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Avvocato Benelli: 'Sale gioco discriminate rispetto alle tabaccherie'

11 marzo 2021 - 11:44

Gli operatori delle sale gioco presentano 'quarti motivi aggiunti' al ricorso contro la chiusura disposta dai Dpcm anti-Covid: disparità di trattamento rispetto alle tabaccherie.

Scritto da Fm
Avvocato Benelli: 'Sale gioco discriminate rispetto alle tabaccherie'


La discriminazione delle sale da gioco dedicate, chiuse per 9 mesi su 12 per effetto dei vari Dpcm per il contenimento del Covid, torna sotto la lente del Tar Lazio, grazie alla presentazione di "quarti motivi aggiunti" da parte dell'avvocato Cino Benelli, legale di una società titolare di una sala gioco dedicata, con l'intervento ad adiuvandum di altre società.
Evidenziando forti disparità di trattamento rispetto ad altri esercizi in cui, comunque, è attiva la raccolta di gioco pubblico, come le tabaccherie.


CHIUSI SENZA ISTRUTTORIA - "La Presidenza del Consiglio dei ministri ha per l’ennesima volta disposto l’indiscriminata cessazione dell’attività delle sale giochi su tutto il territorio nazionale, senza fornire nessuna motivazione né svolgere una preventiva istruttoria.
Emerge, infatti, per tabulas che non sia stata svolta nessuna istruttoria prima dell’introduzione e del mantenimento delle misure impugnate", si legge nel ricorso.
"Invero, è totalmente indimostrato che gli esercizi dedicati al gioco, provvisti di rigidissimi protocolli (a differenza delle tabaccherie che rappresentano invece esercizi aperti nelle c.d. 'zone rosse' e, durante il fine settimana, finanche all’interno dei centri commerciali), siano luoghi di assembramento e potenziale contagio, ma ciò non risulta sufficiente a determinarne la riapertura.
Tanto basta ad infirmare la validità degli atti e provvedimenti impugnati", sostiene Benelli.
 

"ESSENZIALE" IN QUANTO ARGINA CRIMINALITÀ E PORTA BENEFICI ALL'ERARIO - Sotto la lente anche l'assunto secondo il quale le attività di gioco sono ritenute "non essenziali".
"A prescindere dal fatto che non esiste un elenco, suddiviso per classi, delle attività essenziali (e, perciò, un’attività che oggi è ritenuta essenziale potrebbe nel prossimo Dpcm trasformarsi ad libitum in voluttuaria in dispregio ai superiori princìpi di certezza del diritto, legittimo affidamento e trasparenza dell’azione amministrativa), la scelta se considerare o meno essenziale una determinata attività non rientra certo nelle competenze del Comitato tecnico-scientifico - il quale dovrebbe limitarsi a valutazioni di natura tecnicoscientifica in conformità al Decreto istitutivo n. 371/2020 - ma nella discrezionalità amministrativa del decisore pubblico.
È pacifico, tuttavia, che la discrezionalità non può mai debordare dai confini della logicità e ragionevolezza o sconfinare nell’arbitrio", si legge ancora nel ricorso.
Secondo i legali le attività di gioco invece dovrebbero essere ritenute essenziali, in quanto "rappresentano un servizio di interesse generale affidato in concessione ministeriale a seguito di pubblica gara, il quale funge da argine alla criminalità organizzata ed all’evasione fiscale, oltre a risultare foriero di grandi benefici per il pubblico Erario".

FIGLI E FIGLIASTRI - Quanto alla discriminazione rispetto ad altri servizi gestiti in concessione, nel ricorso il legale si chiede, e chiede ai giudici amministrativi: "Perché devono considerarsi essenziali le concessioni rilasciate per il servizio di rivendita di altri prodotti di monopolio (come ad esempio, il tabacco, per la verità di utilizzo a dir poco sconsigliabile nel bel mezzo di una pandemia polmonare) e per lo svolgimento di altri servizi ludici (ad esempio, lotto, dieci e lotto, superenalotto, gratta e vinci)?".
Qualora tali servizi gestiti in concessione "debbano essere considerati essenziali, non si vede perché tale qualificazione non possa essere ascritta anche agli esercizi dedicati al gioco lecito, rappresentando questi ultimi, oltre che un luogo ben più sicuro in termini di prevenzione del contagio, un fondamentale presidio di legalità.
È peraltro innegabile come i locali delle rivendite ove si vendono liberamente i suddetti prodotti - locali rimasti ingiustificatamente aperti nel corso di qualsiasi 'ondata' dell’ormai perdurante temperie pandemica - abbiano ritratto e ritraggano rilevanti vantaggi competitivi e anticoncorrenziali dalla persistenza di questo tipo di regolazione, come tali destinati a consolidarsi nel medio-lungo periodo anche laddove venissero a cessare le attuali misure di contenimento.
In entrambi i casi, riservandosi comunque di adire l’Autorità garante per la concorrenza e per il mercato (Agcm), non si rinviene una risposta fondata su evidenze scientifiche: si tratta, semplicemente, di scelte non soltanto sproporzionate ma anche manifestamente illogiche, contraddittorie ed arbitrarie, come tali pienamente sindacabili e censurabili dal giudice amministrativo".
 
