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Comune Bologna, Leti (Pd): 'Black Monkey, confini legalità sotto la lente'

22 marzo 2021 - 14:54

Leti commenta sentenza della Cassazione su processo Black Monkey che ha dichiarato inammissibile ricorso Procura generale su accusa di associazione mafiosa per Nicola Femia.

Scritto da Redazione
Comune Bologna, Leti (Pd): 'Black Monkey, confini legalità sotto la lente'

Si è parlato anche di gioco illegale e del processo Black Monkey nella seduta (in videoconferenza) del consiglio comunale di Bologna tenutasi oggi, lunedì 22 marzo.

L'occasione è stata offerta dalla consigliera Elena Leti (Partito Democratico) che ha voluto ricordare la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime della mafie - in calendario il 21 marzo - parlando del processo che ha preso il nome dell'operazione della Guardia di Finanza e della Dda che a gennaio 2013 vide eseguite 29 ordinanze di custodia cautelare, ufficialmente chiuso dalla Corte di Cassazione, la quale ha dichiarato inammissibile il ricorso della Procura generale di Bologna, decidendo di non ritenere un'associazione mafiosa il gruppo capeggiato da Nicola Femia, che faceva profitti con le slot, e ha depositato una sentenza di oltre 41 pagine. L'accusa di associazione 'ndranghetistica era caduta in appello a ottobre 2019, con condanne ridotte: per Femia, capo dell'organizzazione, la pena era passata da 26 anni e 10 mesi del primo grado a 16 anni.


"L’associazione si occupava di gioco d’azzardo legale e illegale, con base a Conselice, in provincia di Ravenna, ma con affari in tutta Italia e non solo. Un business basato sulla produzione e la distribuzione di slot machine e delle relative schede, spesso alterate per frodare o l’erario o il singolo giocatore e la distribuzione di accesso alle piattaforme di gioco del poker online non autorizzate", evidenzia Leti.
"Conosco molto bene questo processo, essendo stata in tale procedimento consulente della Procura dove ho periziato tutti i beni mobili e immobili che l’associazione aveva accumulato negli anni frutto delle proprie attività illegali. Stiamo parlando di una villa con piscina e annessi fabbricati, 28 unità immobiliari, negozi e terreni di varie dimensioni edificabili, patrimonio che per essere acquistato, ristrutturato, trasformato, affittato e così via ha visto la partecipazione di tantissimi professionisti e soggetti che a vario titolo hanno collaborato alla creazione e al mantenimento di questo capitale.
Voglio ricordare che il primo intervento normativo volto a contrastare in modo organico la mafia, attraverso una disciplina specifica rispetto alle altre forme di delinquenza organizzata, risale al 1982, Legge N. 646 Rognoni-La Torre. 'Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere patrimoniale'. La legge introduce nel nostro ordinamento la fattispecie del delitto di associazione per delinquere di tipo mafioso (art.416 bis c.p.). Inoltre sono introdotte misure di prevenzione patrimoniali (sequestro e confisca dei beni) che si affiancano a quelle personali, rese ancora più stringenti.
La differenza fondamentale tra il reato di associazione di stampo mafioso e il reato di associazione per delinquere sta nel metodo, nel preciso modo di operare, per raggiungere le finalità che l’associazione vuole perseguire. I componenti dell’associazione di stampo mafioso operano attraverso un metodo che si basa sull’omertà, non solo interna tra i componenti dell’associazione ma anche esterna, attraverso l'intimidazione che genera paura in quella parte di collettività che viene a contatto con l’organizzazione stessa. Generalmente l’organizzazione cerca di ottenere il monopolio di determinati affari in particolari settori economici; questa finalità diventa reato quando viene perseguita attraverso il metodo mafioso indipendentemente dalla sua illegalità in quanto tale. È il metodo che fa diventare illecita una finalità", rimarca la consigliera.
 
"Oggi quindi anche alla luce di quello che è emerso nella nostra regione, seguendo questo processo e altri come il processo Aemilia possiamo definire la mafia come un insieme di organizzazioni criminali che agiscono all’interno di un contesto relazionale, che si configura come un sistema di violenza e di illegalità finalizzato all’accumulo del capitale e all’acquisizione e gestione di posizioni di potere, utilizzando un codice culturale e godendo di un certo consenso sociale.
In conclusione la mafia non è unicamente un fenomeno criminale, ma un soggetto economico e politico, che mette in relazione soggetti illegali e legali, come capimafia, professionisti, imprenditori, amministratori e politici.
La sentenza della Cassazione del processo Black Monkey ci dice che il reato mafioso è stato derubricato a gioco illegale. Le sentenze vanno sicuramente rispettate. Ma cosa ci dimostra questo? Di quanto sia complesso dimostrare in sede processuale, la natura mafiosa di un reato. E chiudo dicendo che il tema della corruzione è molto più ampio e passa dal commettere reati penalmente rilevanti, ad una zona grigia dove il confine tra legalità ed illegalità non è così netto. Assistiamo quotidianamente e diffusamente ad azioni che nell’ambito della legalità derogano all’illegalità. Un modo di agire che coinvolge l’intera società civile, che riguarda i comuni cittadini, i gruppi corporativi, l’apparato e la sua pubblica amministrazione. Il rispetto della legalità è un tema culturale, che riguarda tutti gli ambiti della nostra società e che ha l’obbiettivo, attraverso il rispetto delle leggi, di migliorare la vita delle persone. Un ruolo determinante in questo contesto lo assumono la politica e coloro che si occupano del bene comune", conclude Leti.
 
LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE - Secondo la Cassazione, prima sezione penale, la Corte di appello ha ben spiegato le ragioni per cui gli episodi estorsivi contestati non siano espressivi del programma di un'associazione necessariamente di tipo mafioso ed è stata inoltre correttamente evidenziata l'assenza "di un concreto esercizio, sufficientemente percepito, sul territorio di riferimento e nel contesto sociale della forza di intimidazione tipica dell'associazione di tipo mafioso, anche e specificamente in riguardo alle categorie interessate dall'attività commerciale". Né è significativo per valutare la 'mafiosità' del gruppo il fatto che l'associazione capeggiata da Nicola Femia intrattenesse rapporti con altri gruppi criminali di sicura natura mafiosa. La Cassazione ha poi annullato senza rinvio per prescrizione la sentenza nei confronti di quattro imputati e ha rinviato ad un nuovo appello la sola posizione di Femia, per rideterminare la pena per fatti commessi prima del 18 maggio 2009. Inammissibili i ricorsi di altri sei imputati, tra cui i due figli di Femia, Rocco Maria Nicola e Guendalina, condannati dunque in via definitiva, rispettivamente, a dieci e cinque anni.
 

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