Lo scrittore inglese Ian Fleming aveva una forte passione per bridge, baccarat, roulette e canasta e, in generale, per l'azzardo. Un aspetto che emerge anche dalle 384 pagine di "Solo per i tuoi occhi" nuova raccolta di racconti edita da Adelphi e tradotta da Massimo Bocchiola. A raccontarci il James Bond che si rivela in questa silloge e lo Ian Fleming nella veste di scrittore di racconti e non di romanzi è lo stesso Bocchiola, che ha tradotto numerose opere del romanziere inglese, oltre che di numerosissimi altri autori (Rudyard Kipling, Samuel Beckett, F. S. Fitzgerald, Paul Auster, Irvine Welsh e Charles Bukowski solo per citarne alcuni).
“Sembra un po’ un paradosso, ma la misura breve del racconto, e il fatto che queste storie si concentrino su un’unica missione e poche scene, ci pone di fronte a un Bond più portato a riflettere su di sé e sul suo particolarissimo mestiere”.
Uno dei racconti in particolare è ambientato a Venezia. Trova che l'Italia raccontata dagli stranieri sia diversa da quella che raccontano gli italiani e che dunque ci sia un po' di stereotipo nella descrizione che ne danno i primi?
“In generale sì, non c’è dubbio. Però Fleming è un viaggiatore esperto e dall’occhio molto fine. Poi i clichés non mancano, dalle mortadelle alle braccia irsute all’incontinenza verbale e alimentare, ai modi chiassosi. Ma tutto questo mi sembra più che altro riferibile al senso di superiorità dell’homo britannicus che attraversa tutta la sua narrativa, anzi è parte fondante del lato popolare del Fleming scrittore”.
James Bond ha spesso a che fare con casinò, giocatori e giochi vari, anche in questo libro. Che rapporto aveva Fleming con il mondo del gioco e come lo traspone sulla carta?
“C’è, in particolare, un’intervista del 1964 a Playboy in cui Fleming, tra gustosi aneddoti, racconta della propria passione, e competenza, di giocatore d’azzardo. Dice che a bridge, specialmente, giocava forte. Tra l’altro, il primo titolo italiano del romanzo Moonraker era Il grande slam della morte. Vi compare una mano fenomenale, che un giocatore professionista ha preparato in modo truffaldino affinché 007 sbanchi il Cattivo. Bond dichiara 7 fiori (a stendere contro qualunque difesa...) avendo 8 punti di onori sulla linea. Contre e, naturalmente, surcontre! Da ragazzo giocavo a bridge e mi sono divertito un mondo a tradurlo. Ma poi c’è il baccarat di Casino Royale, la canasta di Goldfinger, la roulette di Al servizio segreto di Sua Maestà...”.
Secondo lei, perchè James Bond ha avuto così tanto successo a livello planetario?
“Il successo dei libri di Fleming ci fu prima del cinema, ma la spinta determinante la diedero i film degli anni ’60 con il fascino di Sean Connery, il glamour delle Bond Girls, i gadget (per noi bimbi di allora il modellino della Aston Martin con il sedile eiettabile era un mito, anche se perdevamo subito l’omino eiettato). Senza sottovalutare i grandi cattivi, da Robert Shaw a Telly Savalas al nostro Adolfo Celi in Thunderball”.
Quale formazione deve avere un traduttore per approcciare un autore e che consigli darebbe a chi si avvicina a questo particolare mestiere?
“Su questi argomenti scriviamo libri quasi tutti gli anni. In due righe, anzi meno: 1: leggere quello che ha scritto e quello che hanno scritto di lui, e soprattutto ascoltare la sua voce. 2: avere pazienza e passione e aspettarsi di guadagnare poco. A volte scandalosamente poco”.
Tra tutti gli autori che ha tradotto, chi l'ha coinvolta di più?
“Difficile dirlo. Forse Edgar Allan Poe perché lo avevo adorato già tra l’infanzia e l’adolescenza. Ma per le stesse ragioni potrei dire Kipling, o London o Stevenson. O lo stesso Fleming, che però lessi all’università. E poi ci sono gli attuali, Pynchon, Welsh... e i poeti”.
Oltre che traduttore, lei è anche scrittore e poeta. In che modo concilia queste tre attività?
“Essendo un autore che vende sempre pochissimo, mi tocca tradurre molto, molto più di quanto non scriva. Per fortuna mi piace quasi altrettanto. A volte anche di più”.