L'INSUFFICIENZA DEI RISTORI - È importante poi considerare anche la risposta data dal Tar Lazio in precedenti sentenze sulla legittimità della chiusura delle sale gioco per il contenimento del Covid, in cui è stata chiamata in causa la previsione di "un ristoro economico a compensazione del periodo di sospensione".
Per l'avvocato Benelli è sbagliato invocare i ristori nel motivare il "niet".
"Al di là del fatto che la società ricorrente non ha ancora percepito i richiesti 'ristori', è di tutta evidenza la palese insufficienza di consimili forme di compensazione a fronte di servizi - come quelli di gioco pubblico - affidati in regime di concessione.
Tanto vero che lo stesso Consiglio di Stato, mediante le sopra richiamate decisioni cautelari, ha mantenuto espressamente 'ferme le eventuali, successive conseguenze di ordine patrimoniale ove, nelle successive fasi del giudizio, un compiuto, specifico e approfondito accertamento scientifico dimostrasse che il dubbio e la indicazione presuntiva del Cts non corrispondevano ad un reale fattore di rischio contagio'", ricorda.
 
L'ERRONEA APPLICAZIONE DEL PRINCIPIO DI PRECAUZIONE - Nel ricorso quindi si fa cenno anche al principio di precauzione, che, per effetto degli eventi pandemici, "nella sua dimensione astratta ed assiologica, imporrebbe un permanente 'lockdown' di qualsiasi attività umana ed economica fino all’impossibile raggiungimento di un 'rischio zero'”.
Assioma contrasto anche da recenti sentenze del Consiglio di Stato, che chiedono al "decisore pubblico (legislatore o amministratore), in contesti determinati, di prediligere, tra le plurime ipotizzabili, la soluzione che renda possibile il bilanciamento tra la minimizzazione dei rischi e la massimizzazione dei vantaggi, attraverso l’individuazione, sulla base di un test di proporzionalità, di una soglia di pericolo accettabile".
Stesso principio sottolineato dal Tribunale di I grado Ue, affermando che il principio di precauzione non può giustificare in alcun modo “misure arbitrarie” e “la valutazione scientifica dei rischi, effettuata da esperti scientifici, deve fornire alla Commissione un’informazione sufficientemente affidabile e solida”, in modo che quest’ultima possa adottare misure anche preventive fondate “su una valutazione scientifica dei rischi la più esaustiva possibile, tenuto conto delle peculiarità del caso di specie”.
Ma, come si è visto, "la decisione della Presidenza del Consiglio dei ministri di sospendere ulteriormente le attività di gioco pubblico (o meglio una parte di esse) per un lasso di tempo assai considerevole (fino al 6 aprile 2021) non è derivata da accertamenti che fornissero evidenze, anche meramente indiziarie o statistiche, di una qualche pericolosità legata al loro svolgimento.
Manca, infatti, una qualsiasi corroborazione scientifico-sanitaria, anche in termini di mera analisi e gestione del rischio o anche di semplice elaborazione statistica, che possa giustificare gli atti e provvedimenti impugnati".
 
