Obiettivo 2016 al CdS: ‘Scommesse, Adm autorizzi libera iniziativa operatori’
La società di servizi presenta ricorso al Consiglio di Stato contro la sentenza del Tar del Lazio con cui le è stato negato di operare come bookmaker, in assenza di concessione.
Obiettivo 2016 ha presentato ricorso al Consiglio di Stato contro la sentenza del Tar del Lazio dello scorso marzo con la quale veniva respinta la sua richiesta di operare come bookmaker senza concessione statale. Nel ricorso, depositato in queste ore, Obiettivo 2016 giunge provocatoriamente alla conclusione che l’autorizzazione ufficiale dei Monopoli alla libera iniziativa degli operatori è l’unica soluzione per risolvere l’ambiguità del mercato delle scommesse in Italia. "Nell’attuale contesto normativo - si legge nel ricorso - un assenso ufficiale di Adm all’iniziativa di qualsiasi operatore è l’unico modo per garantire piena applicazione non solo dei principi di libertà di circolazione e stabilimento ribaditi dalla Corte di Giustizia europea, ma anche e soprattutto dei principi di parità di trattamento e non discriminazione tra imprese, diverse solo per nazionalità, che intendono operare nello stesso settore". Secondo la società di servizi nel corso degli anni si è affermato un quadro normativo chiaro: "Tutte le disposizioni del nostro ordinamento e le prassi che, recependo il diritto europeo, generano una paradossale disparità di trattamento a danno dei cittadini italiani non hanno ragion d’essere alcuna: devono essere disapplicate".
Il ricorso evidenzia, in riferimento alla cosiddetta sanatoria prevista dalla legge di stabilità 2015, che tale provvedimento sembra confermare “la ragione addotta a motivo del diniego opposto all’istanza di Obiettivo 2016 e cioè che i titoli abilitativi reclamati dalla ricorrente non sarebbero contemplati dal quadro giuridico-istituzionale nel quale essa stessa opera, dato che invece il legislatore ha ben integrato il quadro giuridico-istituzionale dotando i Ctd di un titolo abilitativo a sanatoria della loro operatività priva di concessione". Una palese violazione del principio di uguaglianza, secondo la società, che dunque oltre al consenso per operare senza concessione solleva al Consiglio di Stato anche la questione di legittimità costituzionale.