollegarsi, peraltro, al normale rischio imprenditoriale connesso anche con l'attività operativa di cui si tratta'".
Questa una delle motivazioni con cui il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso di una società con attività di sala bingo per la riforma della sentenza con cui il Tar Lazio ha negato l'annullamento del decreto direttoriale di Adm che ha disposto la decadenza dall’assegnazione della concessione “non avendo provveduto ad approntare la sala bingo di cui all’offerta di gara, né a richiedere la proroga dei termini stessi"a un'altra società - poi fallita - inserita nell’elenco allegato n. 2 della gara pubblica promossa dai Monopoli di Stato nel 2000 per l’assegnazione delle concessioni per la gestione delle sale destinate al gioco del bingo, in quanto esclusa per carenza dei requisiti essenziali previsti dal bando.
"Il Collegio rileva, inoltre, che la pronuncia di reiezione dell’appello si basa, come sopra illustrato, su ragioni manifeste, che integrano i presupposti applicativi della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 26, comma 2, c.p.a. secondo l’interpretazione che ne è stata data da questo Consiglio di Stato [cfr. da ultimo e fra le tante; sez. V, 27 agosto 2014, n. 4383; sez. IV, 25 settembre 2014, n. 4812; sez. IV, 24 maggio 2016, n. 2197; sez. IV, ord. 28 marzo 2017, n. 1402, cui si rinvia ai sensi degli artt. 74 e 88, comma 2, lett. d), c.p.a.]. La condanna dell’appellante ai sensi dell’art. 26 c.p.a. rileva, infine, anche agli effetti di cui all’art. 2, comma 2 quinquies, lett. a) e d), della legge 24 marzo 2001, n. 89, come da ultimo modificato dalla legge 28 dicembre 2015, n. 208", conclude la sentenza del Consiglio di Stato.
LA SENTENZA DEL TAR DEL 2017 - Nel merito, si legge nella sentenza del Tar Lazio del 2017, "il Collegio rileva che la tesi centrale del ricorso – ovvero quella di una sorta di diritto alla sospensione degli obblighi derivanti dalla concessione, fino alla definizione di tutti i ricorsi pendenti - appare del tutto insostenibile, ove si consideri che elemento caratterizzante di tutte le concessioni è proprio l’assunzione del rischio di impresa a fronte del diritto di gestire e sfruttare economicamente il servizio pubblico da prestare. Ad ogni buon conto, è rimasta tutto incontestata l’affermazione della difesa erariale secondo cui l’obbligo di approntamento delle sale bingo era stato fissato dall’originaria normativa di gara in conformità alla disciplina primaria (art. 52, comma 48, della l. n. 28.12.2001, n. 48) secondo cui 'I soggetti indicati nel decreto direttoriale 11 luglio 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 163 del 16 luglio 2001, e risultati assegnatari per il rilascio delle concessioni di cui al decreto del Ministro delle finanze 31 gennaio 2000, n. 29, e successivi, che chiedano la proroga del termine per la richiesta di collaudo di cui al citato decreto direttoriale 11 luglio 2001 ai fini del completamento dei lavori, possono ottenerla dall'amministrazione concedente per un periodo massimo di novanta giorni, decorrente dalla data di scadenza del predetto termine e dietro pagamento, in favore dell'erario, di una penale di 1.000 euro al giorno, da computare fino alla data della successiva richiesta di collaudo. La proroga potrà intervenire solo nel caso di comprovato inizio dei lavori. La richiesta di proroga, già formulata prima della data di entrata in vigore della presente legge, deve essere espressamente confermata dall'interessato'. È evidente, pertanto, che la possibilità di concedere la proroga invocata dalla ricorrente (e comunque dalla stessa originariamente ottenuta sino al 3 gennaio 2005) era legata esclusivamente alla necessità di completare i lavori, oltre che al pagamento di una penale; tanto, sia tutela dell’interesse erariale alla regolarità dei flussi finanziari derivanti dalla concessione che degli aventi diritto al subentro nell’assegnazione delle concessioni medesime".