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Il grande inganno del distanziometro e l'occasione per ridare un senso al settore

07 dicembre 2018 - 10:00

Tra dubbi, errori tecnici e svariate pronunce di più tribunali, continua a diffondersi l'applicazione del distanziometro a livello locale: in attesa del riordino.

Scritto da Alessio Crisantemi

 

Comuni e regioni continuano a prendere le distanze dal gioco pubblico. Letteralmente. Lo fanno ogni giorno, da Nord a Sud della Penisola, continuando ad approvare norme restrittive rispetto all'installazione di prodotti legali, offerti in nome e per conto dello Stato dagli operatori, ma messi al bando da una diramazione dello Stato stesso. Proprio sul concetto delle distanze: non solo dal punto di vista ideale (e ideologico) quindi, ma anche in senso pratico e molto concreto, che è quello sancito dallo strumento amministrativo del cosiddetto “distanziometro”. Ogni giorno arriva un'amministrazione comunale che, attuando le volontà della regione di riferimento, introduce una nuova restrizione, individuando i luoghi ritenuti “sensibili” accanto ai quali non possono essere installati apparecchi.

Anzi, neanche troppo accanto, visto che i distanziometri fino ad oggi adottati prevedono distante minime che spaziano dai 300 ai mille metri. Arrivando a decretare, in genere, un'espulsione pressoché totale del gioco lecito. Ed è proprio questo il punto, troppo spesso dimenticato o messo in secondo piano: non dalla giurisprudenza, però, visto che il cosiddetto “Effetto Espulsivo” - di cui scriviamo ormai dal 2011 e che abbiamo portato all'attenzione nazionale attraverso la pubblicazione del libro “La questione territoriale”, interamente dedicato a questa materia – è ormai tirato in ballo in tutti i procedimenti in corso nei vari tribunali italiani. Oltre ad essere ormai materia di attualità nei dibattiti quotidiani dedicati al gioco “fisico”. 
E' l'effetto espulsivo, infatti, la vera criticità del sistema pseudo-regolatorio, ma marcatamente proibizionista, messo in atto da molti legislatori regionali, che non può in nessun modo conciliarsi con il diritto del nostro paese. Se, infatti, la bontà o meno del distanziometro sembra essere oggetto di diverse visioni tra loro contrapposte, tra chi lo considera inutile e addirittura pericoloso, perché porta soltanto alla ghettizzazione del gioco e alla concentrazione dei disagi nelle periferie e chi, al contrario, lo considera un mezzo per limitare, a qualunque costo, l'offerta – quello che appare sicuramente incompatibile con i dettami costituzionali è l'effetto espulsivo. Che è causato da un errore tecnico che accompagna più o meno sistematicamente l'applicazione del distanziometro e legato molto spesso all'identificazione (eccessiva) degli ambienti ritenuti sensibili. Se l'offerta di gioco continua ad essere legale e gestita dallo Stato (e ci mancherebbe altro, diciamolo pure), allora non può essere che venga inibita pressoché completamente nella maggior parte delle città. Quindi, o il governo deciderà di abolire completamente ogni forma di gioco, smantellando in toto l'intero comparto industriale costituito (a fatica) ormai quindici anni fa, oppure se – come è stato peraltro ribadito ormai più volte da Ministri e vice premier – non è pensabile rinunciare all'offerta legale per le ricadute in termini di illegalità, allora non può verificarsi neanche un proibizionismo di fatto, perché di questo si sta parlando.
Si tratta quindi di valutazioni che vanno fatte e vanno discusse proprio in questo momento, alla luce della volontà espressa dal governo (almeno sulla carta) di voler eseguire un riordino generale del comparto del gioco. All'interno del quale, secondo le prime dichiarazioni del vice premier e Ministro Luigi Di Maio, dovrebbe essere disciplinata anche la distanza delle sale da gioco a livello nazionale. Come a voler “elevare” a disciplina nazionale lo strumento del distanziometro. Sul punto, come detto, ci sono visioni diverse e addirittura opposte: quello che conta, tuttavia, è che qualunque sia la soluzione prevista dall'Esecutivo, non determini un'espulsione. O sarà tutto da rifare: nei tribunali, nei dibattiti e sui giornali. Puntando a quell'auspicabile sostenibilità del gioco, che l'industria sogna fin dalle origini e a cui il Legislatore dovrebbe voler mirare: ma tra il dire e il fare, c'è sempre di mezzo un governo. E in questi ultimi anni, se ne sono succeduti diversi, senza mai arrivare a un vero riordino..

 

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