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Fase 2b: perché il gioco pubblico non può più aspettare

20 maggio 2020 - 09:32

La ripartenza delle attività si sta completando ma non per i giochi: né al bar, né in tabaccheria e non solo nelle location. Una scelta etica, ma pericolosa.

Scritto da Ac

Il gioco rimane chiuso. Punto. Nulla da aggiungere, da parte del governo e delle istituzioni. Come ribadito anche dal Direttore generale dei Monopoli di Stato, Marcello Minenna, la decisione è chiara e ben definita, in quanto “espressamente citata” nell'ultimo Dpcm. Al punto da non doversi ritenere necessaria alcune spiegazione. Anche se, a dire il vero, la necessità di ottenere qualche chiarimento c'era eccome, visto che lunedì 18 maggio, cioè all'avvio della cosiddetta “fase 2 bis”, l'intera filiera del gioco pubblico, esercenti compresi, si era chiesta se le slot nei bar potevano essere riaccese o meno, visto che i pubblici esercizi potevano tornare a operare e visto che, nella dichiarazione delle attività di gioco “espressamente citate” dal premier Giuseppe Conte, non venivano menzionati i bar. Come pure, del resto, era opinione comune - almeno fino alla nota di Adm - che le precedenti determine emesse dall'Agenzia con le quali veniva inibita la raccolta di gioco “fisico” fossero riferite esclusivamente ai tabacchi, non solo per via dei vari riferimenti normativi elencati nei provvedimenti stessi, ma anche perché gli altri locali, al momento dell'emanazione dei provvedimenti, erano già chiusi, non richiedendo pertanto alcuna menzione. In ogni caso, la chiusura del gioco sed lex. E anche se domandare continua ad essere chiaramente lecito, la legge, lo sappiamo, non ammette ignoranza.

LA SCELTA CHE NON CONVINCE - Adesso, quindi, non ci sono più dubbi. Il gioco rimane fermo. Per una evidente scelta politica. Anche se non è ancora nota la ragione che abbia spinto il governo ad assumere una tale decisione, in quanto mai comunicata. Né pubblicamente, né tanto meno alla filiera (anche per questo si rendevano necessari chiarimenti), essendo praticamente azzerato il dialogo tra le parti, senza nessun tavolo di confronto aperto su questo segmento dell'economia nazionale. Nonostante la sua importanza in termini erariali (11 miliardi di entrate dirette l'anno), nonostante il valore occupazionale (circa 150mila lavoratori impiegati nel gioco pubblico fino al lockdown) e nonostante i rischi evidenti e già tangibili di un'esplosione dell'illegalità nel caso del protrarsi dell'assenza di un'offerta legale.
A pesare, con tutta probabilità, è stata la classificazione fornita dall'Inail sul rischio di assembramento legata alle attività di giochi e scommesse, ritenuto “medio-alto”, che aveva inizialmente posizionato questo tipo di attività in fondo alla lista delle aperture, insieme ad altri luoghi di aggregazione. Ma è pur vero che quella classificazione è stata già superata e ridiscussa dai tecnici governativi attraverso una visione d'insieme che include anche altri fattori, al punto da risultare sostanzialmente stravolta, guardando i fatti e il programma delle riaperture. Non solo hanno già riaperto i musei e i centri artistici che rientravano nella stessa classificazione: ma hanno già riaperto anche centri estetici e parrucchieri e stanno riaprendo anche piscine e palestre. Una serie di ambienti in cui i rischi di contagio sono assai più evidenti rispetto a quelli di un ambiente di gioco. Eppure, per quanto riguarda le sale, non c'è dibattito. Neanche l'ipotesi (comunque chiaramente eccessiva) di ipotizzare l'ingresso di una persona alla volta, per esempio, in un'agenzia di scommesse, viene presa in considerazione, rimandando tutto e tutti al prossimo 15 giugno. E neppure nei bar, dove la situazione è quasi tornata la normalità (ferme restando, evidentemente, tutte le nuove disposizioni di sicurezza contro i contagi), si possono accendere le slot o i terminali di scommesse laddove presenti (ovvero, i cosiddetti corner). Idem per i tabacchi.
 
