Era il 1974 quando Avalon Hill immetteva sul mercato “Third Reich”, gioco di strategia da tavolo inventato da John Prados che divenne presto popolare, tanto da uscire in successive edizioni, e con il quale i giocatori erano sollecitati a “scrivere” altre strategie belliche per la seconda guerra mondiale, che potevano portare, magari, addirittura alla vittoria della Germania.
Era il 1989 quando Roberto Bolaño inizia a scrivere un libro ispirato appunto al gioco di Prados e che sarà pubblicato postumo (lo scrittore cileno era venuto a mancare a Barcellona nel 2003, a cinquant'anni) in Italia nel 2010 con il titolo “Il Terzo Reich” (edito da Adelphi), anche se l'autore aveva inizialmente pensato, nel 1998, di chiamarlo “La strategia mediterranea”.
A raccontare il libro, ma soprattutto il complesso e vasto mondo del suo autore, è Ilide Carmignani, che ha curato in Italia la traduzione di ben sedici opere di Bolaño.
“Bolaño stesso era un grande appassionato di giochi di guerra e collezionista. Dal suo arrivo a Barcellona, era un assiduo frequentatore di un negozio di giochi di guerra e vi si dedicava anche di notte, coinvolgendo pure il figlio Lautaro e provocando la reazione della moglie, che si preoccupava del fatto che il ragazzo il giorno successivo sarebbe dovuto andare a scuola.
Tradurre il libro ha presentato dunque una serie di difficoltà: innanzitutto perché traducevo dallo spagnolo un testo che era stato tradotto dall'inglese, e poi per la terminologia tecnica legata appunto al Terzo Reich, per cui mi sono dovuta fare aiutare dall'esperto di giochi Andrea Angiolino.”
Il Terzo Reich ruota interamente al gioco da tavolo, che pian piano coinvolge anche uno dei personaggi che inizialmente sembrava sullo sfondo, il Bruciato. Secondo lei l'essere scappato dalla dittatura di Augusto Pinochet ha influenzato e ispirato il giovane Bolaño nel 1989?
“Quando Bolaño arriva in Spagna il generale Franco è morto da poco. Si reca dunque in un Paese che, anch'esso, ha avuto una dittatura. Per Bolaño nazismo e fascismo erano i simboli di tutti i mali del mondo e c'è sicuramente un legame anche con le dittature sudamericane che, scrive egli stesso, hanno completamente sacrificato e massacrato la sua generazione, ossia di coloro nati tra gli anni Quaranta e primi anni Cinquanta. C'è un fil rouge che unisce Hitler, i generali nazisti e quelli latino americani, tant'è che alcuni critici individuano nel Bruciato, il giocatore che si contrappone al protagonista Udo Berger, Atahualpa, ultimo sovrano Inca, simbolo del genocidio dei popoli originari sudamericani. Berger rappresenta il fascismo e il suo avversario una sinistra che può essere interpretata in vario modo, più o meno legata alla sinistra latinoamericana.”
Leggendo il libro si prova un senso di smarrimento e di estraneità ed è sempre più difficile empatizzare o anche provare simpatia per i suoi personaggi...
“È una sua scelta, accade anche con altri libri, e anche quando alcuni personaggi sono dei suoi alter ego. In altri romanzi dove i personaggi sono poeti, scrittori, critici letterari, c'è una identificazione maggiore anche se Bolaño evita sempre quella eccessiva. Con questo libro vuole affascinare il lettore con un giallo che non è un giallo e che è tutto fatto di atmosfera. C'è un senso di minaccia, di angoscia, con l'albergo che ospita Berger che pian piano si svuota e questo gioco di guerra sulla sfondo contribuisce ad aumentare il senso di minaccia. Il problema, riflette Bolaño, è capire se il Male e causale o casuale, in questo secondo caso diventa difficile sottrarci a esso.”
Come mai, a suo modo di vedere, Bolaño è così famoso anche in Italia?
“Perché è un grandissimo scrittore, che ha lavorato, decenni fa, su temi che oggi mettiamo bene a fuoco. Penso alla precarietà, non solo lavorativa ma anche geografica, e che ci avvicina a lui più che ad altri scrittori, penso a David Foster Wallace o a Philiph Roth, che hanno vissuti più protetti.”
Qual è la difficoltà nel tradurre Bolaño?
“Oltre al linguaggio specialistico, il problema è restituire una voce letteraria a uno scrittore che usa registri diversissimi e che nasce poeta.”
Secondo lei i wargame, di qualsiasi tipo essi siano, rischiano di fare passare la violenza e la sopraffazione come dei valori o comunque come elementi da accettare, o educano invece alla strategia e alla pianificazione, alla stessa stregua di giochi come gli scacchi, dove in definitiva bisogna sempre distruggere l'avversario?
“I giochi di Bolaño non hanno il realismo dei videogiochi di oggi e non credo che potessero avere degli effetti diversi dagli scacchi o dalla dama. Che sviluppino doti mentali è innegabili ed è vero che di fondo lavorano sull'ostilità, ma di essa ci si libera quando si smette di giocare. Non sono del tutto sicura che questo ragionamento funzioni con i videogiochi moderni.”