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In attesa del New Deal: per l'Italia e per il gioco pubblico

19 dicembre 2016 - 09:19

Nella crisi economica e politica del nostro paese serve un cambio radicale di sistema: sui giochi, soprattutto.

Scritto da Alessio Crisantemi
In attesa del New Deal: per l'Italia e per il gioco pubblico

In questi ultimi anni caratterizzati dal dilagare di una crisi economica sempre più efferata, si è fatto spesso riferimento alla Grande Depressione del '29, quale elemento di paragone diretto per comprendere le dinamiche  legate ai crolli finanziari e, soprattutto, per portare alla luce i rischi a cui ogni singolo paese poteva (e, in parte, può ancora oggi) andare incontro. In effetti le analogie con quel particolare momento storico - gli anni immediatamente successivi al crollo di Wall Street - sono molteplici, nonostante un paradigma sociale e culturale (quindi, non soltanto  economico) inevitabilmente diversi. Eppure, riguardando la storia di quel tempo, si legge di banche che falliscono, di una disoccupazione dilagante e di movimenti politici e sociali, di matrice populista, che catturavano l'attenzione delle masse ormai senza più fiducia nell'establishment. Ridotta in questi termini, in effetti, sembra quasi che si stia fotografando la storia di oggi piuttosto di quella di allora, e con particolare riferimento all'Italia. C'è di buono, se non altro, che un'analogia di questo tipo dovrebbe consegnarci un messaggio di fiducia rispetto al futuro, sapendo che da quella situazione l'America è tornata comunque ad essere grande e anche il resto dell'economia mondiale è potuta ripartire, raggiungendo peraltro un lungo periodo di benessere diffuso nel corso dei decenni successivi. 

Ma se proprio si vuole guardare agli States, oltre ai messaggi di speranza, sarebbe opportuno cogliere i segnali  politici di quel periodo analizzandoli nei contenuti. Provando, magari, a trarne qualche spunto utile per il presente. In quel panorama di totale disfacimento, negli USA, arrivò Franklin Delano Roosevelt (era il 1933) proponendo quello che lui stesso battezzò 'New Deal': un nuovo sistema di regole, a tutti i livelli, che potesse essere in grado di risollevare le sorti del paese e della popolazione. Un obiettivo non solo annunciato, ma anche realizzato durante il suo primo mandato, attraverso l'approvazione di un piano di riforme economiche e sociali che riuscirono nello scopo. 
Tornando ai nostri problemi, è evidente che al giorno d'oggi non sembrano più esserci figure politiche della stessa caratura di Roosevelt (e non solo in Italia), come è pur vero che la crisi è meno devastante rispetto a quella degli anni Trenta. Quello che continua a mancare però è proprio il New Deal: il cambiamento di scenario, specie a livello politico (quello che noi, probabilmente, chiameremo Terza Repubblica) e, soprattutto, il piano di riforme.
Lo stesso discorso vale per il gioco pubblico, da sempre in attesa di un cambiamento di sistema: una riorganizzazione (e una riforma) generale che lo renda sostenibile per il paese, sotto tutti i punti di vista e rispetto a qualunque punto di osservazione. Dando ormai per assodato che non sia pensabile, in Italia, di far sparire un'offerta di gioco legale perché gli effetti sarebbero deleteri, l'unica soluzione che rimane è quella di affrontare una volta per tutte - e in maniera seria oltre che concreta - il problema (visto che di questo si tratta). Smettendola di intervenire con provvedimenti di emergenza e di breve destino, da una finanziaria e l'altra, e pensando a un piano completo. Come del resto proponeva la stessa Legge Delega, salvo poi finire nel dimenticatoio, alla voce dei lavori incompiuti. Da dove, però, si potrebbe sempre ripescare.
Volendo anche qui guardare all'estero, per la questione dei giochi non serve neppure andare troppo indietro nel tempo né dall'altra parte dell'Oceano (anche se, guardando ancora a Roosevelt, si potrebbe osservare come la prima cosa che fece nel suo piano di riforme è abolire il proibizionismo, per via del dilagare dell'illegalità che aveva generato), ma è sufficiente osservare il 'cambio di sistema' operato dal Regno Unito attraverso il premier Tony Blair che negli anni '90 introdusse la destinazione di scopo dei proventi dei giochi istituendo, tra le altre cose, anche il fondo per lo Sport che oggi noi tutti consideriamo un modello. 
In Italia, invece, la strada appare ancora decisamente diversa e lontana dal percorso delle grandi riforme. Anche se questa settimana potrebbe rivelarsi veramente decisiva per il futuro del comparto, con la nomina dei sottosegretari (all'insegna della continuità) e una successiva nuova riunione della Conferenza unificata che potrebbe tornare ad affrontare la materia, magari anche in forma decisiva. Per poi procedere con l'introduzione di una serie di norme rivolte al settore (tra cui il taglio delle slot) attraverso l'atteso decreto di fine anno. Sviluppi che sarebbero senz'altro positivi, non c'è dubbio, vista la situazione di attuale sbando del settore, ma che non farebbero altro che spostare la palla più avanti occupandosi quindi del futuro prossimo e imminente, senza preoccuparsi di quello con la maiuscola. Ma guai a considerarlo un problema del settore e dei suoi addetti: perché senza un 'nuovo sistema' a farne le spese sarà sempre il paese. E i cittadini, manco a dirlo.

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