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As.Tro: “Decreto sanità ricco di criticità e ancora una volta privo di concertazione”

28 agosto 2012 - 10:23

L’industria del gioco lecito denuncia l’assenza di consultazione del settore e la radicale emozionalità che ha caratterizzato lo schema di disciplina che si illustra in seguito, di cui non si contestano le finalità di tutela delle fasce sociali deboli, ma di cui si rimarca la non aderenza delle soluzioni adottate rispetto a tale nobile scopo, e la sua attitudine a rinvigorire l’offerta illegale e clandestina di gioco d’azzardo non autorizzato e non tassato”. As.Tro, l’Associazione degli operatori del gioco lecito annuncia di essersi attivata per proprio conto e nell’ambito della Federazione Confindustriale Sistema Gioco Italia, per “rappresentare istituzionalmente le criticità della bozza di normativa” proveniente dal Ministero della Salute, al fine di scongiurare la scomparsa (e poco importa se immediata o progressiva) dei 2/3 del mercato Awp italiano. Decreto Sanità, Assotabaccai: Tabacchi e giochi non vanno puniti, occorre educare Stoppani (Pres. Fipe): “Ludopatia materia da affrontare ma non con limitazioni per le slot” Lauro: Decreto sanità, si parta da riconoscimento della ludopatia come malattia sociale

Scritto da Vincenzo Giacometti

“Lo schema di normativa in commento – spiega l'associazione in una nota - riassume nella nozione di gioco d’azzardo ogni forma di attività (lecita o illecita che sia) suscettibile di creare ludopatia, ovvero G.A.P. (le due nozioni differenti sono utilizzate entrambe, la prima, all’articolo 11, con riferimento alla sociologia, la seconda, all’articolo 5, con riferimento alla sanità). La non irreprensibile “forma giuridica” usata, che, dopo la consultazione del codice penale sarà evidentemente sanata, rivela, in realtà, l’approccio tecnico al problema: il gioco fa male e poco importa se sia lecito o no, e per questo va più prudentemente (molto più prudentemente) distribuito sul territorio.

