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Nulla cambia, purché tutto cambi: la politica guarda al gioco e alla cassa

30 ottobre 2023 - 17:24

Come tradizione vuole, la Legge di Bilancio diventa occasione per mettere le mani sul gioco, a scopi meramente erariali: ma stavolta l'intervento spot appare più ragionato.

Foto: Laboratorio fotografico MEF - 2016

Foto: Laboratorio fotografico MEF - 2016

Niente di nuovo sotto il sole della Penisola, per quanto riguarda la politica. Nonostante i vari annunci, proclami e atti di forza, tutti orientati verso il “grande cambiamento”, la linea generale sembra essere sempre la stessa. Ancora una volta, giunti alla fine dell'anno e alla resa dei conti (letteralmente) legata alla stesura della prossima Manovra finanziaria, la maggioranzia scricchiola, il governo vacilla, e sul testo di legge viene posta la fiducia, che lo rende pressoché inviolabile o integrabile da parte delle opposizioni. E come da copione, dunque, anche questa volta la Legge di Bilancio sarà approvata senza grossi scossoni – al netto di qualche mal di pancia – con la maggioranza che andrà subito a ricompattarsi, decisa ad affrontare le prossime sfide. Almeno fino alle prossime elezioni, con il teatrino pronto a ripetersi già in primavera, in vista delle prossime europee.
Anche per quanto riguarda l’approccio della politica nei confronti dei giochi, nulla sembra essere cambiato. O forse sì? Certo, analizzando in concreto gli ultimi accadimenti e focalizzandosi unicamente sui risultati, sembrerebbe suonare la solita musica: con l'esecutivo che promette riforme, annuncia cambiamenti, salvo poi rimandare ogni intervento a una data verosimilmente futura, salvo poi intervenire con interventi spot al solo scopo di fare cassa. Come sta avvenendo in queste ore, con “l'anticipo” (virgolette d'obbligo, qui) della gara per il rinnovo delle concessioni online, come prima – parziale – attuazione delle Delega fiscale. E con le altre misure che potrebbero arrivare a stretto giro (vedi anticipo, questo sì più che reale, della gara del Lotto). Ma la Delega, si dirà, non rappresenta essa stessa un primo vero segnale, concreto, di cambiamento da parte del governo di turno e di una manifestazione esplicita di buona volontà nel voler davvero riformare il comparto? Sì e no, risponderemo noi. Sì perché, se non altro, a differenza dei governi precedenti, l'esecutivo di Giorgia Meloni si è almeno preoccupato di portare avanti il dossier della riforma, di metterlo nero su bianco e all'interno di una più ampia progettualità che è quella appunto della delega fiscale, definendo anche un orizzonte temporale; oltre ad avviare concretamente i lavori con tanto di commissioni di esperti riunite per approfondire (anche) la materia gioco. No, invece, perchè chi ha buona memoria ricorderà che una legge delega contenente la riforma completa del comparto del gioco pubblico era già stata discussa, votata e approvata anche in una precedente legislatura (precisamente, nel 2014) e tutti sappiamo come è andata a finire. Al punto che si parla di Riordino proprio da quella prima edizione di legge delega.
Sta di fatto però che scripta manent: e il fatto stesso di avere una (nuova) legge delega, approvata e ben definita, permette se non altro di ragionare su quello che potrebbe essere il futuro del comparto, impostandone i lavori di riforma. O comunque fissando dei perimetri all'interno del quale è possibile muoversi per la definizione delle prossime regole. E' evidente in queste ore, mentre vediamo le grandi manovre di Palazzo per arrivare all'attuazione di quella (parziale) riforma del gioco online mirata a bandire la prossima gara. Andando proprio ad attuare uno di quei provvedimenti previsti dalla delega. E se proprio si vuole essere ottimisti, dunque, si potrebbe sottolineare come un passaggio importante sia rappresentato dalla presa di coscienza da parte della politica della necessità reale di un riordino, senza il quale è impossibile generare nuove e ulteriori entrate. Per questo, allo scopo di emanare la gara dell'online, il governo sta lavorando per provare prima a sistemare il territorio, provando a intervenire sulla spinosa questione dei cosiddetti “Pvr” (Punti vendita ricarica), che rappresentano quella sorte di ibridazione tra il canale del gioco terrestre e quello dell'online, rilegata in un antico limbo normativo che rappresenta oggi un fenomeno dalle proporzioni colossali, a causa di varie ragioni. Prima su tutte, l'anomalia del divieto totale di pubblicità del gioco imposto dal decreto Dignità che ha costretto agli operatori dell'online di cercare visibilità negli unici ambienti e modi in cui era consentito, sfruttando quindi la rete “fisica” già esistente del gioco legale. Col risultato di aver incrementato l'esistenza di un doppio canale che la normativa stessa voleva evitare. Per un autentico corto circuito che il Legislatore non ha mai saputo (voluto?) risolvere. Mentre ora diventa necessario, urgente e improrogabile se si vuole davvero mettere a bando le concessioni. Fino a qualche mese fa, infatti, a Palazzo Chigi girava la convinzione di poter emanare questa gara perché, a differenza delle altre (betting, apparecchi e bingo) che richiedono il coinvolgimento dei territori, qui si poteva procedere in modo immediato, avendo a che fare con l'etere. Salvo poi comprendere, una volta approfondita la materia, che anche in questo caso il rapporto col territorio esiste eccome, e rappresenta – sia pure in modo diverso rispetto agli altri giochi – una grana da risolvere. Eccola, allora, una vera, buona notizia: il governo sta studiando il mercato del gioco e sta cercando di approfondire (sia pure per fase cassa, o poco più). Di questi tempi, si sa, bisogna accontentarsi, per quanto poco possa essere. L'importante, però, è che il risultato finale di questa riforma, parziale o globale che sia, possa rivelarsi sostenibile.

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