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Tornei di poker live e tasse, alla ricerca delle ultime zone grigie

13 maggio 2023 - 09:56

Dall’operazione All in alle convenzioni internazionali, ormai lo spazio “franco” per le vincite nei tournament dal vivo è molto vasto: scopriamo come muoversi in tutto il mondo.

Scritto da Cesare Antonini
Tassazione Towfiqu Barbhuiya - Unsplash.jpg

Sono lontani i tempi dell’operazione All in, quella dell’Agenzia delle entrate che voleva colpire i “Paperon de' Paperoni” dei poker players che avevano i beni al sole e, invece, quei soldi per vincerli, prima li avevano persi o, alle brutte, già spesi per iscriversi ad altri tornei o per vivere. Semplicemente. Ci sono voluti anni per cercare di fissare un principio comunitario che, secondo i rapporti tra ordinamenti giuridici, era comunque sovraordinato a quello interno: il divieto di doppia imposizione fiscale tra due paesi membri della Comunità europea e anche dello Spazio economico europeo. Insomma, un giocatore che abbia conquistato una somma di denaro grazie ai suoi sforzi e alle sue abilità al tavolo da gioco, non avrebbe dovuto pagare le tasse due volte in due stati membri riconoscendo le fee e le tasse di un buy in come pagamento alla fonte. E pagate una volta le tasse in Ue perché doverle ripagare quando si rientrava in Italia? 

Grazie alla sentenza Blanco/Fabretti (dal nome dei due player che ottennero il successo, Cristiano e Pier Paolo) del 22 ottobre 2014, caddero tutte le istanze di quell’operazione nata su un errore di fondo: l’assenza della certezza della notizia di reato. Le vincite erano certificate da un portale, The Hendon Mob, che si limitava a raccogliere informazioni, tuttavia senza certificarle.  

Questo ampio preambolo per spiegare dove ci troviamo, adesso, anche se, con le autorità italiane e il diritto del nostro Paese (non ce ne voglia nessun funzionario pubblico) la certezza in questi casi non vi è mai. Dopo questo risultato epocale, però, si dovette aspettare un anno e mezzo prima che la sentenza venisse recepita prima dalla commissione finanze del Senato (gennaio 2015) e poi dal Parlamento tutto con una legge, solo a luglio 2016, appunto. In alcuni casi di contestazione di cartelle esattoriali pervenute ai players italiani vissuti personalmente, nonostante alcuni tributaristi e avvocati producessero i precedenti e le vittorie in Corte di giustizia europea, in diversi gradi di commissioni tributarie provinciali e regionali alcuni funzionari non riconoscevano o non conoscevano la materia e preferivano rinviare al grado o all’assise successiva. Il cittadino si è trovato spesso a spendere personalmente ulteriori costi legali oltre a quelli che lo Stato si trovava a sostenere ma che, ovviamente, a pagare era sempre il contribuente. 

Ora sul territorio europeo, unione e spazio economico, la materia è piuttosto solida e pacifica: le tasse si pagano una volta sola e dove si gioca e si vince a poker. 
Prima di passare all’analisi dello stato attuale in alcune location di gioco dal vivo dove i players gravitano e sono interessati a sapere cosa accade in caso di vincita, spieghiamo perché parliamo solo di tornei di hold’em e delle sue varianti. In generale qualsiasi vincita può essere soggetta a tassazione errata e ripetuta o, comunque, finire sotto la lente dell’accertamento, perché i tournament fanno notizia. All’epoca dell’operazione All in avvenne per questo. Tuttavia il caso Lindman risale al 2004 e accadde in Slovenia ma si trattava di un jackpot da centinaia di migliaia di euro vinto, però, alle slot. 

È sempre bene regolarsi caso per caso ma una grossa vincita al cash game, ad una slot o ad un tavolo di black jack può passare inosservata. Ora la comunicazione, almeno in Italia, sui giochi, è passata in secondo piano col bavaglio del Decreto Dignità che ha inibito la stampa generalista alla pubblicazione delle news relative agli eventi che prima occupavano anche le pagine principali di quotidiani cartacei e online. Questo ha sicuramente distolto l’attenzione degli uffici che, però, non possono perseguire tali somme conquistate a suon di raise e all in. 

