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Il divieto di pubblicità dei giochi nell'era della gamification

05 settembre 2018 - 07:45

All'indomani dell'entrata in vigore del divieto di pubblicità dei giochi si susseguono una miriade di interrogativi dentro e fuori l'industria: ed emergono i primi paradossi.

Scritto da Alessio Crisantemi

Una cosa è certa. Con l'emanazione del Decreto Dignità voluto dal governo e appena convertito in legge dal Parlamento, non sarà più possibile promuovere i prodotti di gioco con vincita in denaro. O di azzardo che dir si voglia. E' scritto chiaro e tondo nel testo di legge: “è vietata qualsiasi forma di pubblicità, anche indiretta, relativa a giochi o scommesse con vincite di denaro nonché al gioco d’azzardo, comunque effettuata e su qualunque mezzo, incluse le manifestazioni sportive, culturali o artistiche, le trasmissioni televisive o radiofoniche, la stampa quotidiana e periodica, le pubblicazioni in genere, le affissioni e i canali informatici digitale e telematici, compresi i social media”. Rendendo quindi inequivocabile la ratio del provvedimento. Tenendo conto, peraltro, che la stessa legge, addirittura, estende dal 1° gennaio 2019 il divieto “anche alle sponsorizzazioni di eventi, attività, manifestazioni, programmi, prodotti o servizi e a tutte le altre forme di comunicazione di contenuto promozionale, comprese le citazioni visive e acustiche e la sovraimpressione del nome, marchio, simboli, attività o prodotti la cui pubblicità, ai sensi del presente articolo, è vietata”.  Quello che è assai meno chiaro, invece, è ciò che effettivamente può e deve essere considerato una “pubblicità” o una “promozione” di questo tipo di giochi. Al punto che, all'indomani dell'approvazione definitiva della legge, si rincorrono una serie di quesiti dentro e fuori all'industria del gioco, che oltre a movimentare gli uffici di molti studi legali alla ricerca di pareri interpretativi attendibili, sono destinati a sfociare in una serie di grandi e piccoli contenziosi.

NECESSARIA UNA DISCIPLINA - Nonostante la formulazione “globale” della norma, che sembra includere qualunque cosa all'interno del divieto, esistono in effetti degli ambiti di applicazione che richiedono chiarimenti da parte dello stesso governo o delle autorità preposte al controllo di questo divieto. Se non addirittura una disciplina specifica. Si pensi per esempio alle insegne che sono oggi posizionate all'esterno dei locali e in particolare sulle soglie dei tabaccai, per indicare che all'interno di quell'esercizio si offrono determinati servizi di gioco, come per esempio quello di ricevitoria: un “prodotto” che non hanno tutti i pubblici esercizi ma solo alcuni – esattamente come avviene per i tabacchi - e che per tale ragione deve essere segnalato all'esterno. Ci sarebbe quindi da attendersi che le insegne sia escluse dal campo di applicazione del divieto:  nonostante la definizione decisamente ampia della norma, che include anche i richiami “indiretti”, può far desumere il contrario. Ma quand'è, quindi, che un'insegna può configurarsi come un mero servizio di informazione alla clientela senza ricadere nell'ambito della pubblicità? Non essendo stato previsto un esplicito esonero nel testo di legge, sarà bene che il Legislatore fornisca opportuni chiarimenti in materia, anche per consentire a operatori ed esercenti di adeguarsi. Tanto più se si considera che un'analoga riflessione si potrebbe fare non solo per le insegne nel senso stretto del termine, ma anche per le vetrine e segnaletiche esterne dei locali di gioco, che certo non potranno trasformarsi in pareti da affissioni di messaggi pubblicitari o non potranno svolgere un ruolo da richiamo esplicito ai giocatori, in virtù delle prescrizioni governative, ma non si può neppure pensare di rendere questo tipo di locali completamente indistinguibili da altri edifici, come avverrebbe imponendo vetrine neutre e nessuna insegna, visto che ad essere dichiarata illegale (almeno per ora) è la sola pubblicità del gioco e non l'attività. Per un'altra fattispecie che merita senz'altro una risposta. Come pure le altre situazioni sulle quali l'associazione dei gestori di apparecchi, Assotrattenimento, intende interrogare l'Agcom: per provare a capire se, in virtù del divieto, dovranno essere rimossi anche i loghi aziendali delle società di gioco che compaiono oggi sui furgoni e mezzi di trasporto in generale e quelli presenti sui gadget che vengono oggi distribuiti ai clienti o ai visitatori dei pubblici esercizi.
Abbandonando le questioni relative alla segnaletica e agli allestimenti di vario genere ed entrando nei locali di gioco, tuttavia, lo scenario non è affatto più chiaro. Anche in questo caso bisognerà capire cosa si può fare e cosa no. Se la mera esposizione di un tagliando della lotteria (non quella nazionale, unica esonerata dal divieto, ma piuttosto di quella istantanea) o di una schedina dei giochi numerici sarà da considerare una promozione di questi giochi, vorrebbe dire stravolgere completamente le attività, portandosi però al limite dell'esercizio della libertà di impresa, e forse anche oltre ogni soglia di legittimità e non solo di sostenibilità.
 
