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Filippo Tortu, anche nella corsa serve la fortuna

13 aprile 2024 - 10:30

Secondo il campione Filippo Tortu la preparazione è fondamentale, ma solo il “Quoziente fortuna” rende imbattibili, nel gioco come nello sport

Scritto da Daniele Duso
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Ci si allena per giorni, per settimane, per mesi, e ci si gioca tutto in una gara di pochi secondi nella quale, alla fine dei conti, emerge che nonostante tutto serve anche la fortuna.
Lo sa benissimo Filippo Tortu, velocista italiano (è stato il primo italiano capace di scendere sotto i 10 secondi sui 100 metri piani) atteso quest’anno, a 25 anni, a confermare il suo valore nelle principali competizioni planetarie, dove gareggerà nei 200 metri piani.

In previsione di Mondiali, Europei e Olimpiadi si è trasferito in America, una scelta, la sua, che è stata anche criticata. Inevitabile chiedere direttamente a lui il perché di questa decisione: è solo un’opportunità logistica o negli Usa c’è qualcosa che le strutture italiane non sanno offrire a un professionista della sua specialità?

“La scelta è stata dettata sostanzialmente principalmente da tre fattori: il primo è il confronto, perché voglio sentire lo stimolo di allenarmi con atleti più forti di me. Partire da una condizione di svantaggio di permette di tirare fuori energie che altrimenti non troveresti. Poi il clima, dato che questo è un anno cruciale e anticipare la temperatura è importante. Li è già estate e mi permette di fare lavori a velocità più elevate. Infine le competizioni, perché saremo già vicini a dove farò il raduno pre mondiali di staffette e questo sicuramente aiuterà dal punto di vista del fuso orario.”
Il suo è uno sport nel quale dietro a pochi secondi di gara ci sono tantissime giornate di allenamento. In un’attività come la sua la preparazione, soprattutto mentale, è fondamentale, ma quanto conta il fattore fortuna?
“In un film di Bud Spencer e Terence Hill viene spiegato che per essere un buon giocatore di poker devi avere tutta una serie di qualità ma se hai il Qf, il Quoziente fortuna, sei un giocatore completo e praticamente imbattibile. Sottoscrivo pienamente.”

Parlando di un tipo diverso di fortuna, che rapporto ha lei con il gioco? 

“Ho appena fatto una metafora sul poker ma è stato dettato unicamente dalla passione per quei film. Dal gioco d’azzardo mi sono sempre tenuto molto distante, non mi piace e non mi va di interfacciarmi con questo mondo, di qualsiasi tipo. Se invece parliamo di giochi in compagnia, per divertirsi, tipo scopa, briscola, Risiko o simili allora l’importante è la condivisione con amici, il mezzo poi diventa solo la scusa per stare insieme.”
Molti giovani sportivi riempiono il tempo libero tra allenamenti e gare giocando ai videogame, lei ha qualche esperienza videoludica da raccontarci?

Nel caso quali sono i suoi titoli preferiti?

“Fifa, Fifa e Fifa. Da buon malato di calcio ho sempre giocato a questo, soprattutto con mio cugino, che per me è stato come un fratello.”
Da sportivo professionista cosa ne pensa dell’apertura del Cio agli sport elettronici?
“Bella domanda. Indubbiamente oggigiorno ci sono molte competizioni agonistiche legate agli esports e i ragazzi che ne fanno parte si allenano con grande professionalità e dedizione. Detto questo, per me esiste comunque una grande differenza tra l’allenamento di uno sportivo professionista e quello dei giochi elettronici. Le olimpiadi rappresentano la massima aspirazione di uno sportivo, dove è in gioco sia l’allenamento fisico, sia quello mentale e dove l’elemento umano è preponderante. Non penso che si debba mischiare sempre tutto a tutti i costi. Voglio portare l’attenzione su una cosa in particolare: l’effetto che può avere l’allenamento a questo tipo di attività. Se un ragazzo insegue il sogno di diventare il miglior giocatore di Fortnite e di vincere le olimpiadi, siamo sicuri che giocare ore e ore ogni giorno gli faccia bene? Si sono scritti fiumi di inchiostro sul tema della dipendenza dagli schermi. Non ho la risposta naturalmente, ma la domanda me la pongo.”

Lei a Milano gestisce con suo fratello Giacomo una scuola di atletica. Quanto si rivede nei piccoli atleti che segue? Da quali caratteristiche si può capire che un bambino ha le potenzialità del campione?

“Faccio un distinguo, è una squadra che non seguo io attivamente e non gestisco. Sicuramente mi piace partecipare alle attività che propone per incontrare giovani sportivi e vedere come si approcciano al mio mondo. Vederli correre è stimolante perché mi ricorda con quale spirito va affrontata la vita: con serietà ma anche con leggerezza. Per citare un altro film, non smettiamo di giocare perché invecchiamo, invecchiamo perché smettiamo di giocare. Quindi per concludere, forse hanno più loro da insegnare a noi che viceversa.”

 

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