Peccato però che il governo non sembra fare lo stesso nel settore del gioco pubblico, dove, al contrario, le politiche adottate negli ultimi anni (e mesi, pure) sembrano andare in direzione esattamente contraria rispetto alla valorizzazione del comparto e delle aziende che lo compongono.
Basti pensare alla cosiddetta 'sanatoria' sulle new slot (ovvero, la definizione concordata del contenzioso tra concessionari e Corte dei Conti), la quale – come abbiamo avuto modo di evidenziare n precedenza – non può non essere considerata che una sconfitta per il nostro Paese e una resa sul fronte delle politiche economiche, con lo Stato che ha sostanzialmente “rinunciato” agli investimenti non solo esterni, ma anche interni alla nostra economia, scoraggiando anche quegli ultimi investitori che avevano continuato a scommettere sul nostro paese.
Come avevamo anticipato all'epoca, e come i fatti hanno puntualmente dimostrato, l'adesione in massa da parte dei concessionari alla definizione agevolata (e la costrizione di fatto a procedere nella stessa maniera per i quattro che non avevano aderito) ha rappresentato un'occasione per i fondi e gli azionisti che detengono le principali aziende di gioco italiane per liberarsi del peso della sanzione pendente inflitta dalla magistratura contabile, per mettersi subito sul mercato e fuggire, sostanzialmente, verso altri business e probabilmente verso altri mercati. Se si esclude il colosso Gtech (al secolo Lottomatica), per il quale l'adesione era da ritenere inevitabile per l'assestamento del titolo in virtù della liquidità disponibile, ed escludendo pure le spagnole Cirsa e Codere, proprietà dell’omonime multinazionale spagnola, oltre a Bplus e Gmatica (quest'ultima di proprietà del colosso austriaco Novomatic), il resto dei concessionari è in mano a fondi di investimento, pronti a tornare immediatamente sul mercato: Sisal, controllata dai fondi di Private Equity Apax e Permira, ha avviato subito dopo l'adesione la quotazione in Borsa. Cogetech – controllata, insieme a Snai, dal fondo di PE Invest Industrial – è già stata annunciata la cessione da parte del gruppo di Andrea Bonomi entro il 2015. E voci analoghe ruotano attorno al concessionario Gamenet, controllato dal Fondo di PE Trilantic Capital Partners. E' evidente dunque che i fondi di investimento hanno scelto di pagare un prezzo (quello proposto nella 'sanatoria') pur di uscire da un settore sempre più privo di certezze giuridiche. Ed è proprio questo, in effetti, il vero problema del nostro paese rispetto agli investimenti esteri. E per tale ragione continua ad essere assai scarsa la capacità di attrarre capitali esteri, nonostante i vari slogan lanciati dai governi: quello di Enrico Letta prima, e quello di Renzi oggi.
Ora però, va detto, la definizione agevolata di cui sopra è stata opera del suo predecessore, e Renzi può essere dichiarato estraneo alla vicenda; in questo senso la sua dichiarazione di apertura al mercato globale potrebbe essere motivo di conforto per le imprese. Sta di fatto però che guardando di nuovo al mercato del gioco pubblico, le prime mosse (in)compiute rispetto a tale settore, non sembrano proprio evidenziare uno spiccato interesse nei confronti di tale economia, che sembra continuare ad essere considerata un problema, più che un'opportunità.
Nonostante questo, tuttavia, la delega fiscale, se ben attuata, conterrebbe tutti i presupposti per invertire la rotta e rendere di nuovo competitivo il settore e le aziende che lo compongono. Ma se questa è la reale volontà, sarà bene che il governo lo comunichi quanto prima alle aziende, magari prima che il settore possa essere (s)venduto al primo offerente, per incapacità di scorgere una prospettiva di stabilità.