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L'Italia e la morale alternata: ma adesso basta

17 giugno 2013 - 09:21

Ormai è l'argomento fisso di ogni dibattito. Nei quotidiani e nei telegiornali, ma anche (e di conseguenza) nelle associazioni, nelle giunte e nelle piazze (nelle banche, pure) di tutta Italia. Ovunque, si parla sempre più delle slot e di questo “cancro sociale” che sembra essere diventato l'unico problema di questo Paese sempre più in declino. Economico e morale. E sull'onda di questa nuova “battaglia” popolare (e, a tratti, ampiamente populista), il novero dei bar “contro” lo slot inizia a contare quasi i 1500 esercizi che hanno scelto di togliere gli apparecchi da intrattenimento dai loro esercizi, preoccupati delle finanze e della salute dei propri clienti.Un discorso etico e morale, dunque. Un gesto di responsabilità (forse eccessivo?) da parte di alcuni esercenti che, di per sé, non può che essere visto di buon occhio in quanto tale. Ma a dirla tutta, una scelta di questo tipo, suona più come un'occasione persa. Per quell'esercente, senza dubbio, ma anche, e soprattutto, per lo Stato. Sì, perché non bisogna mai dimenticare che, l'offerta dei prodotti di gioco viene fatta dallo Stato attraverso alcune società che lo rappresentano esercitando un business in concessione.

Scritto da Alessio Crisantemi
L'Italia e la morale alternata: ma adesso basta

Ciò significa, di conseguenza, che l'esercente che ospita al suo interno dei prodotti di gioco (lecito), sta facendo a sua volta un attività per conto dello Stato, in una partnership, seppure indiretta, con esso (e più diretta, con l'Erario). Perché rinunciare, dunque, a questa opportunità? Soprattutto in termini di ricavi, quando sappiamo bene che la gran parte, ormai, dei bar e simili si tiene in piedi proprio “grazie” ai proventi del gioco pubblico. Non sarebbe meglio, invece, contribuire, insieme allo Stato, a fare in modo che l'offerta di gioco possa risultare, in tutti i casi, adeguata alla necessità ed esigenze dei consumatori e dei rivenditori? Per esempio, incentivando la promozione del gioco responsabile, l'attivazione di campagne informative e molte altre attività in questo senso, prima (o invece) di rinunciare all'offerta del gioco? 

 

Questa, in effetti, è l'occasione che ha perso, dal canto suo, lo Stato. Incapace di trasmettere tali "valori" - che sarebbero in realtà i principi fondativi del settore - alla comunità. Ma non è ancora troppo tardi per cambiare rotta, ma opportuno viaggire con piedi per terra, su tutti i fronti.

 

Del resto, sarebbe come pensare di eliminare, a partire da domani, ogni tipo di alcolico, compresi vino e birra, dai locali pubblici, visto che qui (a differenza del gioco) i dati sulla dipendenza reale ci sono e sono pure alquanto allarmanti. Invece, nessuno ci ha mai pensato, semplicemente perché, bere un birra o un bicchiere di vino, o talvolta un amaro o un digestivo, non danneggia la salute. Proprio come del gioco. Allo stesso modo, se un esercente decidesse domani di non vendere più alcolici nei propri locali, nessuno si sognerebbe di dire che sta sbagliando e non potrebbe giudicarlo negativamente. Ma questo non avviene. E non ci sono manifestazioni in piazza che chiedono di interrompere la vendita. Perché, allora, avviene tutto questo nei confronti del gioco? E soprattutto, perché, quando si parla di gioco, si ha la propensione ormai diffusa di criminalizzare la filiera, quando i suoi addetti ai lavori, in realtà, non hanno alcun potere decisionale su come e dove distribuire i propri prodotti ma sono dei meri “esecutori” della volontà dello Stato che ne detta le fila attraverso la normativa vigente?
L'anomalia vera, al giorno d'oggi, è proprio questa: se un manager si presenta a noi dicendo di lavorare per una multinazionale del tabacco o per una grossa etichetta di vino, il rispetto è generale. Se un altro manager dichiara di lavorare per una impresa del gioco, rischia già di essere guardato di traverso. Ma questo avviene solo in Italia, ovviamente.


Per farla breve, diciamo pure che le rivendicazioni nei confronti di uno Stato “più etico” appaiono del tutto legittime. Sacrosante, pure. Quello che stona è la “morale alternata” che caratterizza sempre di più questo paese, che non sembra più scandalizzarsi per le tante (troppe) anomalie dell'epoca moderna, con cui si è imparato a convivere, e si scaglia contro un settore semplicemente perché “più giovane” rispetto ad altri.
Detto questo, che un problema ci sia, è innegabile. Il gioco ha conosciuto, in questi ultimi anni, una distribuzione eccessiva, ed è un fatto. Ma è stato pure riconosciuto, sia dalla filiera, che dalla politica, la quale, non ha caso, ha partorito, diversi mesi, il cosiddetto Decreto Balduzzi che impone una rivisitazione della distribuzione del gioco a livello nazionale e di concerto con le amministrazioni locali. Dunque: non sarebbe meglio collaborare, per un mondo migliore, visto che questo, un tempo definito “bene comune”, è lo stesso obiettivo che si pongono anche le aziende che operano per conto dello Stato? Se esistono troppe sale slot (leggasi vlt) nella Penisola, è giusto porsi degli interrogativi, sia a livello politico che “sociale”. Ma non occorre dimenticare la vera origine del problema, che gli istituti di ricerca ci hanno nuovamente fotografato nelle scorse ore, denunciando i dati relativi alla chiusura delle imprese in Italia. Secondo l'ultimo studio di Confesercenti, per esempio, se il trend di chiusure delle imprese del commercio registrato nei primi quattro mesi dell'anno dovesse continuare allo stesso ritmo, al primo gennaio 2014 la faccia dei centri urbani apparirebbe decisamente cambiata e più buia rispetto a dicembre 2012 con bar, locali, ristoranti, negozi di abbigliamento decimati dalle chiusure. Per una desertificazione colpirebbe soprattutto il Sud. E a scomparire saranno ben 11.328 esercizi, secondo le stime, con una contrazione dell'8 percento sul 2012. E se questi esercenti diranno di non poter e voler rinunciare al gioco, non potremo certo biasimarli.

Allora, smettiamola di gridare e rimbocchiamoci le maniche. Tutti. Cittadini e operatori, ma soprattutto, politici e amministratori locali. Per recuperare un Paese e la sua economia. Anche attraverso il gioco, perché no, inteso come industria. Senza gridare, quando e dove non serve, alla criminalità, e alle possibili infiltrazioni (Che accomunano, peraltro, tutti i settori economici più o meno allo stesso grado) altrimenti, continuando a scagliarsi contro il settore, si rischia sul serio di consegnarlo nelle mani dell'anti-Stato.

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