OMESSA CONSIDERAZIONE DEI PROTOCOLLI DEGLI ESERCIZI DI GIOCO - Al centro del ricorso poi c'è la mancata considerazione dei rigidi protocolli anti-contagi adottati dai luoghi di gioco, in aggiunta a quelli governativi. Esercizi che, lo ricordiamo, non hanno mai rappresentato una concreta e documentata fonte di contagio.
"In particolare, l’assenza di pericoli per la salute non soltanto è assicurata dal rigidissimo protocollo approvato in sede di Conferenza delle Regioni al quale viene prestato il più rigoroso ossequio da parte degli operatori, ma non può neppure plausibilmente radicarsi una presunzione di assembramento rispetto a tali esercizi.
Tanto che l’art. 1, comma 6, lett. l) Dpcm 13 ottobre 2020, così come modificato con Dpcm 18 ottobre 2020, ne consentiva originariamente lo svolgimento nel rispetto delle suddette 'Linee guida' fino al 13 novembre 2020", si legge nel ricorso.
Scendendo ancora nel dettaglio quindi si vede che tali locali sono: "a) del tutto inaccessibili ai minori degli anni diciotto, i quali, com’è noto, rappresentano i principali vettori di contagio da coronavirus; b) posti in siti che, in forza di apposite disposizioni di legge (statali e regionali), non possono essere aperti in prossimità di istituti scolastici di ogni ordine e grado, strutture residenziali o semi-residenziali operanti in ambito sanitario o socio-sanitario, luoghi di culto, centri socio-ricreativi e sportivi, centri di aggregazione giovanile o altre strutture frequentate principalmente da giovani, etc; c) presso i quali gli apparecchi da gioco, oltre a venir sanificati subito dopo l’utilizzo, risultano contingentati e ben distanziati ed i consumatori non comunicano se non occasionalmente tra loro, trattenendosi presso l’esercizio soltanto per il tempo necessario ad effettuare la giocata.
A differenza poi dei bar e degli esercizi di ristorazione, gli avventori degli esercizi dedicati sono obbligati ad indossare sempre mascherine e dispositivi individuali di protezione.
Negli spazi degli stessi locali è poi costantemente assicurato il ricircolo dell’aria e gli stessi, a differenza di quelli di ristorazione, sono razionalmente distribuiti per garantire l’accesso del pubblico in modo ordinato, essendo ivi adottato qualsiasi altro accorgimento utile ad evitare aggregazioni o assembramenti di persone ed assicurare il mantenimento di almeno un metro di separazione tra gli utenti; d) provvisti di personale munito di mascherina, appositamente incaricato di monitorare e promuovere il rispetto delle misure di prevenzione nonché di rilevare agli utenti la temperatura corporea, impedendo l’accesso in caso di temperatura superiore a 37,5 C°.
In buona sostanza, gli esercizi in questione non sono luoghi dell’intrattenimento, dello spettacolo o della 'movida' anche perché al loro interno non si praticano giochi sociali ma in 'solitario' (cliente/macchina).
Cosicché, gli stessi esercizi si esauriscono in semplici centri di raccolta erariale assimilabili alle rivendite di generi di monopolio.
Nondimeno, come si è visto, all’interno delle tabaccherie, non soggette ad alcuna limitazione neppure in cosiddetta 'zona rossa' (finanche durante il fine settimana all’interno dei centri commerciali), sono tuttora consentiti giochi con vincite in denaro (ad esempio, lotterie ad estrazione istantanea, giochi numerici a totalizzatore nazionale, etc.)", rimarca il legale.
 
LE DIFFERENZE FRA SALE GIOCO E TABACCHERIE - A chiarire ed esemplificare la questione pensano alcune tabelle di confronto presentate in sede di ricorso, che riportiamo di seguito.
 
 
BASTAVA UNA RIDUZIONE D'ORARIO - "A ben guardare, essendo lo svolgimento dell’attività di raccolta delle giocate garantito da un rigidissimo protocollo e non palesando i locali dedicati che le ospitano alcun rischio di contagio, sarebbe stato sufficiente comminare una semplice riduzione di orario anziché disporne la totale indiscriminata cessazione h24”, recita ancora il ricorso.
"Invero, mediante il provvedimento impugnato, in maniera del tutto
immotivata, irragionevole e contraddittoria, da un lato, sono stati confermati la riduzione dell’orario o un semplice aggravamento dei protocolli esistenti in relazione a luoghi e situazioni in cui risultano notoriamente altissime le probabilità di aggregazione sociale e di pericolosi assembramenti, talora senza l’adozione di nessuna cautela (ad es. distributori automatici, esercizi di somministrazione, centri commerciali, manifestazioni sportive, etc.), mentre, dall’altro, è stata rinnovata la completa interdizione sino al 6 aprile 2021 dell’attività delle sale giochi in cui, invece, tale probabilità non sussiste.
Non è dato, infatti, comprendere le ragioni in virtù delle quali gli esercizi dedicati al gioco lecito rappresenterebbero luoghi a rischio di contagio, non potendosi certamente confondere il Covid-19 con il disturbo da gioco d’azzardo (c.d. “ludopatia”).
È dunque innegabile come fosse sufficiente disporre - quanto meno per le
aree del territorio diverse dalle c.d. 'zone rosse' - una semplice riduzione
dell’orario degli esercizi in questione, facendolo coincidere con quello degli
altri pubblici esercizi (ore 18:00), certamente più pericolosi per la salute
pubblica, ove solo si mettano a confronto i rispettivi protocolli e le ben diverse potenzialità di aggregazione.
Si configura, pertanto, la palese violazione dei superiori princìpi di ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità dell’azione amministrativa, secondo cui deve essere privilegiata la misura più gradata che consenta ugualmente di assicurare gli interessi pubblici perseguiti con il minor sacrificio possibile dell’interesse privato".
 

LE RAGIONI D'URGENZA - Benelli quindi hanno chiesto di "annullare e, comunque, accertare e dichiarare l’illegittimità degli atti e provvedimenti impugnati", evidenziando la sussistenza di "ragioni di urgenza per concedere l’abbreviazione dei termini processuali ai sensi dell’art. 53 cod. proc. amm.
Infatti, alla luce del calendario della Sezione, in assenza della concessione della richiesta abbreviazione dei termini processuali, la camera di consiglio verrebbe a celebrarsi quando le impugnate misure saranno sostituite da un nuovo Dpcm, con conseguente inutilità della domandata cautela".
 

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