“L’azione della pubblica amministrazione appare essere ispirata dal criterio della massima prudenza, bilanciando correttamente le opposte esigenze di tutela della salute pubblica e del libero esercizio dell’attività economica. Si rileva, solo per inciso, che le sospensioni imposte dal Governo venivano comunque compensate con l’elargizione di svariati ristori per le imprese coinvolte, volte a mitigare le inevitabili conseguenze negative dei provvedimenti impugnati. Ciò vale in particolare per i lavoratori che, attraverso vari ammortizzatori sociali, vedevano solo parzialmente compressa la propria retribuzione. In conclusione, può affermarsi che i diversi decreti governativi hanno tutti compiuto un equo bilanciamento dei contrapposti interessi coinvolti: essi non appaiono viziati da illogicità o incongruità, essendo stati adottati all’esito di puntuali istruttorie, risultando idonei (almeno in astratto) a contenere quanto più possibile i contagi, in un quadro emergenziale straordinario, imprevedibile ed in continua evoluzione. La legittimità dei decreti impugnati, pertanto, rende infondata la domanda risarcitoria”.
Questo è quanto si legge in una serie di sentenze con cui il Tar Lazio ha bocciato i ricorsi mossi da diversi operatori di gioco contro i vari decreti del presidente del Consiglio dei ministri che nel 2020 e 2021 hanno disposto la sospensione delle attività di sale giochi, sale scommesse, sale bingo e casinò al fine del contenimento della pandemia da Covid-19.
Secondo i giudici, inoltre, il ricorso per l’annullamento degli atti gravati è “improcedibile per sopravvenuta carenza d’interesse, avendo i decreti impugnati esaurito i loro effetti”.
“La decisione, certamente dolorosa, di inibire l’esercizio delle attività delle sale da giocoappare sicuramente legittima, frutto di un’attenta ponderazione degli interessi in campo: come si è anticipato, la strategia politica di contenimento del virus mirava a contenere le occasioni di infezione, impedendo alla cittadinanza di partecipare ad attività rischiose reputate non essenziali.
Tale scelta risponde a protocolli elaborati in sede internazionale e compendiati nel documento redatto dalle autorità tecniche italiane intitolato 'Prevenzione e risposta a Covid-19. Evoluzione della strategia e pianificazione nella fase di transizione autunno-invernale': esso, elaborato prima dell’adozione dei provvedimenti impugnati, chiariva che 'l’interruzione [delle] attività sociali/culturali/sportive maggiormente a rischio (es. discoteche, bar, palestre - anche su base oraria)' fosse una misura necessaria nell’ipotesi di scenarî di rischio moderato (in realtà, la situazione si evolveva poi fino allo scenario del rischio alto). Ovviamente, l’elencazione trascritta è esemplificativa, sicché vi rientra legittimamente anche l’attività di commercializzazione dei giochi leciti, in quanto assimilabile dal punto di vista del rischio pandemico”.
Ad avviso del Collegio, poi, i ricorrenti non possono lamentare nessuna disparità di trattamento. “La mancata sospensione degli impianti di gioco nei bar e nei tabacchi (nel periodo compreso tra il 24 ottobre ed il 3 novembre 2020) appare in linea col principio di proporzionalità: il Governo, invero, prima di adottare la più drastica misura, nel tentativo di ridurre al minimo il sacrificio per le imprese, evitava di sospendere i giochi presenti nei bar e nei tabacchi in quanto ivi presenti in numero notoriamente minore. Tale scelta, come detto, veniva abbandonata sin dall’adozione del Dpcm 3 novembre 2020, stante il rapido peggioramento della curva epidemiologica: le lotterie istantanee ed a ripetizione, invece, non venivano sospese, in quanto è palese che esse sono fruibili in sicurezza. Neppure può paragonarsi l’attività esercitata dalla ricorrente con quella di musei, teatri e cinema, per i quali venivano previste limitate riaperture sin dal Dpcm 2 marzo 2021: infatti, le regole per la riapertura (con controlli all’ingresso, utilizzo di mascherine, limitazioni delle capienze etc…) e le modalità di fruizione (di regola statica, silenziosa ed in piccoli gruppi), scrutinate funditus nel verbale Cts 26 febbraio 2021, n. 156, consentivano di fornire un servizio a basso rischio di contagio (cfr. Tar Lazio, sez. III-quater, 5 febbraio 2021, n. 1523)”.