DUBBI (E RISCHI) ANCHE ONLINE - Ma i dubbi e gli interrogativi degli addetti ai lavori non si fermano certo qui. Neppure l'ambiente online è immune da dubbi: e i rischi, in questo caso, appaiono addirittura maggiori. Sul fatto che non si potranno più pubblicare banner pubblicitari o rimandi diretti ai siti di società di gioco, non ci possono essere interpretazioni diverse da quelle suggerite dall'evidenza. Ma una volta entrati sul sito internet di un operatore di gioco, cosa potrà o non potrà comparire su queste pagine web? Si potranno almeno proporre i classici bonus o spiegare le varie tipologie di giocata agli utenti, tenendo conto che chi ha aperto quella pagina probabilmente sa già cosa cerca e non avrebbe senso una censura a quel livello? Anche qui, la logica suggerirebbe una risposta, anche immediata: ma sarà bene che a farlo sia la legge o una ulteriore norma esplicativa. Non prevista dalla legge (il Decreto Dignità, già in vigore, non necessita di provvedimenti attuativi per essere applicato), ma assolutamente necessaria. Per rispondere a una moltitudine di interrogativi che abbiamo qui proposto e citato soltanto in minima parte e che sono destinati a moltiplicarsi col passare dei giorni. Con un nodo da sciogliere che potrebbe rivelarsi ancor più centrale: ovvero, quello della fiera di settore. Di certo saranno immuni dal Decreto Dignità le prossime edizioni di autunno e primavera della kermesse del gioco, in quanto senz'altro già contrattualizzate: ma tenendo conto che una fiera rappresenta il principale strumento di promozione di un mercato, si potrà continuare a organizzare eventi di questo tipo, nel gioco? Rendendo indispensabile, anche qui, una disciplina che riguardi (e tuteli) almeno il business ed eventualmente le comunicazioni “b2b”, cioè tra aziende e tra operatori e non rivolte al grande pubblico, come avviene appunto nelle fiere di settore.
 
CAMBIO ANCHE IN TV? - Senza contare, poi, che oltre ai dubbi interpretativi degli addetti ai lavori, iniziano a farsi largo anche numerosi altri interrogativi sull'impatto che questa legge può avere all'esterno del settore. Si pensi ad esempio alle altre forme di “gioco d'azzardo” che non vengono ancora riconosciute come tali (o, almeno, non considerate dall'opinione pubblica o quanto meno dalla politica) pur rientrando pienamente in questo tipo di definizione: prima su tutte quella dei quiz televisivi, già tirati in ballo su queste pagine, ma non dal governo nel decreto dignità. Se davvero è vietata “qualsiasi forma di pubblicità, anche indiretta, relativa a giochi o scommesse con vincite di denaro nonché al gioco d’azzardo”, allora non potranno più andare in onda quei giochi in cui si punta su un pacco o si è sottoposti a qualunque tipo di prova di abilità in cambio di denaro, visto che di “azzardo” si tratta. Per definizione.
Ma soprattutto, se la ratio della norma dovesse davvero tradursi (confermarsi?) in un autentico diktat e in una serrata generale che non ammetterà esclusioni di sorta, a dover sparire, allora, dovranno essere anche tutte quelle campagne pubblicitarie figlie della cosiddetta Gamification (ovvero, la ben nota e diffusa tecnica di marketing utilizzata in ogni ambito e in ogni paese), nelle quali si ricorre molto a richiami affini al mondo del gioco, anche “di azzardo”, per promuovere i più disparati prodotti e servizi: dai rulli di una slot machine rappresentati in un volantino della banca nella promozione di mutui o prestiti agevolati, ai grattini impiegati nei supermercati per vincere buoni spesa e così via. Per un'altra moltitudine di esempi, anche questi destinati a sparire in caso di applicazione rigida della legge, destinata a cambiare radicalmente diversi ambiti della quotidianità del nostro paese, e non soltanto dell'industria del gioco pubblico. O del mondo dello sport, sul quale si attendono le più pesanti ricadute dovute all'applicazione del nuovo divieto.

Chissà se un giorno si potranno vietare anche gli slogan della politica, quando non seguiti da sviluppi o iniziative concrete: visto che anche in quel caso, in un certo senso, si tratta di azzardo. E con in palio una posta ben più alta di qualunque altro gioco: come il futuro del nostro paese e la sua credibilità agli occhi del mondo. Ci sarebbe da scommettere: ma senza pubblicizzarlo.

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