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Pucci (As.Tro) risponde all'editoriale di Gioconews.it: "Alla faccia del bene comune"

21 ottobre 2014 - 11:58

Gentile Direttore, dopo aver letto il suo editoriale “alla faccia del bene comune” ho ritenuto di rappresentarle il mio punto di vista, posto che all’evento di Spoleto, da Lei citato, ho avuto il piacere di essere relatore, oltre ad aver partecipato al gruppo di lavoro confindustriale che ha realizzato il protocollo con la campagna mettiamoci in gioco.

Scritto da Redazione

E' la lettera di Massimiliano Pucci, presidente di As.Tro e vicepresidente di Sistema Gioco Italia, inviata alla redazione di Gioconews.it in risposta, come dice lo stesso Pucci, all'editoriale settimanale di Alessio Crisantemi.
E Pucci prosegue: "Come ben potrà comprendere, mi astengo dall’entrare nel merito del documento e delle sue modalità di realizzazione, limitandomi ad auspicare che, tramite esso, si riesca a tutelare quel giocatore a cui tutti vogliono bene “a parole”, ma che molti vorrebbero solo consegnare nelle mani delle organizzazioni del gioco illegale.
Sui toni e sulle reazioni che ne hanno seguito il varo, invece, mi esprimo, per rappresentare lo stupore che ancora provo al cospetto di certe posizioni, cementificate sulla logica della contrapposizione “a prescindere”, contro un “nemico brutto e cattivo”, la slot lecita (controllata e gestita dallo Stato). E’ evidente che il Paese che queste persone sognano è la Praga del “soldato Švejk di Hašek , in cui si mette sotto accusa un marciapiede per aver cagionato la caduta di un tenente dell’esercito, ma soprattutto quel Paese in cui si equivoca la risoluzione di un problema con la “lotta contro un male” (viatico logico per la non risoluzione dello stesso, e la perenne discussione per sua la “sconfitta”).
Al gioco lecito, e agli apparecchi leciti in particolare, questo è capitato, e pari sorte si vuole accordare alle imprese e alle organizzazione di categoria che “il male” rappresentano e che per tale ragione si epitetano come “mafiosi, se non peggio”.
Che col “male” non si debba scendere a patti è condivisibile ma non assioma assoluto, vista la relatività con cui “un problema” è trasformato in male, e la strumentalità con cui “questioni da affrontare in modo pratico” diventano “dottrine”, foriere di maestri, seminari, consessi teologici, ma mai di risoluzioni. Non voglio certo propormi come sapiente, ma esaltare il buon senso e la praticità. Ovunque mi reco per affrontare i temi del gioco minorile, del Gap, della pubblicità sul gioco, ricevo un imput preciso e univoco: tutelare la persona, tutelare il giocatore, tutelare quella propensione a sfidare la sorte che la complessità contemporanea ci pone come ordinario e quotidiano atto, sia sotto forma di consapevole alea al gioco, sia sotto forma di normale accettazione delle difficoltà della vita. Se così è, mi domando: è mai possibile elevare le tutele e i sistemi di prevenzione estromettendo chi dovrebbe “realizzarli” ? Come è possibile pensare all’esistenza di un gioco legale e controllato (perché solo tramite leggi e controlli si rende accettabile quello che altrimenti è azzardo), collocando nella categoria del “male” chi è chiamato a produrlo e distribuirlo secondo le norme vigenti? Cosa tutela di più il giocatore: un’industria che si siede allo stesso tavolo con chi pretende maggiori tutele o la consegna del mercato al solo gioco illecito e non controllato? Il fatto che le risposte siano scontate, non le rendono per questo universalmente condivise. Il rischio che si possa perdere lo status di “maestro dottrinale” impone a tanti di rifiutare la logica che “basta lavorare per risolvere il problema” (ovvero impedire ai minori di accedere alle offerte di gioco legale, prevenire l’insorgenza del Gap in termini epidemiologici, normalizzare la promozione commerciale, emarginare i prodotti di gioco illegali). La controprova di ciò che si sostiene è la universalità con cui tutti si professano “non – abolizionisti”, apparentemente incompatibile con la nobile finalità di “sconfiggere il male”, ma assolutamente indispensabile per rendere perenne “la lotta al male”. La domanda centrale torna quindi di attualità: chi tutela di più il giocatore, chi lavora (anche sbagliando, per l’amor del cielo) per salvaguardarlo o chi lo utilizza per la propria missione?", conclude. 

 

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