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L'impatto del Covid sul retail: 6% locali di gioco ancora chiusi

28 luglio 2020 - 10:26

A un mese e mezzo dalla riapertura dei giochi, circa il 6 percento dei locali è ancora chiuso e la raccolta viaggia col freno tirato, secondo le stime di GiocoNews.it.

Scritto da Redazione GiocoNews.it
L'impatto del Covid sul retail: 6% locali di gioco ancora chiusi

 

Ancora molte ombre e troppe poche luci a due mesi dalla riapertura di bar e ristoranti e a quasi un mese e mezzo distanza dalla riattivazione dei giochi, nei pubblici esercizi e nelle altre location. E non solo perché gli incassi, come pure le frequentazioni dei locali, stentano a ripartire o, comunque, a ritornare ai livelli pre-Covid (come rivelano le stime che riportiamo nel seguito) ma anche perché molte attività non hanno ancora potuto rialzare la saracinesca.

Oltre al fatto che, nel caso dei giochi, molte location hanno dovuto attendere prima di riaprire, a causa delle rispettive leggi regionali (come avvenuto nel Lazio, dove la ripartenza era stata posticipata al 1 luglio, e in Trentino addirittura al 15 luglio), ancora oggi ci sono diverse attività che non sono ancora riuscite a tornare operative.

Per varie ragioni: tutte dovute – evidentemente – all'economicità e ai rischi imprenditoriali che continuano a superare le stime di incasso.

Secondo l'ultimo studio condotto da Fipe, la Federazione dei pubblici esercizi di Confcommercio, in particolare, ad oggi devono ancora riaprire il 3,8 percento dei pubblici esercizi italiani, con il dato che arriva al 3,9 percento nel caso specifico dei ristoranti, che continuano a essere più indietro rispetto ai bar. Molto meglio rispetto a giugno, quando i pubblici esercizi ancora chiusi erano circa il 30 percento (ma solo il 9,4 percento tra i bar) e a maggio erano oltre il 65 percento (fino all'86 percento, nel caso dei bar).

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L'IMPATTO SUL GAMING - Ma cosa accade, invece, tra le location di gioco? Anche qui la situazione è di totale incertezza e di generale difficoltà, anche se non tutto il caos, in questo caso, è provocato esclusivamente dal Covid-19. Quanto, semmai, dalla sua sovrapposizione con gli altri effetti negativi provocati da situazioni pregresse. Come l'annosa “Questione territoriale”, dalla quale derivano le derive già descritte poco fa, come il ritardo delle riaperture, ma anche effetti ben più dannosi: come la chiusura definitiva di alcune location di gioco che, già compromesse dalla pandemia, non possono neppure ripartire a cause dell'imminente chiusura già prevista dalla legge locale sulle distanze dai luoghi sensibili: come sta accadendo in Emilia-Romagna e come potrebbe anche in altre Regioni da qui a breve.
Salvo una presa di coscienza generale da parte delle singole amministrazioni che in parte si sta già verificando: per esempio in Trentino, dove la maggioranza ha già presentato una modifica delle legge sul gioco che prorogherebbe i termini di adozione delle misure più rigide. Oltre a questi aspetti di carattere locale, tuttavia, alle aziende del gioco si sommano anche gli effetti delle altre leggi “punitive” nazionali che si traducono per lo più negli aumenti di tassazione che hanno annientato i ricavi degli operatori già prima del lockdown, provocando una crisi che il virus ha soltanto amplificato e, in molti casi, reso letale.
Vale per gli apparecchi da intrattenimento, alle prese anche con l'iter di sostituzione delle schede con nuovo payout (che oltre a minori entrate significa anche nuovi investimenti), ma vale anche per le Vlt, per le quali oltre al tema del payout (alleviato, se non altro, dal fatto di non dover sostituire l'intera macchina per il cambio di payout) è subentrato l'obbligo di introduzione della tessera sanitaria che a partire da gennaio ha fatto crollare gli incassi in tutte le sale. Fino all'azzeramento totale provocato successivamente dal lockdown. Uno scenario, questo, che ha reso ancor più difficile la ripartenza dei locali. Almeno per chi ha potuto riaprire.
 
