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Casinò alla prova Covid: professionalità protagonista

12 settembre 2020 - 08:06

Il difficile momento attraversato dai casinò tricolori a causa della pandemia evidenzia ancora di più la necessità di una gestione professionale.

Scritto da Mauro Natta

Il trend dei ricavi realizzati dai casinò italiani negli ultimi tempi è in deciso calo. Non poteva essere diversamente, mi viene da credere, considerata la minore capienza e la distanza tra giocatori, l’obbligo conseguente delle limitate presenze al tavolo da gioco, l’impossibilità di aprire tutti i giochi e il calo delle presenze probabilmente dovute anche alla concorrenza del gioco online che è l’unico che abbia registrato incrementi degni di nota, e non solo in Italia. Mi pare che lo si possa affermare stante i risultati dell’online, in particolare, per i giochi da casinò.

Poco importa se il confronto tra periodi identici tra il 2020 e il 2019 evidenziano diminuzioni mai registrate anche in presenza di un mese più favorevole nel periodo di assenza delle restrizioni ante pandemia, sono proprio le giustificazioni di cui sopra che hanno prodotto un danno che non poteva essere preventivato in alcun modo e che speriamo si blocchi. Gli scopi e le motivazioni a supporto dei decreti istitutivi della case da gioco italiane sussistono ma non possono, al momento, essere concretizzati se non molto parzialmente, nel migliore dei casi.

Forse il legislatore, che nel 1992 ha iniziato l’esame sui progetti e disegni di legge sulle case da gioco che ne prevedevano l’incremento numerico e la regolamentazione di quelle sulle navi da crociera, aveva trovato l’orientamento tendente a potenziare l’industria turistica nazionale parificandola a quella dei Paesi limitrofi. In particolare mi piace fare osservare che allora si parlava, tra l’altro, di albo dei gestori; società a capitale privato con determinate caratteristiche. Pare che molti siano convinti sulla necessità di abbinare il gioco e il divertimento al turismo, così come lo erano i proponenti di quanto sopra ricordato.

Purtroppo, almeno per mio conto, allorché scatta una competizione elettorale si ascoltano discorsi, là dove insistono case da gioco, sulla tipologia gestionale. Non vorrei essere noioso continuando sull’argomento ma ritengo che la domanda da porsi sia una sola: quale è la soluzione migliore per raggiungere lo scopo che possiamo ritrovare nei decreti istitutivi dal 1927 in poi?

I NUOVI INTERROGATIVI - Ecco che gli interrogativi si incrementano: quali sono le necessità primarie di una impresa come quella in esame? Senza dubbio la capacità di adeguare le scelte nel minor tempo possibile e al di fuori di ogni forma di impedimenti di altra natura che non sia quella produttiva. Chiaramente si presenta una scelta obbligata che consiste in una organizzazione della produzione orizzontale senza la quale diventa una chimera il decisionismo. Una qualità che non può mancare in qualunque azienda e, tanto meno, nel caso in discorso. Tutti possono pacificamente convenire sul fatto che nel management sono indispensabili alcune doti quali la provata esperienza e la professionalità che permettono l’assunzione soggettiva di responsabilità.

I dirigenti che compongono il management, là dove la conoscenza diretta del particolare lavoro è conditio sine qua non, devono essere in grado, sempre, di poter giudicare le più svariate situazioni con effettiva cognizione di causa. Allora diventa facilmente intuibile sostenere l’obbligatorietà della loro provenienza lavorativa.
Certamente non si può ritenere esaurito il discorso ma si è già a buon punto. Il personale addetto direttamente alla produzione sarà sempre pronto ad accettare osservazioni da chi conosce perfettamente il mestiere.

TRA MULTIFUNZIONALITA' E CONOSCENZA - L’invito alla multifunzionalità nell’intento di conseguire un rapido adeguamento dell’offerta alla domanda non può pervenire da chi non conosce materialmente la professione e che giustamente pretende la qualità totale nell’esercizio di una attività abbastanza particolare. Lo stesso dicasi per quanto alla diversificazione dell’offerta. Ora non posso che domandarmi se si può raggiungere un identico risultato con una gestione affidata ad una società interamente o a maggioranza a capitale pubblico. La mia risposta è negativa; mi è sufficiente por mente alle complicazioni burocratiche che permangono nel pubblico e non intendo minimamente ampliare l’argomento. Il che porterebbe troppo lontano e distanti da quello che maggiormente rileva.

Una osservazione coerente in chiusura non posso esimermi dal porla all’attenzione di chi sta continuando a leggere; è una delle situazioni che mi ha sempre impressionato sfavorevolmente. Vi è mai capitato di porre attenzione alla seguente espressione ad esempio quando si parla di consigli di amministrazione di enti pubblici: “in quota a...”. Ebbene, è proprio quello che mi preoccupa. Si può ammettere che i manager sono numerosi e validi, non si può dire che gli esperti nel ramo delle case da gioco lo siano altrettanto; ed ecco la più grande difficoltà: in quale modo si potrà contestare l’operato del direttore giochi o di un impiegato tecnico se non si conoscono le tipicità della attività in discorso? Non si potrà negare che, dato il ristretto numero, ci sono pochi manager con l’esperienza del mercato italiano necessaria per l’impresa della quale si discute.
Ritengo, e mi fa piacere sino a prova del contrario e salvo eccezioni che confermino la regola, che la citata espressione non sia preliminare ad una gestione in cui potremo trovare le caratteristiche cui ho fatto cenno in precedenza.

 

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