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Casinò Campione, le ragioni della crisi tra passato e futuro

16 giugno 2025 - 10:38

Il tema della crisi del Casinò Campione d'Italia è stato più volte analizzato, anche nelle relazioni accompagnatorie del Piano in continuità tuttora vigente.

Scritto da Amr
foto AdmComSRL - Opera propria su Wikipedia

foto AdmComSRL - Opera propria su Wikipedia

Il tema della ricerca delle ragioni della crisi del Casinò di Campione d'Italia si è di nuovo riproposto su stimolo di una parte politica comasca, anche tenendo conto degli sviluppi della vicenda giudiziaria in corso, con l'udienza preliminare relativa al secondo processo che porterà alla decisione sull'eventuale rinvio a giudizio di 16 imputati, anche se per uno il pubblico ministero ha chieesto il proscioglimento. 

Su questo tema, come già qualche anno fa Gioconews.it aveva ricordato, una delle analisi più organiche e complete è stata compiuta dall’advisor Stefano D’Amora, noto esperto aziendale, cha aveva dato la propria attestazione favorevole al Piano in continuità che ha scongiurato il fallimento della casa da gioco campionese.
Ecco cosa diceva D'Amora sul piano in continuità omologato dal tribunale: “Il piano prevede che una volta rimosse le cause della crisi, che sono state sostanzialmente l’insostenibilità economica e finanziaria del contributo da versare al Comune di Campione d’Italia, che prescindeva da ogni considerazione sulla gestione aziendale della casa da gioco, e l’eccessivo costo del lavoro rispetto alle reali necessità aziendali, l’attività della casa da gioco si è gradualmente riavviata con le medesime modalità operative esistenti prima della sua chiusura per via dell’intervenuto fallimento della società”.
Per l'advisor sono quindi due le ragioni delle difficoltà incontrate dal Casinò di Campione d'Italia: l'assoluta sproporzione del "quantum" da riconoscere al Comune rispetto all'andamento aziendale (affermando la bontà della performance di mercato della società, riassumibile nella limitata flessione del 20 percento del fatturato del Casinò di Campione nel periodo di crisi 2007-2017 rispetto al marcato 50 percento degli altri casinò nazionali); il costo del personale superiore alla media italiana e, dal 2016, anche a quella svizzera.

Va tenuto conto che, comunque, nel 2018, il Casinò di Campione di Italia aveva lanciato un nuovo progetto di fortissima riduzione del costo del personale (dopo quella del 2012, con riduzione da 80 a 53 milioni di franchi) ma non era riuscito a sortire alcun effetto, perchè il piano di ristrutturazione del debito non era stato approvato, portando questa decisione alla chiusura dell’azienda, ormai 7 anni fa.

Per Stefano D’Amora avrebbe avuto molto senso risolvere la situazione, già nel 2018, con un accordo di ristrutturazione del debito. Con questa soluzione si sarebbe evitata la pluriennale chiusura e inoltre la stessa sarebbe stata gestibile con questo strumento di minore impatto, avendo l’azienda, già a quel tempo, ormai agito sulle due ragioni della crisi: “quantum” incoerente alla dimensione aziendale da riconoscere al Comune e costo del personale.

 "Purtroppo con il senno di poi si è verificato quanto fallaci siano state le motivazioni addotte dall'Organo di liquidazione per la decisione di non aderire all'accordo di ristrutturazione del debito e quanto danno probabilmente abbiano apportato all' Ente (comunale)", puntualizza Stefano D'Amora.

Ritornando sul tema del contributo al Comune, l'advisor sottolinea come la decisione del consiglio comunale del 16 febbraio 2016 di adeguare il quantum all'andamento aziendale del Casinò fosse stata una decisione positiva che aveva consentito la ripartenza dell'azienda e quindi dell'intero paese. Il consiglio comunale aveva compreso come “si veda agevolmente che il contributo al Comune di Campione d’Italia (che nei bilanci viene contabilizzato come diretta riduzione dei ricavi) sia il principale responsabile dei risultati netti negativi registrati dalla società nei vari anni (considerando anche che l’anno 2017 sconta costi straordinari per 13 milioni di euro). Le entrate complessive rimangono stabilmente sopra i 90 milioni di euro”. 
E la marginalità (Ebitda al lordo del contributo al Comune) sempre nell’ordine dei 20 milioni di euro, un valore non certo minore della gestione attuale, quella post revoca del fallimento.

