Torno su un tema irrinunciabile, ovvero la necessità – a mio avviso essenziale – della snellezza funzionale dei casinò che deve caratterizzare la conduzione del reparto produttivo. E non soltanto perché le relazioni, la semplicità e completezza della comunicazione rappresentano le basi per la qualità di cui sopra.
Non pretendo nel modo più assoluto di avere la verità in tasca; l’esperienza mi ha fatto percepire che quanto sostengo è una possibile soluzione, forse ne esistono delle altre che non conosco, per intraprendere un'azione mirata con un occhio di riguardo alle molteplici sfaccettature di un unico problema.
Non ho alcun dubbio sulle mie convinzioni relative all’operabilità per un riavvio che si attenga al sano principio del ritorno degli investimenti, in specie, lo ripeto, dopo il divieto di pubblicità.
Ecco, lo amplio. Ciò in cui credo fermamente e che una gestione dovrebbe avere tra le sue caratteristiche il decisionismo consapevole, la snellezza funzionale e la concreta possibilità di una rapida, completa e più che altro comprensibile comunicazione.
In altri termini, per intenderci, l’organizzazione del lavoro e, conseguentemente, della produzione sono i più importanti compiti ai quali adempiere. Chi decide deve essere sempre in grado di motivare una risposta negativa a un collaboratore a seguito di una proposta ricevuta in ordine all’organizzazione in parola. In questo sono racchiuse le caratteristiche appena descritte che non sono assolutamente facoltative, ben inteso per me.
Ma in argomento “organizzazione del lavoro e politica produttiva” mi piace aggiungere altre considerazioni che, a prima vista, potrebbero essere valutate superflue; a mio avviso non lo sono affatto.
Mi piace, tra l’altro, richiamare l’effetto “rapporto umano” che non solo distingue il gioco nei casinò da quello online, ma si realizza in una componente importante dei ricavi in una casa da gioco: le mance. Intendo quelle che alla fine della giornata gli addetti trovano nelle apposite cassette; ciò per essere perfettamente compreso.
Forse le mance della fair roulette si conteggiano separatamente da quelle della roulette tradizionale; procedendo in questo modo vorrei invitare a una parametrazione col risultato del tavolo nel medio periodo. Può essere che il risultato possa risolvere, tirando in ballo la resa effettiva e tenendo conto del minimo di giocata e del numero degli impiegati addetti, una curiosità: quale rende di più?
Accenno a volte che non solo la matematica deve essere richiamata; è da considerare, mi pare, la necessità del rapporto umano tra giocatore e impiegato che si realizza più facilmente in un tavolo piuttosto che in altro la ritengo necessaria.
Ora passo alla statistica che ho spesso scomodato parlando della speranza matematica e che, per quanto mi risulta, è la scienza che viene richiamata dai più convinti sistemisti. Probabilmente hanno ragione, senza dubbio alcuno ne sono convinti. Una cosa è certa: il giocatore, grande o piccolo che sia, è tendenzialmente portato a rammentare le vincite e a dimenticare le perdite.
Certamente il rapporto tra il contante cambiato direttamente al tavolo e il risultato può rivestire un concreto significato anche nelle case da gioco italiane così come, forse ora ben di più stante la limitazione di cui si è detto, la proporzione tra mance ed introito di uno stesso gioco (mi permetto un invito a provare separate le due tipologie di roulette precedentemente richiamate) sempre in un medio periodo.
Concludo richiamando due argomenti ai quali ho fatto cenno altre volte e in altre occasioni. Il primo è che da una seria e completa procedura sul controllo sulla regolarità del gioco opera alla ricerca di un marketing mirato che il divieto di pubblicità impone più di prima.
Il secondo è una sorta di consiglio che mi permetto, non soltanto imitando, mi pare, quanto i giapponesi insegnavano qualche tempo or sono: la migliore pubblicità si realizza tramite il “porta a porta” alla base del quale troviamo l’ormai indispensabile diversificazione dell’offerta coniugata con la capacità di adeguarla in tempo reale alla domanda e la qualità dei servizi che - e non è di poco momento - costituiscono le fondamenta per una reale fidelizzazione alla quale è pratico rinunciare.
Non c’è dubbio alcuno sul fatto che la gestione è autonoma salvo, logicamente, adempiere alle obbligazioni contrattuali; che la proprietà è dell’ente pubblico titolare dell’autorizzazione e allo stesso tempo può essere l’azionista di riferimento nei casi di gestione a capitale misto, sempre, se la gestione è a capitale pubblico.
Il gestore può – sempre nell’alveo degli accordi con la proprietà – nel controllo comportarsi come meglio crede o come l’esperienza consiglia, la proprietà ha il diritto e il dovere di controllare la gestione, io credo, nel modo descritto in precedenza tale da far affiorare ogni possibile dubbio o sfumatura utile a richiedere chiarimenti. È mio parere personale – e auspico che sia condiviso – che il controllo della proprietà non deve esaurirsi in quello sulle entrate, concomitante e a posteriori, allo scopo di verificare la regolarità del gioco e degli incassi, ma estendersi alla congruità dei costi, in specie, quelli mirati alla produzione e relativa produttività.
Un controllo a largo raggio si potrebbe configurare come un doppione, ancorché parziale, di quello che deve mettere in funzione il gestore; invece si tratta di una procedura che, a ben vedere, può rivestire il compito di supporto e di conforto.
D’altra parte pare logico ritenere che la proprietà si riservi un controllo approfondito ed esteso il più possibile senza invadere la sfera di competenza di altri; verificare ogni aspetto del trend delle entrate che si può riflettere sui costi ed ancor più sugli investimenti si presenta doveroso nei confronti dell’operato del gestore. Se da una parte quest’ultimo provvede – anche nel migliore dei modi – a procurare benefici economici alla proprietà come da contratto, dall’altra è giusto che l’ente pubblico ne conosca i costi. La proprietà garantisce l’equilibrio economico finanziario della gestione ed è questo il supporto più rilevante a conforto dell’ultima osservazione.