Da un'analisi dell'articolo 5 relativo ai cosiddetti 'Lea', ovvero, i Livelli essenziali di assistenza per le persone affette da malattie croniche e rare, nei quali il decreto prevede l'inclusione anche del gioco patologico, As.Tro commenta come il Gap (Gioca d'azzardo patologico) è quindi destinato a diventare una malattia, di cui il Sistema sanitario nazioanle deve farsi carico. “La decisione è giuridicamente tollerabile ma scientificamente avventata, oltre che burocraticamente collocata in un contesto applicativo molto complesso. Il decreto, infatti, ri-disegna come si fa medicina e sanità nel nostro Paese, sancendo che il S.S.N. 'riconosce' solo le cure rientranti nei protocolli diagnostici asseverati prestate da medici (e quindi non solo esperti della riabilitazione morale) sottoposti a grave responsabilità professionale qualora si distacchino da modelli di cura 'standard'”.
Pertanto, osserva l'associazione. “se il Gap è veramente una malattia comportante interdizione (come si evince dal successivo articolo 11), della quale sono affetti 900.000 cittadini necessitanti di un percorso di recupero, significa che il 'banco' della Sanità salta: la Sanità dovrà farsi carico di un preventivo di spesa di almeno 1,8 miliardi di euro, terapie e farmaci esclusi, per non parlare delle ripercussioni sul fronte giudiziario ed economico laddove i beni del giocatore patologico siano sottratti alla garanzia dei creditori, previo avvio di un procedimento civile di interdizione. A ciò si aggiunge che a tutt’oggi, non è disponibile un protocollo diagnostico riconosciuto per tale malattia (che tale infatti non è), e che il medico, quindi, è destinato ad assumersi  la propria responsabilità professionale per il mancato raggiungimento del risultato della guarigione perseguito tramite cure non 'standard'”.
Se, invece, “il Gap è solo un disturbo, ovvero una dipendenza comportamentale che si sviluppa senza sostanza, in connessione alla personalità già depressa o a disagio conclamato, ecco che il c.d. livello minimo di assistenza altro non diventa se non un gioco 'a scarica barile' tra servizi sociali di pertinenza comunale e S.S.N. di pertinenza regionale”.
“In entrambi i casi, comunque, la 'conta' dei malati sarà algebricamente assicurata dalla presenza di una cartella clinica a carico di un soggetto che rischia l’interdizione del prodigo prima ancora di essere curato con un protocollo diagnostico di conclamata efficacia”.  
Rigardo invece all'articolo 11 del decreto, recante le “Disposizioni in materia di vendita di prodotti del tabacco, di bevande e misure di prevenzione per contrastare la dipendenza da gioco d ́azzardo patologico”, il quale prevede che gli apparecchi da gioco lecito non potranno essere installati nel raggio di 500 metri da luoghi sensibili, As.Tro osserva: “Posto che per luogo sensibile si considera anche un centro semiresidenziale operante in ambito sanitario o sociale (esempio un centro di riabilitazione ortopedica, o un ambulatorio odontoiatrico, piuttosto che una scuola privata di canto), in aggiunta ai luoghi di culto o ai luoghi a prevalente frequentazione “giovanile” (esempio discoteche e parchi acquatici, come piste da sci, ma anche cinema che qualche cartoon potrebbero proporre, eccetera), la norma si traduce in divieto di installazione degli apparecchi da gioco nelle città (almeno dai rispettivi centri o zone più densamente abitate)”.
“Gli apparecchi attualmente esistenti nelle aree sensibili, quindi, che fine fanno? Vanno rimossi o possono continuare ad operare ? e se si guastano e vanno sostituiti possono essere rimpiazzati? La domanda ha un certo “peso” economico ed erariale in quanto concerne il 75% delle slot oggi in esercizio.
La domanda poi, si ripropone con “accalorata decisione” alla luce di un cambio – macchine decretato d’urgenza dall’Aams, che comporterà la dismissione programmata di tutte le awp oggi operanti.
Queste ultime potranno, in futuro, essere installate solo nelle trattorie lungo le statali oppure potranno sostituire le awp di cui hanno preso il posto per dismissione amministrativa coatta?
L’industria del gioco lecito denuncia da anni l’irrazionalità distributiva del gioco lecito e la disorganizzata proliferazione legislativa di offerte di gioco su un Territorio che già da tempo non “risponde più” in termini di domanda di nuovi insediamenti dedicati al gioco a premio.
Nessuno si opporrebbe ad un programma nazionale di razionalizzazione e contenimento della filiera distributiva, purché attuato secondo quanto stabilito dalla nostra Corte Costituzionale e dalla Corte di Giustizia Europea, e non contrastante con provvedimenti già licenziati dall’Amministrazione Finanziaria.
Nessuno plaude al cospetto di centri storici trasformati in quartieri del gioco, ma esiste una legalità interna ed internazionale in virtù della quale una impresa lecita non può essere “sgomberata” come se fosse un accampamento di clandestini girovaghi”.


“La conclusione di un commento tecnico – aggiunge As.Tro - dovrebbe essere continente e sempre scevra da valutazioni emozionali: tuttavia lo sgomento di una categoria industriale non può che essere evidente ed elevato nel riscontrare un dato: il servizio che l’industria del gioco lecito presta, allo Stato in termini di gestione di un prodotto di sua proprietà viene equiparato all’inquinamento chimico, ovvero fenomeno da arginare, curare, contrastare, e possibilmente estinguere, suscettibile di decretazione comunale di saturazione dei livelli di sopportazione”.
“A questo punto diventa tecnica e oggettiva anche una considerazione a contenuto provocatorio: ma perché non si abolisce il gioco a premio legale e non si ritorna ai boni mores degli anni trenta dove 'le brave persone' non frequentano i bar – osterie - locande, cui si affida la funzione economico- sociale di mera somministrazione di cibo e bevande ai viandanti, unitamente al monitoraggio dei nulla facenti residenti in loco?”

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