Troppe volte mi sono trovato a scrivere delle mance ai dipendenti tecnici delle case da gioco italiane e non ho avuto riscontro, i casi sono due: o non erano chiaramente esposte o non ne è stata rilevata l’importanza che mi pare. Sono propenso per la seconda eventualità, forse per gli eccessivi riferimenti alle disposizioni vigenti o per la velocità di lettura; forse perché non si è estratto il significato che, a mio avviso, traspare; l’incremento del costo del lavoro e, in corrispondenza, la diminuzione delle entrate tributarie a favore degli enti pubblici periferici proprietari di una casa da gioco.
Del mio ultimo articolo ricordo: che l’art. 3 del Dl n. 314/97 ridefinisce il reddito di lavoro dipendente: il reddito di lavoro dipendente è costituito (...) anche il relazione al rapporto di lavoro e, alla lett. i) : non costituiscono reddito le mance percepite dagli impiegati tecnici delle case da gioco (croupier) direttamente o per effetto del riparto di appositi organismi costituiti all’interno dell’impresa nella misura del 25 percento...
Il primo beneficiario della mancia è, indiscutibilmente, il croupier. Il gestore non ha titolo originario a parte della vincita (cioè la mancia); d’altro canto sarebbe paradossale che partecipi alla vincita chi, perdendo, la deve finanziare: il gestore. Il fatto che quest’ultimo soggetto partecipi ad una parte delle mance, fondato su un patto o un accordo di devoluzione con il quale i lavoratori consentono al datore di lavoro di sottrarre parte di quanto elargito da terzi (Cassazione, 9 marzo 1954, n. 672), non pare giustificare un diritto originario del gestore ma, piuttosto, una forma di prelievo forzoso (stante la natura giuridica delle entrate) anche se non è stato regolato il presupposto, la base imponibile, ecc..
La natura giuridica delle entrate derivanti all’ente pubblico dalla casa da gioco è pubblicistica e/o tributaria; si ricava pacificamente sia dal dettato della L. n. 488/86, ex Dl n. 318/86, sia dalla collocazione nel bilancio degli enti pubblici sul territorio dei quali insiste una casa da gioco.
La mancia costituisce una forma di esecuzione di una obbligazione naturale ed il contratto di lavoro rappresenta esclusivamente il relativo regolamento di riparto. Rifacendosi all’uso normativo richiamato e tenuto conto che la mancia è una parte della vincita, pare logico sostenere che l’uso normativo che regola la materia prevede per ogni singola vincita il riparto in due parti: quella maggiore per il giocatore, quella minore per il croupier. An e quantum della mancia restano incerti: l’attribuzione patrimoniale può difettare o mancare senza che ciò costituisca titolo di pretese da parte dell’impiegato. Ma se la mancia è data, nell’importo in cui è data, può essere legittimamente ritenuta dal croupier, costituendo, a quest’effetto, l’oggetto di una attribuzione patrimoniale incontestabile.
Se la mancia è un reddito di lavoro dipendente costituito il relazione al rapporto di lavoro, se la mancia può essere legittimamente ritenuta dal croupier, costituendo, a quest’effetto, l’oggetto di una attribuzione patrimoniale incontestabile. Il fatto che il gestore partecipi ad una parte delle mance, fondato su un patto o un accordo di devoluzione con il quale i lavoratori consentono al datore di lavoro di sottrarre parte di quanto elargito da terzi (Cassazione, 9 marzo 1954, n. 672), non pare giustificare un diritto originario del gestore ma, piuttosto, una forma di prelievo forzoso (stante la natura giuridica delle entrate) anche se non è stato regolato il presupposto, la base imponibile, ecc..
Ritengo che il gestore, in tema di politica produttiva, potrebbe inserire giochi che non si accompagnano come altri alle mance; queste ultime, diminuendo, fanno calare il reddito di lavoro dipendente del quale le mance fanno parte e potrebbe generare una richiesta salariale del lavoratore. Ne potrebbe, forse il condizionale è inutile, un incremento dei costi e un minore importo a beneficio del concedente, ovvero minori entrate tributarie.
Ma non si può non considerare nell’insieme il calo occupazionale che, senza enfasi, affermare come un ulteriore danno per l’ente pubblico non mi pare eccessivo.
Probabilmente la rappresentazione che precede è quasi catastrofica ma utile a rendere l’idea; una situazione che una detassazione delle mance in parola sarebbe auspicabile. È stata opportunamente trovata una forma di tassazione particolare per le mance nel settore alberghiero e della ristorazione; nel caso in discorso la mancia non è corrisposta a seguito di un servizio svolto perché se così fosse sarebbe penalmente perseguibile.
Considerando le mance in discorso allo stesso modo della vincita al gioco realizzata nei casinò: infatti, la Legge europea 2015 all’art.7 (Disposizioni in materia di tassazione delle vincite da gioco. Esecuzione della sentenza della Corte di giustizia dell’unione europea 22 ottobre 2014) prevede e stabilisce che le vincite al gioco corrisposte da case da gioco autorizzate in Italia o negli Stati membri dell’Unione europea o nello Spazio economico europeo non concorrono a formare il reddito per l’intero ammontare percepito nel periodo di imposta.
Non pare logico trattare in modo differente la parte principale della vincita ottenuta dal giocatore e quella minore della quale beneficia il croupier e, indirettamente, il concedente.
Lo espongo al termine concludendo con la necessità di ricordare che le mance sono assoggettate all’imposta personale sul reddito delle persone fisiche (Irpef) per il 75 percento e che, per lo stesso imponibile, i contributi pensionistici Inps sono a carico del gestore; ecco il risparmio per la gestione! Il dipendente potrà accedere a una forma di pensione integrativa.
In ultimissima analisi, scusandomi per quello che ho nuovamente pubblicato, pongo una domanda: se le mance calano e con queste le retribuzioni complessive, pur a conoscenza che le mance non provengono dal datore di lavoro ma sono comprese nel reddito di lavoro dipendente e per questo soggette ad imposta e a contribuzione ai fini pensionistici con incremento dei costi a carico del gestore, ne deriva una sola conseguenza, ovvero il calo delle entrate a favore dell’ente pubblico periferico, Comune o Regione che si tratti. Senza contare che identico risultato si ottiene se il patto di devoluzione cambia, in meno, la percentuale a favore del gestore.
E allora per quale/i motivo/i non si pensa a risolvere una problematica che per un’altra categoria di lavoratori, pur con una limitazione massima, ha trovato una soluzione legislativa?