Renzi e la 'battaglia' alle slot: tanto rumore per nulla, o poco più
È bastato l'annuncio del premier Renzi di un taglio alle slot a scatenare commenti e polemiche: ma nulla cambia rispetto a prima. Ecco perché.
Sono bastate poche parole, pronunciate – o, meglio, trascritte in un'intervista – rispetto alle slot machine e all'idea di razionalizzare la distribuzione sul territorio, a far esplodere un autentico caso politico. Riportando il settore del gioco sulle prime pagine dei giornali e scatenando una serie di pareri da parte di esponenti di politica e istituzioni, con molti che chiedevano di mantenere la promessa di far sparire il gioco dai locali pubblici. Sollevando, quindi, un grandissimo polverone, che come sempre accade in questi casi, finisce col soffocare i contenuti svuotando inevitabilmente il dibattito. Al punto che nessuno – o forse solo in pochi – si sono preoccupati di guardare il contesto politico in cui si inserisce quella dichiarazione del premier, mentre quello economico, al contrario, è stato giustamente analizzato da più parti, rendendo visibile l'impossibilità per l'Esecutivo di rinunciare ai proventi del gioco e, in particolare, delle slot machine, che rappresentano la principale fonte di reddito, tra quelli dei giochi, per lo Stato.
In realtà, tralasciando i sensazionalismi e le inevitabili strumentalizzazioni, le parole del premier Matteo Renzi non aggiungono nulla di nuovo al dibattito relativo al riordino dei giochi, né tanto meno propongono nulla di sconvolgente. Al punto che la stessa industria – almeno la parte rappresentata dalla federazione dei giochi di Confindustria, come ha spiegato ieri a Radio24 il presidente Massimo Passamonti – si è sempre detta d'accordo con il piano governativo.
E qui il premier ha spiegato le proprie convinzioni: “Io facevo il sindaco e con Graziano Delrio che anche lui faceva il sindaco, facemmo un appello per combattere la ludopatia. È giusto che chi vuole giocare e scommettere scommetta. Ed è giusto che ci siano delle aziende che seguano le regole. Però se tu sei circondato da bar in cui se vuoi prendere un caffè c'è macchinetta che ti invita a giocare, questo porta - in particolar modo le nuove generazioni - verso un atteggiamento sbagliato”.
A quel punto la domanda del conduttore, molto diretta, è: "Quando tagliate, subito?". E il premier risponde di sì, ma spiega: "Il meccanismo è questo: se lei ha un bar e ha una stanza dietro che si può adibire ad hoc a questo, dove si può entrare esibendo un documento di identità, dove c'è un controllo per cui i minori non possono entrare, lei può trasformare - in accordo con i sindaci, con la questura e così via - quella struttura lì. Ma il bar o il tabacchi, con la stanzina con due slot alla parete - anche se perderò il voto dei tabaccai - le togliamo. Perché è una riforma di serietà che va nei confronti delle persone".
Ecco quindi che la dichiarazione di Renzi aggiunge davvero molto poco, se non addirittura niente, al dibattito sul tema della riorganizzazione dei giochi. A meno che non si sia considerato, fino a ieri, che nei lavori di (presunto) riordino dei giochi all'interno della Conferenza unificata si stesse soltanto scherzando e che il governo non avrebbe mai eseguito una riforma di questo tipo. Sono mesi, invece, che il governo porta avanti – o, almeno, tenta di portare avanti – questa linea, per limitare gli effetti del gioco sul territorio ma senza pensare a un'abolizione totale né tanto meno a una cancellazione della distribuzione. Se a questo poi si aggiunge che il governo ha già messo nero su bianco la riduzione di almeno il 30 percento del numero di apparecchi sul territorio nazionale, attraverso la legge di Stabilità 2016, non si capisce davvero perché dovrebbero stupire le dichiarazioni del premier.
Certo è, al contrario, che se le parole del premier erano orientate a far capire che il governo ha deciso di intervenire sui giochi e che lo farà, in un modo o nell'altro, in maniera autonoma, allora forse il dibattito di questi giorni potrebbe servire a dare una scossa – e, sperabilmente, un'accelerata, ai lavori della Conferenza, visto che arrivati a questo punto l'esecutivo potrebbe legiferare in autonomia qualora non si arrivi a una soluzione condivisa.