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Comma 7: niente di nuovo sotto il sole di Bruxelles, procedura di infrazione ancora aperta dopo 7 anni

31 dicembre 2011 - 10:19

Niente di nuovo sotto il sole di Bruxelles per gli apparecchi 'comma 7'. Sette come gli anni trascorsi dall'avvio della procedura di infrazione da parte della Commissione Europea nei confronti del nostro paese per via via di una normativa accusata di creare “Ostacoli all'importazione in Italia di apparecchi d'intrattenimento (videogiochi)”, come specificato nella pratica conservata negli archivi di Bruxelles e lì sepolta dall'ormai lontano 2005.

Scritto da Alessio Crisantemi


Non che non sia accaduto niente, durante questi ultimi anni, in quanto i Monopoli di Stato, su invito dell'organismo europeo, hanno provveduto all'aggiornamento delle procedure di omologazione (era la primavera del 2010) con l'onere passato agli organismo di certificazione che già operano nel settore degli apparecchi da intrattenimento attraverso le newslot, andando a risolvere, almeno sulla carta, alcune (ma non tutte) criticità riscontrate nella vecchia disciplina, Ma non risolvendo appiano, di fatto, la situazione a livello comunitario visto che la procedura non è stata, ad oggi, ancora archiviata. Anzi, la situazione appare praticamente ferma, in quanto per il ministero dell'economia e delle finanze, tale settore è da considerare 'marginale' rispetto al resto del gioco pubblico e quindi a resa quasi nulla. Peccato però che non lo sia per le aziende che operano (e da anni) in questo settore (come i lettori di GiocoNews hanno avuto modo di constatare in questi anni), per le quali le criticità sono rimaste più o meno le stesse. E, nonostante tutto, continuano a portare avanti questo mercato, il quale, nonostante la mancanza di interesse da parte del legislatore, non ha alcuna intenzione di finire nel dimenticatoio. E, al contrario, le esperienze di altri paesi dimostrano essere più vivo che mai e, addirittura, in espansione.

L'AFFAIRE BRUXELLES - La Commissione Europea, attraverso la procedura di infrazione avviata nel 2005, bocciava la normativa italiana relativa all'omologazione degli apparecchi, rilevando "Ostacoli all'importazione in Italia". Un aspetto che comporta la violazione del diritto comunitario e in particolare, all'articolo 28 del Trattato, alla quale ha fatto seguito anche la messa in mora complementare (Art. 226) nei confronti dello Stato italiano. Secondo la Commissione, le regole italiane imposte dal decreto dell'8 novembre 2005, che stabiliva omologhe per gli apparecchi comma 7/a e 7/c del 110 Tulps, sono da ritenere "incompatibili" con il quadro normativo europeo.

Era il settembre del 2008 quando l'Unione Europea emetteva la seconda messa in mora, per poi passare, l'anno successivo, all'apertura formale della seconda fase della procedura d'infrazione emettendo un "parere motivato" (art. 226 del trattato CE) nei confronti del nostro paese. Ciò significa che la partita sarebbe arrivata già in quel momento all'ultimo atto di competenza della Commissione, la quale richiedeva un adeguamento della norma entro i successivi due mesi (a partire dalla data di emissione del provvedimento, che risale agli ultimi giorni di giugno 2009), pena l'invio del contenzioso alla Corte di Giustizia Europea. L'adeguamento della normativa italiana, di fatto, è avvenuto. Anche se un po' in ritardo rispetto al timing prefissato, con il provvedimenti ufficiale di Aams pubblicato soltanto a maggio del 2010, ma in seguito a una lunga concertazione con Bruxelles.
Tuttavia, la prima risposta da parte di Bruxelles che ha fatto seguito all'adozione della nuova norma da parte di Aams (passaggio, infatti, ritenuto necessario dai Monopoli anche al di là della procedura di infrazione) seppure positiva, conteneva una richiesta di chiarimenti riguardo ad alcuni aspetti tecnici del decreto. Chiarimenti che sono poi arrivati, anche se la procedura è ancora pendente. Ma il rischio della Corte Ue non sembra poi così concreto, visto lo scarso interesse generale nei confronti di questo mercato.

COSA CONTESTA LA COMMISSIONE - Sulla base di un'indagine avviata dalla Commissione europea negli anni passati, venivano ravvisate le seguenti defezioni: divieto di determinati apparecchi da intrattenimento che non distribuiscono vincite in denaro, "procedure di test onerose" e troppo complesse richieste agli, richiesta inopportuna per gli importatori che devono avere una (eventualmente seconda) sede in Italia, e la mancanza di certezza del diritto imposizione di dispositivi elettronici di identificazione sui prodotti, oltre alle spese amministrative e costi in generale troppo onerosi per l'autorizzazione del prodotto di gioco.
Tra i punti 'oscuri' della materia, tuttavia, vi è anche al questione delle cosiddette 'ticket redemption', ovvero, quei giochi che distribuiscono vincite in premi che sono comunque consentiti in altri Stati UE, ma che non potrebbero essere importati comunque in Italia. Ciò si giustifica in ragione delle esigenze di protezione di ordine pubblico, riguardate dagli stessi Trattati europei come idonee a consentire una deroga al principio della libera circolazione delle merci. Tuttavia, risulta che la normativa italiana si opponga alla importazione, oltre che di questi giochi, anche di altri giochi che non prevedono vincite in denaro e che, quindi, non possono definirsi d'azzardo. Si tratta , ad esempio, dei giochi che simulano il gioco delle carte e dei dadi, il cui successo non dipende esclusivamente dall'abilità del giocatore, ma anche da elementi aleatori. La ragione di quest'ultimo divieto dipende , secondo le Autorità italiana, dal fatto che tali apparecchi consentirebbero al consumatore di imparare tecniche di gioco idonee a trasformarsi, tramite una facile modifica degli apparecchi stessi , in giochi propriamente d'azzardo.
Secondo la Commissione, l'Italia ha diritto a perseguire tali esigenze, inerenti l'ordine pubblico, ma ciò potrebbe avvenire attraverso misure meno 'limitative' rispetto al divieto di importazione dei giochi.

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