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Governo giallorosso, si può fare: il premier al Quirinale, cosa cambia sui giochi

29 agosto 2019 - 08:34

Giuseppe Conte sale al Quirinale per ricevere dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella l'incarico di formare il nuovo governo. Scenario critico per il gioco, ma non troppo.

Scritto da Ac
Governo giallorosso, si può fare: il premier al Quirinale, cosa cambia sui giochi

 

E luce fu. Dopo un cammino lungo e tortuoso il paese sembra intravedere l'uscita dal tunnel della crisi di governo con l'annunciato accordo tra Partito Democratico e Movimento 5 Stelle per la costituzione di una nuova maggioranza che sarà guidata dal rinnovato premier, Giuseppe Conte. Il quale già questa mattina è salito al Quirinale per ricevere il suo secondo mandato. Promettendo di essere “il nuovo Romano Prodi”, come detto dallo stesso Conte, evidenziando cioè il suo ruolo di garante delle due forze politiche, ma come nella precedente esperienza con Lega e 5 Stelle, cioè facendo l'equilibrista limitando lo scontro tra due fuochi, bensì svolgendo un ruolo di “collante” tra i due schieramenti.

Quello che è certo, tuttavia, è che sarà una corsa in salita, quella del cosiddetto “Conte bis”. Soprattutto per le tante diversità di vedute dei due partiti di governo, alle prese entrambi con seri problemi interni e schiere di elettori che faticano ad accettare un accordo di questo tipo. Conte, tuttavia, è salito al Colle per chiedere al capo dello Stato qualche giorno di tempo, verosimilmente fino a lunedì, per sciogliere la riserva. Poi a metà della prossima settimana presterà giuramento, per la seconda volta in 15 mesi, nelle mani di Mattarella (al più tardi, il 9 settembre).

LA SITUAZIONE - Prima di tutto ci sono da sciogliere i nodi sulla futura squadra di governo. Sembra che Conte sia orientato verso un unico vice Pd - o addirittura a non avere proprio vice - per spegnere le ambizioni di Luigi Di Maio. Ai dem dovrebbero andare due dicasteri pesanti come Interni ed Economia. E per il capo politico del Movimento, oltre alle fronde interne, ci sarà da affrontare anche il responso della piattaforma Rousseau che dovrà dare l'ok al programma del nuovo esecutivo giallorosso.
Nel presentare il via libera del Pd al Quirinale il segretario Nicola Zingaretti mette in primo piano un programma che evidenzi una “chiara discontinuità delle ricette economiche in chiave redistributiva e di equità sociale”. Nel tavolo di confronto fra i capigruppo dei due partiti sono stati già ipotizzate alcune ipotesi sulle quasi vorrebbero convergere, partendo dalla cornice generale rappresentata dal rispetto delle regole condivise a livello europeo. Al di là della questione della sterilizzazione dell'Iva, su cui entrambi concordano, è dato per scontato un impegno, già in legge di Bilancio, per il taglio del cuneo fiscale.
Le acque nel Pd sonno però decisamente agitate, dopo il polemico addio di Carlo Calenda e il no in direzione all'alleanza con il M5S di Richetti. Ma il segretario Nicola Zingaretti prova a rassicurare tutti: "Vogliamo costruire un governo di svolta e discontinuità. Non c'è alcuna staffetta da proseguire e nessun testimone da raccogliere, semmai una nuova sfida da cominciare". 
 
