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Alberto Riva, Roccamare buen retiro tra amicizia e letteratura

02 marzo 2024 - 08:46

Alberto Riva dedica il suo ultimo libro a una tra le località più amate dai maggiori scrittori italiani: un viaggio negli anni Ottanta che ha come protagonisti, tra gli altri, Carlo Fruttero, Franco Lucentini e Italo Calvino.

foto tratta dalla pagina Facebook di Alberto Riva

foto tratta dalla pagina Facebook di Alberto Riva

Una prima idea, intorno a due scrittori che hanno rappresentato uno tra i più affiatati e duraturi sodalizi artistici in Italia.  
“Fruttero & Lucentini sono la mia passione da sempre, mi sono interesssato a loro come autori ma anche come amici, persone che nonostante le diversità caratteriali scoprono di avere entrambi una grande curiosità intellettuale, pochi pregiudizi e una visione ironica della vita.” Lo scrittore e giornalista Alberto Riva racconta così la genesi del suo ultimo libro Ultima estate a Roccamare (Neri Pozza): un nucleo di partenza “che però mi sembrava insufficiente” e che trova la sua piena realizzazione “quando ho avuto modo di andare a Castiglione della Pescaia (Grosseto) a trovare Carlotta Fruttero. Era prima della pandemia, a Milano era una giornata di novembre cupa, mentre la Maremma mi ha incantato con i suoi colori, i suoi pini marittimi, il vento. Tutto ciò ha lavorato, durante la pandemia, nel mio subconscio, e mi sono infine chiesto: perché non raccontare quei luoghi e gli scrittori che vi hanno vissuto, da Italo Calvino a Pietro Citati, una sorta di reportage nel passato ma anche ricorrendo a testimoni?”
Nel libro si viene traportati negli anni Ottanta, in una sorta di età dell'oro, tra colte disquisizioni di scrittori che hanno fatto la storia della letteratura, peraltro abbastanza recente, italiana. Venendo al presente, esistono ancora scrittori che reggeranno all'urto della storia e lettori in grado di leggerli e apprezzarli?
“È cambiato il rapporto con il prodotto letterario. Una volta l'uscita di un libro, penso a La storia di Elsa Morante, scatenava un dibattito che poteva durare mesi o anni. Oggi altri media occupano il tempo, una parte dei lettori cerca nei libri una replica delle serie tv e a essi si chiede meno, a fronte di una minore capacità di attenzione. Ma ovviamente ci sono scrittori bravi, come Elena Ferrante, che consentono di continuare a lavorare sulla lingua, la parola, che intercettano i gusti del pubblico attraverso una ricerca letteraria. Poi, se e che cosa resterà non lo so. Da parte mia, sono un lettore appassionato e mi piace connettere le mie passioni.”
Dopo i fasti del passato, la letteratura italiana è destinata a un ruolo di nicchia nel panorama internazionale e a suo giudizio in Italia esistono sufficienti percorsi di studio per imparare a scrivere?
“In America scuole di scrittura creativa esistono da anni e il sistema universitario statunitense fa sì che l'autore possa vivere facendo il professore. Ma anche in Italia esistono da tempo scuole private, come la Holden, che certo, se non hai niente da dire non te lo possono insegnare, ma possono insegnarti tante altre cose. Soprattutto, a confrontarti con altre persone e ad aprirti nei confronti della produzione letteraria nel mondo.”  
Tornando al libro, tra i suoi fili conduttori ci sono certamente i luoghi: Roccamare e in generale la Maremma. Come mai questi luoghi erano diventati un ritrovo e un rifugio di così tanti scrittori?
“È stato un fatto casuale. Negli anni Sessanta iniziano le vacanze di massa e per gli intellettuali luoghi come Forte dei Marmi e Viareggio diventano troppo affollati. Si mettono allora alla ricerca del luogo selvaggio e Citati, che la zona di Roccamare già la batteva, suggerisce a Fruttero una pineta dove 'non c'è quasi niente', e lui andandoci resta folgorato, non sulla strada di Damasco ma, appunto, su quella di Roccamare! Questo è un posto che risponde all'esigenza di una villeggiatura incontaminata, dove coltivare le amicizie.”
Nel suo libro ce n'è uno che le sarebbe piaciuto, più di altri, incontrare di persona?
“Carlo Fruttero: il suo era un tipo di humour che mi si confà. E poi certo, neanche a dirlo, Milan Kundera.”
Il gioco, anche in denaro, è spesso stato fonte di ispirazione per tanti scrittori. Si tratta di un tema che affascina e che potrebbe ispirare anche lei?
“Io personalmente non sono un giocatore in senso stretto, ma per me la scrittura è un gioco. È un po' come quando sei a scuola, ti annoi e pensi che a casa hai i Lego o il Meccano... io vado al supermercato e intanto penso al dialogo che devo ultimare. Inoltre, per il mio penultimo libro Il maestro e l'infanta (sempre edito da Neri Pozza Ndr), dedicato a Domenico Scarlatti e al suo legame con la regina di Spagna Maria Barbàra, ho fatto delle ricerche che dimostrano come il musicista napoletano fosse un giocatore, tanto che la regina, pur di farsi scrivere gli ultimi 'essercizi per clavicembalo', si era offerta di pagare i suoi debiti. Mi aveva colpito che questo genio della musica fosse dipendente dal gioco e avevo anche avuto modo di scoprire che nel 700 in Spagna si giocava molto a carte ai tavoli (tablas de juego), i giocatori erano i tablajes, le carte (naipes). I giochi di carte erano la primiera (primera), el siete y llevar,  el capadillo, las pintas, ma c'erano anche i giochi proibiti come los vueltos, cioè puntare sulla carta nascosta (apostar a carta tapada). Le case da gioco venivano chiamate, elegantemente, casas de conversacion. I simboli sulle carte erano i palos.”

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