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Omicidio Caccia, 'si indaghi su pista casinò'

30 giugno 2015 - 08:42

Si torna a parlare dell’omicidio di Bruno Caccia, procuratore capo di Torino assassinato dalla ‘ndrangheta il 26 giugno 1983 con 17 colpi di pistola, e soprattutto delle indagini che lo stesso stava conducendo e che chiamano in causa loschi giri di denaro al Casinò di Saint Vincent e in quelli di Campione d’Italia e di Sanremo.

Scritto da Amr

L’avvocato Fabio Repici, legale della famiglia Caccia, è stato infatti ascoltato in audizione da parte della Commissione consiliare speciale di promozione della cultura della legalità e del contrasto dei fenomeni mafiosi del consiglio comunale di Torino e la sua relazione evidenzia molti fatti inquietanti, sul quale si chiede di fare piena luce.

 

Secondo Repici non fu solo il boss Belfiore a entrare in scena, ma un gruppo interessato alla gestione delle case da gioco, composto da Santapaola, Epaminonda, Cattafi e Miano.

Fin dai mesi successivi all’omicidio Caccia, spiega l’avvocato Repici, “in esito all’attività di raccolta informativa eseguita da un ufficiale del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Alessandria, tale Col. Giovanni Bertella, lo stesso P.m., dr. Francesco Di Maggio, aveva acquisito numerose fonti indiziarie che riconducevano la causale dell’omicidio Caccia a un’indagine che sotto la sua guida la Procura di Torino aveva avviato sul Casinò di Saint Vincent, con l’ipotesi del riciclaggio di denaro proveniente dai sequestri di persona commessi dalla criminalità organizzata. Oltre a ciò, veniva indicato il mandato del delitto come proveniente da un aggregato mafioso che era riuscito a inserirsi negli affari del Casinò di Saint Vincent (e anche di Campione d’Italia e di Sanremo), del quale facevano parte il capomafia catanese Benedetto Santapaola, Luigi Miano (capo della mafia catanese a Milano), il predetto Rosario Pio Cattafi e Angelo Epaminonda (poi controverso collaboratore di giustizia). Compariva anche il nome di un soggetto che era indicato quale uno dei killer, il mafioso calabrese Demetrio Latella, che militava nell’organizzazione criminale dei catanesi a Milano ma che aveva commesso numerosi delitti (anche omicidi) a Torino in complicità sia col clan dei catanesi guidato da Francesco Miano sia col clan dei calabresi guidato da Domenico Belfiore. Per nessuno di questi soggetti era stata effettuata l’iscrizione della notizia di reato. Una volta ufficializzata la collaborazione con la giustizia di Francesco Miano, tutte le fonti sul Casinò di Saint Vincent e sul riciclaggio erano state accantonate dal P.m. dr. Di Maggio. In nessun atto del P.m. o dei Giudici, a conclusione dell’istruttoria o nelle sentenze, risultarono valutate quelle risultanze che riconducevano l’uccisione del dr. Caccia agli affari mafiosi intorno al Casinò di Saint Vincent. Ciò sebbene dalle stesse fonti l’uccisione di Bruno Caccia fosse ricollegata al tentato omicidio, commesso appena sei mesi prima del delitto Caccia, compiuto ad Aosta, il 13 dicembre 1982, ai danni del Pretore di quella città, dr. Giovanni Selis, che era impegnato anch’egli in inchieste sugli affari illeciti orbitanti intorno al Casinò di Saint Vincent. Pur tuttavia, il dr. Selis non venne mai sentito quale persona informata sui fatti nell’inchiesta sull’omicidio Caccia, fino a che ciò divenne impossibile, nella primavera del 1987, per il tragico suicidio del dr. Selis”.

 

