Scommesse, Cassazione: 'Raccolta vietata senza licenza della Questura'
Corte di Cassazione boccia ricorso del titolare di una sala giochi che raccoglieva scommesse senza la prescritta licenza del Questore.
"L'imputato esercitava consapevolmente l'attività abusiva di raccolta di scommesse, sia perché
non era dotato dell'autorizzazione richiesta dalla legge, sia perché aveva stipulato un contratto con una società per le scommesse online che addirittura vietava espressamente una sua attività di raccolta per loro conto". Con questa motivazione, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso del gestore di una sala giochi contro la condanna della Corte d'appello di Messina alla pena di quattro mesi di reclusione per aver consentito l'esercizio di scommesse calcistiche e ippiche senza la prescritta licenza del Questore.
LA DIFESA - Secondo i legali del gestore della sala giochi, non si sarebbe verificato il reato contestato perché "la polizia giudiziaria aveva accertato: che non erano presenti avventori al momento del sequestro; che i computer non permettevano la libera navigazione in Internet, ma solo l'utilizzo del portale della società; che per effettuare l'accesso era necessario possedere un nickname e una password; che non si era verificato cosa si potesse realmente fare accedendo al sito". Con un secondo motivo di doglianza, gli avvocati sostenevano che la società per le scommesse online a cui il gestore faceva riferimento "era autorizzata ad esercitare l'attività di gioco e scommesse e che, con contratto del 2003, tale società aveva affidato all'imputato l'attività di commercializzazione".
LA SENTENZA - Per i giudici della Corte di Cassazione il gestore è da ritenersi colpevole di esercizio di raccolta scommesse senza licenza, in quanto contrariamente a quanto asserito dalla difesa, infatti, la società per le scommesse online a cui il gestore faceva riferimento "aveva espressamente vietato all'imputato l'accettazione di scommesse nel centro da lui gestito, non consentendo a tal fine neanche l'uso di una carta ricaricabile e aveva anche vietato che fossero messi a disposizione dei clienti dei personal computer collegati al suo sito Internet. L'oggetto del contratto era invece limitato alla commercializzazione di ricariche, alla distribuzione dello schema di contratto, alla trasmissione del contratto di conto di gioco sottoscritto dal giocatore. Tale essendo la situazione di fatto - da cui emerge la radicale illiceità dell'attività svolta dall'imputato, in mancanza sia di autorizzazione sia di un rapporto contrattuale con la società che consentisse una sua attività di intermediazione nella raccolta di scommesse - risultano del tutto irrilevanti le allegazioni difensive circa la possibilità di consentire l'esercizio di scommesse ai clienti tramite una semplice dichiarazione ai sensi dell'art. 25 del d.lgs. n. 259 nel 2003 all'ispettorato territoriale del Ministero delle comunicazioni; dichiarazione che sarebbe stata regolarmente inoltrata dall'imputato".