I POSSIBILI SVILUPPI SUI GIOCHI - Ma una netta discontinuità è proprio quello che si augurano anche gli addetti ai lavori del gioco pubblico. Soprattutto per interrompere – e, possibilmente, sovvertire – la linea politica attuata dal precedente Esecutivo nei confronti del settore, ostacolato in vari modi e sottoposto anche al bavaglio del divieto di pubblicità attraverso il decreto Dignità. Certo, come detto, l'unione di Pd e 5 Stelle è, sulla carta, la più preoccupante per l'industria del gioco, tenendo conto gli atteggiamenti particolarmente ostili mostrati dalle due forze nelle rispettive precedenti esperienze di governo. Tuttavia, la situazione di crisi in cui verte il settore e di totale instabilità proprio a causa delle politiche attuate nel tempo, impongono modifiche e, soprattutto, riforme. Tenendo anche conto che il Riordino del comparto è stato messo nero su bianco in una legge dal precedente governo e rappresenta pertanto un impegno preso, che il nuovo Esecutivo dovrà necessariamente portare avanti, oppure cancellare. Ma rinunciare a questa riforma non sarebbe affatto indolore, anzi.
Di buono, tuttavia, c'è che la nuova coalizione, se verrà confermata nelle prossime ore, essendo ancora oggi in balìa della “base” del Movimento 5 Stelle, che ha richiesto una votazione sulla piattaforma Rousseau, mirerebbe a un più ampio accordo tra Pd e Movimento anche sui territori: scenario, questo, che potrebbe rasserenare gli animi di tante amministrazione locali dove la cosiddetta Questione territoriale che ha imbrigliato il gioco pubblico è stata comunque alimentata dai rappresentanti del Movimento 5 Stelle. E chissà che l'alleanza anche a livello locale non possa portare ora alla ricerca di soluzione condivise su vari temi, tra cui, appunto, anche il gioco.
 
NUOVO TOTOMINISTRI - Intanto prosegue la partita delle nomine. "I ministri vanno individuati in un pool di personalità del mondo della competenza, assolutamente fuori dalla politica". E' l'ultima ipotesi lanciata nella serata di ieri dal fondatore del movimento 5 Stelle, Beppe Grillo. Salvo poi precisare, subito dopo, che che il suo invito a nominare i “competenti” era riferito "ai ministeri più tecnici". Ma non sembra in ogni caso influire sulla trattativa portata avanti in questi giorni tra i due schieramenti. Stando alle ultime indiscrezioni, le ipotesi al vaglio delle parte vedrebbero salire al Viminale il capo della Polizia Franco Gabrielli. Mentre all'Economia potrebbe sedere un tecnico di alto profilo gradito anche al Quirinale, come spesso avvenuto negli ultimi anni: con l’ipotesi di Salvatore Rossi, ex direttore generale di Bankitalia, oppure l’economista Lucrezia Reichlin, sempre nel caso di un profilo tecnico e non politico. In caso di soluzione politica, invece, spettando l’Economia al Pd, restano ancora in campo i nomi di Roberto Gualtieri, Antonio Misiani, Fabrizio Barca o l’ex ministro Pier Carlo Padoan.
Alla casella degli Esteri, altro ruolo delicato e "attenzionato" dal Quirinale, resta in pole l’ex premier dem Paolo Gentiloni (che potrebbe anche andare alla Ue come commissario invece di Enrico Letta o Roberto Gualtieri). Alla Giustizia Di Maio vuole confermare Bonafede, ma è braccio di ferro con il vicesegretario del Pd Andrea Orlando. Al loro posto dovrebbero restare anche Bonisoli alla Cultura e Giulia Grillo alla Sanità. Per le Infrastrutture sembra essere in pole Stefano Patuanelli (Danilo Toninelli prenderebbe così il suo posto come capogruppo in Senato con una buonuscita sufficientemente onorevole), ed entrerebbe in squadra anche il capogruppo pentastellato alla Camera Francesco D’Uva. Il Mise resterebbe al M5s, mentre per il Lavoro il capogruppo del Pd alla Camera Graziano Delrio o comunque un altro democratico. In squadra ci sarà anche l’altra vice di Nicola Zingaretti, Paola De Micheli. In quota "renziana" dovrebbero entrare Ettore Rosato, Lorenzo Guerini (delega si Servizi ora nelle anni di Conte) e una donna (forse Simona Malpezzi alla Cultura). 
Quanto alla collocazione del capo politico del M5s Luigi Di Maio, per il Pd - come conferma anche il voto della direzione di ieri mattina - resta inaccettabile che oltre a ricoprire una carica ministeriale (Difesa o Lavoro) continui anche a fare il vicepremier. L’opzione del Pd è un vicepremier unico democratico (Dario Franceschini, che in questo caso potrebbe avere anche la delega ai Rapporti con il Parlamento ora nelle mani di Riccardo Fraccaro, che resterebbe alle Riforme). Ma in caso di persistente stallo unica soluzione possibile è rinunciare a nominare vicepremier.

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