L’INCHIESTA DELLA PROCURA DI MILANO – Il legale della famiglia del magistrato evidenzia nella sua relazione come “l’inchiesta della Procura di Torino sul Casinò di Saint Vincent dopo l’uccisione Caccia si collegava con analoga inchiesta sui casinò del nord Italia della Procura di Milano, curata, fra gli altri, sempre dal P.m. dr. Francesco Di Maggio. Entrambe le inchieste giungevano ai provvedimenti restrittivi eseguiti di concerto fra gli uffici giudiziari di Milano e quelli di Torino l’11 novembre 1983 (c.d. 'blitz di San Marino').  In concreto, nel concerto fra gli uffici requirenti dei due capoluoghi, fu la Procura di Milano ad avere un ruolo preponderante, con particolare riferimento all’ipotesi dell’infiltrazione mafiosa nel controllo dei casinò. È difficile ritenere che ciò sarebbe avvenuto, sotto la guida della Procura di Torino sotto la guida del dr. Bruno Caccia. Si appurava anche che altro dichiarante, tale Luigi Incarbone, aveva riferito all’A.g. dichiarazioni coincidenti alla prospettazione dei fatti sopra richiamata, per averne appreso da uno degli amministratori del Casinò di Saint Vincent, per qualche tempo detenuto nella sua stessa cella. Nemmeno le dichiarazioni di Incarbone avevano trovato alcun approfondimento. Si provvedeva, allora, alla raccolta e all’esame delle risultanze acquisite in svariati procedimenti penali. Attenzione particolare è stata dedicata agli atti del procedimento penale celebrato presso il Tribunale di Torino e scaturito proprio dalle perquisizioni che erano state eseguite il mese prima dell’omicidio Caccia. Lo stesso si faceva con il parallelo processo celebrato a Milano per le infiltrazioni mafiose ai Casinò di Campione d’Italia e di Sanremo. Si reperivano in quelle sedi elementi che confortavano l’ipotesi della riconducibilità dell’omicidio Caccia (e del tentato omicidio Selis) alla rete criminale che aveva pressoché fagocitato la gestione dei Casinò del nord Italia e della Costa Azzurra, sotto il controllo di esponenti delle mafie catanesi, palermitane, calabresi, corse e marsigliesi. Si dovevano, tuttavia, rilevare delle anomalie e delle distrazioni nell’azione giudiziaria, laddove proprio i soggetti che erano al centro delle risultanze indiziarie che erano emerse fin da subito dopo l’omicidio Caccia non solo erano rimasti fuori da ogni coinvolgimento processuale ma addirittura erano stati valorizzati come fonti testimoniali.

 

LE ULTIME INDAGINI – Repici sottolinea infine che “nel corso dell’attività d’indagine difensiva dispiegata nell’ultimo anno, anche attraverso l’audizione di alcuni collaboratori di giustizia e di soggetti in possesso di conoscenze utili su Rosario Pio Cattafi e su Demetrio Latella, si sono raccolti elementi indiziari importanti a conferma del ruolo dei due nelle dinamiche criminali operanti al nord Italia, anche in relazione ai Casinò. Al riguardo, si sono rinvenute anche tracce documentali di canali di finanziamento dal banchiere Roberto Calvi, dietro l’interessamento di Licio Gelli e Umberto Ortolani, a esponenti impegnati nella gestione del Casinò Ruhl di Nizza che sono risultati legati anche ai personaggi interessati alla gestione del Casinò di Saint Vincent e alla rete criminale operante intorno a quella struttura. Senz’altro, però, i dati più importanti che sono stati raccolti e che possono avere rilievo ai fini dei lavori di Codesta Commissione sono gli elementi dimostrativi di un’unica rete criminale e di un unico disegno criminoso dietro il tentato omicidio del Pretore di Aosta dr. Giovanni Selis e l’omicidio del Procuratore della Repubblica di Torino dr. Bruno Caccia. Al riguardo, è stato davvero spiacevole dover rilevare la disattenzione spesso mostrata sia dalle competente sedi giudiziarie sia dagli organi d’informazione e, più in generale, dalle istituzioni e dalla società civile. Ancora oggi colpisce, in proposito, il grido d’allarme inascoltato che pure era stato lanciato, quasi con disperazione, dallo stesso dr. Giovanni Selis subito dopo il c.d. blitz di San Martino, con gli arresti per le scalate mafiose ai Casinò, dell’11 novembre 1983. Così si legge sul Corriere della Sera del 16 novembre 1983, in un articolo a firma di Gianluigi Da Rold: ‘In una breve intervista alla ‘Gazzetta del Popolo’ di Torino il pretore di Aosta, Giovanni Selis, che aveva indagato sul casinò e aveva subito un attentato afferma senza mezzi termini: ‘Lasciamo ai magistrati incaricati il tempo per arrivare a tirare delle conclusioni. Per quanto mi riguarda personalmente posso soltanto dire che l’attentato rivolto alla mia persona, ma non tanto perché rivolto a Giovanni Selis, è rimasto lì, come un pur clamoroso caso di cronaca, ma pur sempre un fatto di cronaca. In Valle d’Aosta non si è riflettuto o non si è voluto riflettere sufficientemente. Non si voleva credere che potesse esistere una organizzazione in grado di pensare e di mettere in atto un attentato, non contro la mia persona, ma contro le istituzioni’. Sono affermazioni che appaiono durissime, se si pensa che arrivano dopo un anno dall’attentato di Aosta e dopo cinque mesi dall’assassinio del procuratore capo di Torino, Bruno Caccia, che aveva ordinato una perquisizione a Saint Vincent quando fu trovato il cadavere di Lorenzo Crosetto, mentre il riscatto di 700 milioni era già stato pagato’. Purtroppo, quell’inerzia denunciata dal dr. Giovanni Selis si è protratta ancora per oltre trent’anni”.

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