Va sempre ricordato che, se nel 2012 non fosse stata abrogata la legge che stabiliva in misura fissa la dimensione del quantum (e in continua progressione annuale), oggi detto quantum avrebbe raggiunto l'importo di 70 milioni di euro, a fronte di un’azienda che oggi ha un fatturato inferiore: un'evidente incoerenza.
Sul fronte strategico, D’Amora, ribadisce l’importanza, nel piano omologato, della diversificazione, con riferimento all’online. "Si tratta di un settore che viene presidiato (anche per respingere tentativi di usurpazione del marchio e per evitare la perdita della licenza)" afferma l'advisor. Qui si fa riferimento alla grande appetibilità del marchio Casinò di Campione in termini commerciali che, per il suo valore e prestigio, è già stato oggetto di tentativi di "furto" da parte di diverse piattaforme online internazionali.

Stefano D’Amora esclude, poi, che vi sia stata una crisi sul fronte patrimoniale.
La valutazione di un patrimonio netto di  50.338.469 in positivo al 1.4.2018 presente nel piano omologato dal Tribunale è una informazione di grande valore attuale visto che porta a escludere che gli amministratori abbiano realmente compiuto la sopravvalutazione degli asset aziendali (usufrutto del palazzo e marchio) e operato con il patrimonio netto negativo.

Questa è l’accusa delle curatrici fallimentari (cessate poi per la revoca del fallimento), a fondamento del procedimento di bancarotta. Se fosse stata fondata l’accusa delle curatrici, il patrimonio netto nel 2018 avrebbe dovuto essere valorizzato con una valore negativo e per decine di milioni di euro.
In conclusione, seguendo il lavoro di D’Amora, si può riassumere che il Casinò di Campione non è entrato in crisi per scarse performance di mercato. Basti pensare alla limitata flessione del 20 percento del fatturato del Casinò di Campione nel periodo di crisi 2007-2017 rispetto al marcato 50 percento degli altri casinò nazionali. Oltre 100 milioni di fatturato aggiuntivo frutto dell’azione del management, rispetto a quello che è stato l’andamento medio del settore: la migliore performance sul mercato nazionale nel decennio, legata anche alla capacità di diversificare nel settore dell’online (sul quale l'attuale gestione non pare intenzionata a investire ancora, non avendo partecipato al bando per il rilascio delle nuove concessioni di gioco a distanza)e del poker.
E nemmeno per un deficit patrimoniale, come visto.
Ma la crisi è dovuta alla dimensione del contributo al comune. Il quantum, per molti anni è stato maggiore della sommatoria del quantum degli altri tre casinò nazionali, con impatto sulla parità di condizioni nella prospettiva di una corretta concorrenza, al quale va aggiunto poi l'importo di svariati milioni dell'imposta sugli intrattenimenti.
 
E poi la crisi è riconducibile al livello elevato del costo del personale, anche se ben due  procedure di licenziamento collettivo, poi finalizzate grazie ad un accordo con i sindacati, sono state implementate nel 2012 e nel 2018, e la seconda non ha potuto sortire effetti per la mancata adesione al piano di ristrutturazione dell’Organo di liquidazione.
Ma comunque va sottolineato come gli oltre 600 dipendenti del 2007 erano diventati nella sostanza pari a meno di 400 (399 ) nel 2016, tenendo conto delle numerose “uscite” e del fatto che tutti lavoravano ad orario ridotto (Fte).

E per concludere non si può non menzionare tra le motivazioni della crisi il tema del deterioramento del rapporto di cambio euro/franchi che ha avuto un impatto, questa volta in negativo, nel bilancio del casinò, per una somma probabilmente nell’intorno dei 100 milioni di euro di extra costi di gestione.


 

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