skin

Doninelli (scrittore): 'Vorrei eccellere in qualche gioco, ma non ho pazienza'

20 gennaio 2024 - 08:56

Lo scrittore Luca Doninelli presenta il suo “Nero fiorentino”, tra riflessioni sull'identità della città toscana e divagazioni sul suo rapporto, poco paziente, con il gioco.

Scritto da Anna Maria Rengo
Luca Doninelli - Scrittore.png

Colto, ironico e inquietante. Con questi aggettivi si può sintetizzare l'ultima fatica letteraria di Luca Doninelli “Nero fiorentino” (edito da Bompiani), un thriller nel quale la realtà sfugge di continuo alla comprensione e i moventi vengono da lontano. Un libro, di cui certamente non sveliamo la trama e tantomeno l'epilogo, che ha una protagonista indiscussa: Firenze.

Come mai questa città è per lei, non per la prima volta, fonte di ispirazione?

“Sono per metà fiorentino e per metà bresciano. La parte fiorentina è quella più nobile ma anche la più problematica. Forse il meglio di me viene dalla pianura bresciana, dal mondo contadino. Il lato fiorentino è complicato e soffre di una difficoltà cronica a stabilire la propria giusta dimensione. Firenze è una città difficile anzitutto per sé stessa, e io ho un pezzo di Firenze inchiodato dentro di me. “

Che immagine dipinge di questa città e qual è il futuro che immagina per essa?

“Ironizzando, potremmo dire che Firenze comincerà ad avere un futuro (e forse anche un presente più riconoscibile, una fisionomia adulta) quando smetterà di portare il lutto per una perdita di centralità datata fine '400. “

Nei suoi libri spazia dalla saggistica ai romanzi, passando dai racconti per i bambini e, forse, dall'autobiografia di “La dieta sono io. Come ho perso 50 chili. Definitivamente”. C'è un genere che la rappresenta meglio e ritiene che i talenti e lo studio che servono per scrivere poi vadano bene per qualsiasi tipo di opera scritta?

“Quello che mi rappresenta meglio è, probabilmente, quello che uso meno perché non gode di grossa fortuna editoriale: il romanzo-saggio. Anche se preferisco Thomas Bernhard, credo che in me ci sia più Thomas Mann. Non ho mai saputo quali talenti servano per scrivere una cosa oppure un'altra. Non so nemmeno se possiedo qualcuno di questi talenti. Mi è capitato - questo sì - di studiare i miei argomenti quando capivo di non saperne abbastanza per realizzare una narrazione credibile. Ho studiato anche un po' di botanica. Conoscere i nomi degli alberi è utile, come del resto degli animali, delle pietre. Senza esagerare con l'erudizione.”

In queste settimane e mesi lei ha presentato il suo libro un po' in tutta Italia. Dalle presentazioni dei suoi libri che spaccato d'Italia e degli italiani emerge? La lettura ha ancora un ruolo e se sì quale?

“L'Italia è piena di luoghi sorprendenti. Direi che, sottotraccia, continua a essere un insieme di città-stato, signorie, granducati. A differenza della Francia, dove le cose devono succedere a Parigi, altrimenti è come se non esistessero, la nostra è una cultura fatta di provenienze, come testimoniano anche i nomi di tanti nostri grandi personaggi: Leonardo da Vinci, Antonello da Messina, Pietro da Cortona, e così via. Questa è una ricchezza straordinaria. Anche i caratteri risentono delle differenti vicende storiche, e non sono rare le costanti, voglio dire situazioni e sentimenti capaci di mantenersi nei secoli se non nei millenni. Per esempio, Roma è sempre stata circondata da popolazioni ostili (Volsci, Sanniti ecc.) e ancora oggi suscita le vive antipatie della provincia. Quanto alla lettura, non so bene cosa dire: ho l'impressione che faccia un po' difetto, nel lettore di oggi, la voglia e la curiosità di scoprire da sé i propri autori. Si leggono sempre gli stessi libri e gli stessi scrittori.”

In un mondo sempre più violento sia a livello di conflitti tra paesi che tra individui, cosa può fare la cultura e da dove/chi si deve partire per cercare di costruire un futuro diverso?

“La cultura dovrebbe servire a disinnescare quella che René Girard chiama la catena delle reazioni mimetiche. Dovrebbe renderci disponibili, come diceva Wittgenstein, a imparare in ogni momento qualcosa di completamente nuovo, ad accettare l'altro nella sua radicale differenza da noi, a farci domandare sempre se quello che stiamo pensando lo pensiamo davvero noi. Ma naturalmente possiamo usarla anche per distruggere il mondo. È una questione di uso della propria libertà.”

Il gioco con vincita in denaro è stato fonte di ispirazione per molti scrittori, alcuni dei quali anche giocatori essi stessi. Lei si è mai fatto ispirare da questo tema e che rapporto ha, come persona, con il gioco?

Ho giocato un paio di volte la schedina del Totocalcio senza vincere niente. Da bambino giocavo a briscola con mio nonno e a scopa con mia nonna. Mi piacerebbe eccellere in qualche gioco di ruolo, ma perdo troppo in fretta la pazienza. Difficilmente racconterò la vita di uno scacchista.”

 

LUI CHI E'?! - Luca Doninelli è nato a Leno, in provincia di Brescia, nel 1956. Vissuto a lungo a Desenzano, vive e lavora a Milano. Con Bompiani ha pubblicato tra l’altro Fa’ che questa strada non finisca mai (2014) e Le cose semplici (2015; premio Selezione Campiello 2016). Tre casi per l’investigatore Wickson Alieni è il libro per ragazzi che ha scritto con un gruppo di bambini di famiglia e gli è valso il Premio Strega Ragazze e Ragazzi 2019.

Altri articoli su

Articoli correlati