skin

Vietare la pubblicità dei giochi, altro favore all'illegalità

06 ottobre 2014 - 10:29

Gli anni del proibizionismo e gli insuccessi che ne sono conseguiti hanno consegnato alla storia un verdetto inequivocabile, che si può riassumere nella formula: vietato vietare. Sì, perché in ogni settore in cui si è andati ad adottare misure eccessivamente restrittive si è ottenuto un effetto contrario rispetto al fine che si intendeva perseguire. Un principio ineluttabile, salvo poi essere dimenticato quando si tratta di gioco pubblico. Materia rispetto alla quale riaffiorano sistematicamente i più antichi spiriti abolizionisti in una serie di campagne ideologiche che mal si sposano con la realtà. E anche oggi, nonostante sembra diventato di dominio pubblico il fatto che vietare il gioco riconsegnerebbe il settore all'illegalità, c'è chi, rassegnandosi all'idea di poter abolire il settore, chiede comunque di vietarne la pubblicità e la promozione, sui territori e attraverso i  media.

Scritto da Alessio Crisantemi
Vietare la pubblicità dei giochi, altro favore all'illegalità

Una proposta che arriva da vari scranni e sembra diventare, nelle ultime ore, il nuovo leitmotiv della campagna anti-gioco esercitata da vari politici e amministratori locali. Al punto da ritrovarla in atti parlamentari, leggi regionali e, peggio ancora, nei piani regolatori degli impianti pubblicitari, come avvenuto nella Capitale. E poiché la divulgazione di una teoria non corrisponde necessariamente alla bontà della stessa, è opportuno fermarsi a riflettere (e, magari, a far riflettere la nostra classe dirigente) sui rischi che si correrebbero qualora certi principi venissero applicati fino in fondo e a livello generale.
Senza soffermarsi troppo sulla violazione dei principi di libera circolazione dei servizi e sulla limitazione alla libertà di impresa che tali restrizioni comporterebbero – con conseguenti danni alle imprese che, fino a prova contraria, esercitano un'attività autorizzata dallo Stato e in nome di esso, per giunta, in virtù del rapporto concessorio che regola il mercato – bisogna prima di tutto evidenziare la carenza di efficacia di tali misure proprio in termini di prevenzione e di tutela dei consumatori. Rappresentando, addirittura, un serio pericolo in senso opposto. E per gli stessi principi per cui sappiamo che non si può rinunciare all'offerta di gioco pubblico: cioè, ancora una volta, per la diffusione dell'illegalità. Nonostante la grandissima diffusione del gioco lecito – ritenuta, appunto, eccessiva – non si può (e non si deve) dimenticare che sul territorio esiste ancora oggi una grande offerta di gioco illegale o non autorizzato. Basti pensare alle bische clandestine che ancora oggi esistono, seppure in numeri assai più limitati rispetto al passato (con una diminuzione, peraltro, dovuta proprio all'esistenza di un'offerta legale), o alle sale di scommesse che operano senza concessione (che risultano essere oltre 5mila in Italia a fianco delle circa 9400 agenzie regolari) o, ancora, ai circoli in cui si gioca (illegalmente) al poker live. Ebbene, per distinguere tra l'offerta di gioco dello Stato – quella che porta entrate erariali e garantisce ai giocatori la certezza delle vincite secondo a criteri ben definitivi e certificati – e quella che va 'contro' lo Stato, l'unico strumento in mano all'industria e proposto ai consumatori è proprio quello della pubblicità. Se le offerte di gioco non regolari continuano a insediarsi sui territori e a trovare appeal sul pubblico, sfruttando la mancanza di consapevolezza tra i cittadini (e le amministrazioni, diciamolo pure) e l'inefficacia delle norme, l'unica cosa che non possono fare liberamente è la pubblicità. O, meglio, non potrebbero farlo, visto che anche in questo caso si riescono a trovare spazi, seppure in violazione delle norme nazionali, come si vede andando allo stadio e osservando le tante proposte di pubblicità di scommesse fuori concessione. O guardando i manifesti per le strade che troppo spesso riportano le promozioni di locali non del tutto legittimi. Ma sui giornali, sulle riviste e in tv (ossia, dove i controlli e le sanzioni sono assai più severi), diventa molto più difficile far passare messaggi pubblicitari di prodotti di gioco o locali non autorizzati. Vietare tout court la promozione del gioco lecito, quindi, significherebbe equipararlo a quello illegale. Rendendo così impossibile ai cittadini riuscire a distinguere tra cioè che è legale e ciò che è border line. Vanificando, pertanto, i numerosi sforzi compiuti in questi anni – o che si andranno a compiere – in termini di prevenzione e i cultura della legalità.
Per questo è opportuno, ancora una volta, fare i conti con la realtà, e proporre soluzioni che siano davvero efficaci e in grado di tutelare i cittadini. Evitando le soluzioni facili che raramente portano ai risultati auspicati. Coinvolgendo, magari, anche l'industria nella definizione di un certo tipo di norme - che certo aiuterebbe a far comprendere i rischi a cui si andrebbe incontro in termini di illegalità - e studiando soluzioni adeguate in termini di prevenzione. Per una vera e più efficace educazione al consumo. E per una politica, e non solo un gioco, davvero responsabile.

 

 

Articoli correlati