Stando alle stime di GiocoNews.it e alle elaborazioni sui dati provenienti dai principali concessionari di gioco italiani attivi nel gaming retail, ad oggi la quota di locali di gioco che devono ancora rialzare la saracinesca si aggira tra il 5 e il 6 percento dell'intera rete nazionale. In particolare, i dati variano dal 3 percento rilevato su alcune reti di concessionari medio-grandi, fino ad arrivare al 10 percento di altri concessionari più grandi. Con una media generale che si aggira sempre tra il 5 e 6 percento delle varie reti. Un trend piuttosto generale e diffuso, tra le diverse tipologie di locali e pure a livello geografico, anche se le mancate riaperture sembrano essere leggermente più concentrate al sud della Penisola.
 
IL CALO DEL FATTURATO – L'altro tema decisamente rilevante che preoccupa gli addetti ai lavori, in parallelo, è quello relativo alla riduzione delle entrate. Nel caso dei pubblici esercizi, stando alle ultime rivelazioni di Fipe del 20 luglio (eseguito su un campione di 340 imprese - principalmente micro - del mondo della ristorazione e del tempo libero) il calo medio del fatturato passa dal 50,3 percento del primo mese di apertura al 41,1 percento del secondo. Dato che, secondo la Federazione, “pur essendo un segnale positivo non è sufficiente a sostenere le imprese”. Diminuisce infatti rispetto al mese scorso la percentuale chi offre una valutazione positiva sull’andamento dell’attività. Se nel primo mese di attività il giudizio positivo era dato dal 22,2 percento delle imprese, queste scendono al 18,1 percento nel secondo mese. Ad essere soddisfatti di aver riaperto sono il 61 percento degli imprenditori, ma sale la percentuale di chi ritiene che non riuscirà a tornare ai livelli di attività precedenti il lockdown (68 percento), segno di un sentiment di forte preoccupazione delle aziende per il futuro. Nonostante siano soddisfatti di aver potuto riaprire, gli imprenditori vedono chiaramente la difficoltà di tornare ai ritmi pre-Covid in tempi rapidi, le motivazioni sono molteplici ma prima far tutte è la carenza di turisti. La domanda da porsi, a questo punto, secondo Fipe è la seguente: quanto può resistere una azienda che fattura il 41 percento in meno?
 
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LA RACCOLTA DEI GIOCHI - Nel caso del gioco, il sentiment sembra essere meno drammatico, ma comunque preoccupante. Anche se ancora in fase di analisi da parte degli addetti ai lavori, in attesa di un consolidamento. Anche in virtù del ritardo con cui sono tornate a lavorare le sale da gioco rispetto a tutte le altre attività italiane. Secondo le rilevazioni di GiocoNews.it sulle reti dei concessionari, in particolare, emergerebbe un calo della raccolta sulle Awp tra il 15 e il 20 percento rispetto allo stesso periodo del 2019, dovuto per lo più al Covid, ma anche a causa della riduzione del payout, Ma pesa senza dubbio il fatto che le macchine “giocanti” in questo momento sono circa i 2/3 rispetto al totale, a causa delle restrizioni nei locali e alle nuove regole di accesso.
Nel caso delle Vlt, invece, la raccolta di questo periodo si aggira attorno a un -20 percento: per una riduzione significativa anche se, va detto, tale riduzione risulta comunque inferiore rispetto al periodo di gennaio e febbraio 2020, cioè prima del lockdown, quando la forte riduzione della raccolta era dovuta quasi esclusivamente al cambio di payout che rendeva meno appetibili le macchine da gioco e all'obbligo di introduzione della tessera sanitaria. Ma anche in questo caso, bisogna considerare che solo il 75 percento circa dei terminali è attualmente operativo e ci sono ancora oggi delle sale chiuse. Per tutte queste ragioni, quindi, si dovrà attendere almeno il mese prossimo per valutare il reale impatto del virus sul business, il quale è anche strettamente legato alla disponibilità di spesa dei giocatori, che quest'anno sarà sicuramente inferiore per quanto riguarda gli italiani. E con l'ulteriore perdita legata alle mancate giocate dei turisti esteri, che quest'anno saranno molto ridotte a causa della pandemia, ma anche dalla legge, nel caso specifico delle Vlt, visto che l'obbligo di inserimento di una tessera sanitaria per poter giocare rende le videolottery inaccessibili al pubblico non residente in Italia. Per un'evidente anomalia che, forse, appare da rivedere, oggi più che mai.
 

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