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Il costo del lavoro nelle case da gioco italiane

29 luglio 2017 - 07:30

L'analista di gaming Mauro Natta interviene sul costo del lavoro nei casinò italiani e si focalizza su quello di Saint Vincent.

Scritto da Mauro Natta

Questa è, senza dubbio, l’ultima volta che intervengo sull’argomento; ascolto parlare e proporre ai più alti livelli la necessità di abbassare il costo del lavoro. Anch’io ho un’idea in proposito e l’ho inviata a molti, ma ho avuto pochissimi riscontri. A dire il vero quattro positivi e neppure uno negativo, se non altro per darmi del sognatore.

Andiamo con ordine! La mancia è una parte della vincita. La sentenza n.1776 del 18 maggio 1976 della Sezione Lavoro della Suprema Corte di Cassazione, a proposito della mancia al croupier, recita: “Il sistema mancia è retto da un uso normativo - si ricava dall’indirizzo consolidato della giurisprudenza dal 1954 – tanto consolidato quanto idoneo ad assumere un ruolo di fonte secondaria del regime giuridico proprio del particolare rapporto che obbliga il giocatore vincente ad elargire una parte della vincita al croupier e questi a ripartirla con gli altri addetti ed il gestore...”.

Tutti, o quasi, sanno che la vincita al gioco (realizzata nei casino autorizzati della Ue) è esente da imposizione, ai fini Irpef, in capo al giocatore vincente.
All’art.3 della L.381/90 si afferma che le mance in parola costituiscono reddito nella misura del 75 percento del loro ammontare.
L’approvazione del decreto legislativo n.314/97, in tema di armonizzazione tra importo imponibile ai fini Irpef e quello ai fini contributivi, le mance hanno registrato una ulteriore e giusta, proprio in funzione del loro trattamento fiscale, sistemazione che è stata la normale evoluzione di un concetto da sempre sostenuto dai dipendenti tecnici delle quattro case da gioco italiane.
Non era logico e tollerabile, infatti, nell’ambito di uno stesso ordinamento giuridico, che una attribuzione patrimoniale fosse qualificata come compenso ad un effetto (quello fiscale) e non ad un altro effetto (quello lavori stico e previdenziale), proprio in un combinato normativo in cui quella qualificazione presuppone necessariamente quest’altra.
Non può nutrirsi dubbio alcuno sul fatto che la contribuzione sulle mance ha causato un notevole incremento del costo del lavoro relativo agli addetti direttamente alla produzione.
Non pare affatto logico, riassumendo, trattare in modo differente la parte principale della vincita ottenuta dal giocatore e quella minore della quale beneficia il croupier.
In buona sostanza c’è da ritenere che trattando fiscalmente la mancia come la vincita (della quale, appunto la mancia, è la parte più piccola) si avvia un percorso virtuoso che, evitando una partita di giro, concorre al mantenimento dell’occupazione diretta e dell’indotto, consente allo stesso tempo, il raggiungimento dell’obiettivo dell’ente pubblico titolare di una casa da gioco di cui ai decreti istitutivi delle stesse.
Recentemente la problematica “costo del lavoro” (anche se nel caso specifico si parla del cosiddetto personale tecnico che, di norma, è percentualmente più numeroso) è stata alla ribalta della stampa (Saint Vincent e Venezia).
Gli articoli sul Saint Vincent Resort & Casino hanno riempito le pagine di giornali e riviste adducendo che il costo del personale - avendo raggiunto una percentuale enorme dei ricavi - non avrebbe permesso il pareggio di bilancio.
Non desidero soffermarmi oltre se non per la seguente osservazione. La Regione Autonoma Valle d’Aosta è beneficiaria dell’Irpef che si paga in loco. Allora mi chiedo quale sia la motivazione per cui la Pa non si sia ancora attivata per operare nel senso dell’idea appena esposta.
La questione, ampiamente illustrata, l’ho resa nota, risposte non ne ho avute. Sicuramente non mi sarei offeso se chi ha letto il progetto di legge e la premessa che ho condensato precedentemente mi avesse detto o scritto che non era percorribile.

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