Il riordino non passa dal Piemonte: dal Risorgimento alla Resistenza
Dopo l'attesa di veder risorgere il gioco pubblico dal Piemonte, arriva la doccia fredda per gli operatori locali che passano alla Resistenza.
Il Piemonte ha deciso: la proroga alla legge sul gioco non s'ha da fare. Nonostante la palese violazione dei principi sanciti dalla Conferenza unificata, malgrado l'evidente difetto di istruttoria che la rende inapplicabile in gran parte dei comuni, e in barba ai gravi rischi che si corrono in termini di ricaduta nell'illegalità, tenuta erariale ed occupazione, la Regione ha optato per il pugno di ferro, decidendo di proseguire per la propria strada. Senza curarsi delle inevitabili ricadute che questo atteggiamento potrà avere sull'economia locale ma anche su quella nazionale, come sottolineato dal sottosegretario al Mef, Pier Paolo Baretta (il governo ha quantificato in oltre 240 milioni di euro l’anno il danno erariale che la legge regionale arrecherà alle casse dello Stato): ignorato, anche lui, dall'amministrazione Chiamparino, nonostante le vicinanze di partito.
La Regione ha scelto la strada proibizionista, ed è un fatto. Non soltanto perché - come ricordato dallo stesso Baretta - non ci si può appellare (e nascondere dietro) alla presunta ricerca di una maggiore tutela per i cittadini, visto che lo stesso piano di riordino sancito dal governo insieme agli enti locali (Piemonte compreso, peraltro) sarebbe già idoneo a garantire una maggiore sicurezza, ma anche perché la decisione dell'amministrazione arriva dopo un'attenzione valutazione del problema e in seguito all'analisi di numerose perizie commissionate dalle associazioni di categoria, nelle quali si rivela l'impossibilità di offrire gioco in maniera legale su oltre il 90 percento del territorio. In alcuni casi, addirittura il 98 percento. Una decisione che nulla ha a che vedere col buon senso, diciamolo pure, né tanto meno col bene comune, nonostante i proclami dei suoi fautori. Ma che sembra più dettata dalla ricerca di consenso elettorale in vista delle prossime edizioni. Per una politica sempre più vittima di sè stessa, ma a farne le spese sono, come al solito, le imprese e i cittadini.
Del resto, lo avevo anticipato già qualche mese fa su queste pagine, all'indomani della firma degli accordi in Conferenza Unificata, che la Questione Territoriale sarebbe stata tutt'altro che risolta e archiviata attraverso la mera stipula di quell'intesa. Affidando l'effettivo "riordino" (si fa per dire) e la soluzione all'annosa diatriba tra Stato centrale ed enti territoriali alla giurisprudenza. Con la consapevolezza che per la piena disapplicazione della disciplina (esistente o futura) - nonostante la palese incompatibilitià con i principi di diritto esistenti e da oggi anche con le regole concordate nell’Intesa - resta(va) la sede giudiziale come unico fronte possibile, davanti all'evidente impasse che ha sempre caratterizzato la politica, incapace di fare dietro front di fronte alle proprie scelte, anche quando manifesatamente errate (nonostante il buon esempio fornito appena qualche mese fa dalla Liguria, divenuto troppo presto l'eccezione che conferma la regola).
La situazione, comunque, non è ancora precipitata. Anche se nessuno potrà mai restituire agli operatori del gioco pubblico attivi in Piemonte la serenità rubata in questi ultimi giorni di angoscia, con le imprese ormai a un passo dal baratro, ci sarebbe ancora tempo per intervenire, senza relegare un'altra volta il caso ai Tribunali. La pubblicazione di quel decreto sarebbe soltanto il primo passo, necessario, comunque, anche a livello giudiziale. La palla quindi è di nuovo nelle mani del governo, che non può più calciarla lontano, prendendo altro tempo, che stavolta non c'è più. La Resistenza, in Piemonte, è iniziata, ma solo in pochi potrebbe riuscire ad arrivare incolumi ad un verdetto definitivo della giustizia amministrativa. Serve una soluzione politica e una via d'uscita, per tutti. Adesso o mai più: e per gli addetti ai lavori, o si fa il comparto o si muore.