Roma - "L’ippica per un momento della storia è stata sostenuta da un meccanismo molto simile al reddito di cittadinanza. Si sapeva che il settore avrebbe preso soldi dallo Stato, ma alla fine con la perdita di attrattiva lo stesso settore si è adagiato su queste entrate". Così Massimo Passamonti, responsabile relazioni istituzionali di Sisal, nel suo intervento alla presentazione del progetto di ricerca sul rilancio dell'ippica, sottolinea come le strutture italiane siano spesso obsolete e soffocate dai costi.nel suo intervento alla tavola rotonda “Le corse dei cavalli in Italia tra tradizione, intrattenimento, crisi e possibile rinascita” nell'ambito dell'incontro di presentazione del progetto di ricerca “Il rilancio della filiera economica nel settore delle corse dei cavalli in Italia” in calendario oggi, giovedì 15 dicembre, all'Antica biblioteca dell'Università degli studi Link a Roma.
"Condivido, del lavoro di questi studenti, la considerazione che l’ippodromo spesso è un’area verde centrale in una città o comunque in un contesto urbano", sottolinea Passamonti, "ma come si fa a mantenere un’area verde? Servono soldi e serve manutenzione, ed è da lì che scatta il circolo vizioso, e salgono gli oneri economici. Considerando anche che da quando nasce un cavallo a quando il cavallo corre passano almeno due anni, e i tempi si allungano, e assomigliano molti ai tempi dell'agricoltura".
"Le nostre strutture sono spesso obsolete, a parte quelle di Milano dove però ci sono sostanziali investimenti". Ricorda, Passamonti, che "quando l’ippica era nella fase del suo boom, in Italia c’erano 44 ippodromi. Ora siamo arrivati ad un terzo della raccolta dal betting, oltre agli altri pessimi indicatori che conosciamo, ma gli ippodromi sono ancora 40, e questo perché continuano a prendere i soldi dallo Stato".
E a proposito di soldi dallo Stato sottolinea che "anche in questa legge di bilancio ci sono 4 milioni in meno. Le risorse sono in continuo decremento. Il problema", sostiene Passamonti, "è l’atteggiamento sbagliato nei confronti del settore, oltre all’occasione persa della riforma".
Poi, tornando al suo discorso iniziale, sugli ippodromi come aree verdi, nota che "l'ippodromo andrebbe integrato e reso produttivo", perché "non deve essere un peso per la collettività".
Spiega quindi che "quando abbiamo pensato alla riforma credevamo in una Lega ippica sulla falsariga della Lega calcio, con ippodromi di serie A e Serie B. Tuttavia le riforme non sono mai partite", mentre si continua a parlare del settore "con rivendicazioni di diritti acquisiti che, però, in un sistema economico non hanno senso di esistere".
Aggiune che "un altro duro colpo lo hanno dato le scommesse sportive, entrate nel mercato dagli anni 2000 come concorrenza interna a livello di gioco".
Guardando a cosa hanno fatti altri Paesi spiega che "in America l’ippica venne rivitalizzata tramite i casinò all’interno degli ippodromi. Certo, altri modelli sono difficili da replicare in Italia, ma perché non si mettono insieme alcuni fattori? Ad esempio", e chiosa con una proposta concreta, "le slot potrebbero essere spostate in parte negli ippodromi e parte del ricavato andrebbe destinato per finanziare il settore. Metti insieme diavolo e acqua santa, ma qualcosa si deve pur fare, anche a costo di apparire rivoluzionari".