L'ETICA CHE NON PUO' REGGERE -Che si tratti quindi di una scelta etica? Sembrerebbe proprio di sì. Anche se nessuno ha ancora apportato ufficialmente questa motivazione. Come potrebbe il governo, del resto, parlare di scelta etica nel prorogare la serrata dei giochi? Come spiegare a tutte quelle imprese che stanno per chiudere definitivamente i battenti e a tutti quei lavoratori che hanno perso il proprio impiego - o lo stanno per perdere - a causa di questa prolungata chiusura, che lo Stato abbia scelto di non far ripartire queste attività per ragione etiche, mentre altri settori anche molto più “a rischio” sono già ripartiti o (addirittura) non sono mai stati chiusi? Nessuno si è mai sognato di interrompere o limitare la vendita di sigarette, né tanto meno di vietare gli alcolici (o super alcolici), neanche durante il periodo di serrata totale, quando il rischio psicosi era una delle variabili sotto osservazione degli esperti. Se pensiamo, per giunta, che a partire da lunedì 18 maggio hanno riaperto anche i centri massaggi asiatici, tanto diffusi sul territorio, è del tutto evidente che la questione etica può anche essere momentaneamente accantonata. O, almeno, è già stato fatto.
E' dunque evidente che la decisione di tenere tutto fermo, fa acqua da tutte le parti. Anche se probabilmente si è trattato più che altro di una “non scelta”, con l'esecutivo che ha preferito evitare di affrontare la situazione in termini organizzativi, per avere un problema in meno da gestire, e per evitare, forse, anche il rischio di possibili (o, meglio, inevitabili) attacchi mediatici (o politici) mirati a una valutazione delle priorità. I titoli di alcuni giornali si possono già immaginare: “Scuole chiuse e sale slot aperte”, oppure tante altre possibili declinazioni legate alla immancabile “lobby dell'azzardo”. Talmente tanto potente, al punto da ritrovarsi oggi con l'unico aumento della tassazione in termini di crisi globale: come emerge dall'ultimo decreto legge con il quale si va a innalzare il prelievo delle scommesse per finanziare lo sport. Anche se la domanda (ulteriore) che ci si dovrebbe porre, a proposito di tale finanziamento, è quanto e come potranno i giochi contribuire alla giusta causa dello sport, se il rischio attuale è quello di vedere gran parte della rete del gioco legale smantellata, come prima conseguenza della pandemia e del lockdown.
 
PERCHE' IL GIOCO NON PUO' PIU' ATTENDERE – L'aspetto più grave di questa situazione e la principale colpa che ha il governo rispetto al comparto dei giochi, infatti, non è tanto lo slittamento della loro ripartenza (nonostante i rischi di cui sopra, che comunque rimangono): bensì la totale mancanza di una strategia su questo determinato settore. Nessun piano di tutela, mantenimento o rilancio, e neppure di smantellamento (o, almeno, se un piano di questo tipo ci dovesse essere, non è ancora noto). E tanto basta per provocare l'ira degli addetti ai lavori, che dopo essere stati bistrattati per anni, indicati come biscazzieri e considerati come degli “untori sociali”, oltre a dover subire il più forte e ripetuto rincaro della tassazione mai esistito nella storia delle Repubblica (né tanto meno in quello di nessun altro paese del mondo) come accaduto negli ultimi cinque anni, devono anche subire l'ingiuria di questi giorni. Completamente ignorati dalla politica e al tempo stesso vessati e sottoposti alla gogna mediatica anche durante la chiusura. Ma non è tutto. Sì, perché l'assenza di una strategia sui giochi è destinata ad avere conseguenze ben più gravi di quelle già evidenziate, che il governo non potrà continuare a ignorare. Con la graduale ripartenza dei campionati di calcio e degli eventi sportivi in generale che sta pian piano rimpolpando i palinsesti dei bookmaker internazionali, il protrarsi della chiusura delle agenzie di scommesse terrestri, dalle quali proviene ancora oggi la gran parte della raccolta, aumenta notevolmente il rischio che i giocatori abituali si rivolgano alla ritrovata rete illegale. In questi giorni sui social network si stanno diffondendo le foto di molti centri di scommesse irregolari (i cosiddetti Ctd, centri trasmissione dati) che operano in Italia senza una regolare concessione statale, che hanno già riaperto i battenti. Essendo abituati a operare al di sopra della legge, per queste attività poco cambia se il governo (o la Regione) preveda la chiusura delle attività di giochi e scommesse. Ma anche nel caso in cui tutti questi punti vendita irregolari venissero fatti chiudere (come mai accaduto fino ad oggi), ci sarebbe sempre l'allibratore clandestino a proporre la sua giocata: facendo ritrovare un vecchio impiego a tutti quelli che avevano appeso la martingala al chiodo, proprio per via dell'avvento della rete legale. A Palermo, come abbiamo più volte evidenziato, nei giorni scorsi non solo si sono celebrate delle scommesse illegali, ma la criminalità è riuscita addirittura ad organizzare una corsa di cavalli del tutto clandestina, e alla luce del sole. In pieno centro e proprio durante il lockdown, quando la gente non doveva neppure stare per strada. Lo Stato non può quindi farsi complice della criminalità. E per questa ragione, non solo è opportuno far ripartire il gioco legale: ma è doveroso occuparsene in maniera seria e completa, cioè ragionando (e discutendo) sulle esigenze di questo comparto e su quelle dei suoi lavoratori, per garantire che queste attività rimangano in piedi. Ciò significa che dovranno essere adottate misure fiscali, incentivi e sgravi per le attività, oltre a gestire tutte le dinamiche esterne che già prima condizionavano il comparto e che ora finirebbero per ucciderlo. Come le leggi regionali che imponevano distanze o orari di esercizio limitati ai locali e che oggi diventano ancor più inapplicabili visto che le misure contenitive e di sicurezza prevedono la diluizione dei flussi di persone durante la giornata per evitare assembramenti. Insomma, è giunto il momento di fare le riforme, sic et simpliciter. Con lo Stato che deve semplicemente fare lo Stato.

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