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Fatti, non propaganda. Ecco cosa serve al gioco pubblico

18 maggio 2015 - 10:42

Ci risiamo. Anche questa tornata elettorale che chiama alle urne un pezzo d'Italia alla fine del mese si sta caratterizzando sempre più attraverso i vari dibattiti propagandistici legati al tema del gioco. Come nella peggiore delle tradizioni nostrane. Questa volta in maniera più accentuata del solito, e su tutti i territori. Del resto non poteva essere altrimenti, trattandosi di elezioni regionali. E tenendo conto che, proprio le Regioni, sono state le artefici della rivoluzione legislativa (e del paradosso costituzionale) che ha stravolto il comparto del gioco intervenendo con leggi di carattere locale su una materia riserva dello Stato e la cui regolazione spetterebbe unicamente al governo centrale. Ma solo in teoria, evidentemente.

Scritto da Alessio Crisantemi
Fatti, non propaganda. Ecco cosa serve al gioco pubblico

Ecco quindi, com'era inevitabile, che l'attività legislativa regionale è finita col rappresentare un tema “caldo” per rintuzzare il calderone delle varie campagne elettorali. Già floride di promesse risolutive e troppo spesso demagogiche, dove il . E se quest'anno, addirittura, c'è chi parla di gioco in senso opposto rispetto a quanto ci eravamo abituati - promettendo soluzioni più liberali, cavalcando l'apertura di nuovi casinò sulla quale lo stesso governo si è detto possibilista - il cavallo di battaglia della maggior parte dei futuri governatori è quasi sempre la promessa di una “guerra” al gioco e alla dipendenza.
Se l'obiettivo reale e il fine ultimo di queste campagne fosse davvero la tutela del cittadino e della salute pubblica, ci sarebbe davvero di che essere lieti. Per una (ritrovata) “buona politica” impegnata a fianco della popolazione nella costruzione del bene comune. Ma anche volendo concedere totale fiducia a quei politici che propongono soluzioni facili sul tema del gioco, a non convincere sono i mezzi con cui si intende perseguire tali ambiziosi obiettivi. Tra chi parla di limitazioni degli orari o di incentivi fiscali per chi elimina il gioco dai propri locali, se non addirittura di sparizione totale dell'intrattenimento dai centri cittadini, il risultato è sempre lo stesso: finendo con l'intervenire rispetto al gioco-legale e non al gioco in sé, regalando così spazi aperti all'illegalità. Basta osservare, come noto a tutti e innegabile anche nella più spinta delle campagne elettorale, come lo Stato già oggi non è in grado di attivare una sistema di controllo sui territori tale da garantire la repressione totale di ogni forma di illegalità. Mostrando gravi lacune già nella situazione attuale (nonostante l'immenso e proficuo lavoro, in questo campo, della Guardia di Finanza e delle altre forze dell'ordine che operano nel settore), in cui non si riesce a contrastare le forme di gioco illegale in maniera completa.
Eppure la linea anti-gioco funziona ancora. Sempre. Un mezzo ideale per dimostrare (o, meglio, proclamare) la vicinanza della politica al cittadino. Il principio dell'amministrazione amica e  che-si-prende-cura-di-te. Ma cosa accadrebbe se su quei territori in cui si promette battaglia contro il gioco pubblico venissero davvero applicate le norme restrittive annunciate in questi giorni? Quando i cittadini si troveranno a fare i conti con il dilagare di forme di gioco illegali - quindi fuori controllo per definizione – dove non esistono regole né tutele per quanto riguarda le vincite e, peggio ancora, nessun limite o freno per evitare il gioco eccessivo, a chi dovranno chiedere conto? In Lombardia, a Bolzano e in altri territori dove la battaglia è iniziata già da tempo, il gioco illegale si sta già riorganizzando. Pronto a trionfare una volta che le norme dichiareranno la totale scomparsa del gioco lecito (voluta in nome della Legge).
Per ulteriore chiarezza: il paradosso reale - e il pericolo diffuso - non risiede nel fatto che i politici promettano interventi in materia di gioco o iniziative di limitazione. Il problema, lo ribadiamo, è nei mezzi che si intende adottare. Promuovere la diffusione di un bollino 'no-slot' o chiedere l'abolizione degli apparecchi nei bar, significa nascondere la cenere sotto al tappeto, oltre alla testa nella sabbia. E a quegli amministratori che promuovono nelle suole i concorsi tra i ragazzi per la realizzazione di questi marchi anti slot, diciamo: non sarebbe più utile spiegare a questi ragazzi che il gioco può portare dipendenza e che nella vita dovrebbero pensare a costruire il proprio futuro in tutti i vari modi, invece di sperare in una vincita che ti fa cambiare la vita? Formazione e informazione come antidoto al proibizionismo e alla ghettizzazione. Perché nei programmi elettorali c'è pure chi chiede di aprire sale da gioco solo nelle periferie, come se qui risiedessero cittadini di 'serie b' e figli di un Dio minore, da tutelare diversamente rispetto a quelli dei centri cittadini. Per fortuna però ci sono anche dibattiti seri sulla materia e alcuni territori in cui si inizia a inquadrare il problema in maniera concreta. Come avviene a Bologna, dove si chiede di pensare alla formazione invece di sgravi a chi toglie le slot.

Un esempio di visione completa del fenomeno e di ricerca di soluzioni concrete al problema. E in linea con quell'equilibrio che il governo ha annunciato di voler ricercare attraverso le legge delega, che promette di intervenire proprio rispetto alle leggi regionali e alle loro restrizioni. Per ora siamo fermi agli annunci, ma il tempo delle riforme non è ancora scaduto.

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