Monte Carlo, Las Vegas, le convenzioni internazionali e la delega fiscale. Tuttavia il poker live è cresciuto e si è allargato e ci sono grandi festival che si giocano lungo tutto il globo terraqueo. Ma la Blanco/Fabretti, come dicevamo, si limita allo spazio economico europeo. Cosa rimane fuori? Abbiamo fatto il punto con uno dei due fautori del successo dei poker players vessati dall’Ade grazie a quella famosa sentenza, l’esperto tributarista Sebastiano Cristaldi. Se in Europa San Marino e altre location sono ormai situazioni piuttosto “serene” dal punto di vista fiscale grazie alle convenzioni fiscali internazionali che hanno potere quanto un ordinamento giuridico sovraordinato a livello transnazionale di imporre il divieto di tassazione, così non è per altre situazioni. 

Lo spunto per parlare di tassazione è per un torneo che molti players italiani, ed europei, non si vogliono perdere, l’European Poker Tour di Montecarlo: “Purtroppo le regole per eventuali vincite in denaro che vengono ottenute nel Principato i problemi col Fisco rimangono - esordisce Sebastiano Cristaldi - perché? Perché non vi sono convenzioni e negli ultimi anni non è cambiato nulla. In questo caso le tasse vanno pagate secondo le aliquote che rischiano di superare il 40 percento degli importi vinti e il tutto, ovviamente, senza detrarre alcuna spesa”. Al lordo, esatto. 

Non ci sono buone notizie in vista e, con le convenzioni, anche se la situazione sembra offrire ampi spiragli, bisogna andarci con i piedi di piombo: “Intanto gli importi che vanno versati senza divieto di doppia imposizione e senza convenzioni sono anche aumentati superando anche percentuali che potevano arrivare al 44 percento - prosegue Cristaldi - e, in effetti, anche se le convenzioni prevalgono sulla legge nazionale, quest’ultima va disapplicata ma spesso non accade automaticamente. E il consiglio è sempre di informarsi per bene perché non c’è una regola unica e ogni convenzione è differente l’una dall’altra.

Quella con gli Usa è diversa da quella con l’Australia e così via. Se non si tiene conto di tutto questo c’è il rischio di cadere in inesattezze che potrebbero creare qualche problema”. Ma non ci sono solo aggiornamenti negativi da fornire, anzi: “Nella delega fiscale che il Governo in carica sta cercando di approvare ci sono due elementi assolutamente interessanti e auspicabili: la definizione di residenza fiscale e delle persone fisiche è nella bozza di legge e dovrebbe adeguare la norma nazionale a quella europea e al diritto dell’unione. In programma c’è anche il riconoscimento delle convenzioni che, però, teoricamente non avrebbero bisogno di norme specifiche per essere adottate. Tornando alla residenza fiscale, c’è in via di definizione il conflitto delle disposizioni vigenti a livello nazionale e internazionale. Una persona che ha residenza anagrafica, residenza fisica e lavora all’estero non può essere considerato residente in Italia se non è iscritto all’Aire, l’Anagrafe degli italiani residenti all’estero. La delega fiscale dovrebbe rendere più semplice l’interpretazione di tutto questo”. 

Come spiega Cristaldi, in tema di residenza fiscale, le cosiddette tie breaker rules sono utilizzate per dirimere eventuali conflitti di residenza tra Stati contraenti e regole fanno prevalere il criterio dell'abitazione permanente cui seguono, in ordine gerarchico, il centro degli interessi vitali, il soggiorno abituale e la nazionalità del Contribuente. Lo ha ricordato l’Agenzia delle Entrate con la risposta a interpello n. 73 del 18 gennaio 2023 con cui ha specificato che tra l’altro, l'iscrizione all'AIRE della Contribuente, rilevando unicamente ai fini della vigente normativa interna, non ha alcun effetto sull'applicazione delle disposizioni contenute nel citato Trattato internazionale. Un bel dilemma in effetti.

Finalino con Las Vegas: “Esiste una convenzione con gli Usa ma non è stata ancora recepita e va trattato caso per caso”, spiega Cristaldi. Ormai tutte le case da gioco chiedono la dichiarazione di dove verranno pagate le imposte ma spesso vi è l’obbligo di versare un 20-25 percento in loco e quindi informare l’Agenzia delle entrate al rimpatrio col pericolo di dover dichiarare ancora una volta gli importi.

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